Il suo percorso ha inizio in territorio reatino e termina dopo quasi 130 chilometri, rappresentando una delle più interessanti opere ingegneristiche dell’epoca moderna. È l’acquedotto del Peschiera, la preziosa condotta che disseta l’80% dei cittadini romani e che ha reso la città la regina delle acque, denominazione che già in epoca romana era stata data all’Urbe da Plinio proprio per la presenza di numerosi acquedotti, fontane e terme. Roma ha mantenuto il suo appellativo, non dimenticando la sua storia e, oggigiorno, è una delle poche metropoli ad avere una cospicua disponibilità idrica senza che intervenga alcun tipo di trattamento di potabilizzazione.
ACQUEDOTTO DEL PESCHIERA: L’AVVIO DEI LAVORI
Castel Sant’Angelo (RI), monumento in memoria degli operai caduti nella costruzione dell’acquedotto del Peschiera
Il motivo è semplice: le sorgenti del Peschiera, affluente del fiume Velino, e le sorgenti delle Capore, situate nella valle su cui scorre il fiume Farfa, sono pure sin dall’origine ed assicurano una portata di 13.700 litri d’acqua al secondo. Le due falde, la prima situata nel territorio di Cittaducale, la seconda in quello di Frasso Sabino, nel Reatino, apportano alla capitale e ai paesi limitrofi un approvvigionamento idrico che nessun’altra città al mondo può vantare ed arrivando a destinazione con il loro prezioso carico costituito dalla purezza e dalla qualità delle acque.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento Roma aveva subito una profonda espansione e, a seguito anche della costruzione di nuovi quartieri, l’aumento demografico aveva registrato un incremento significativo. Si avvertiva, quindi, la necessità di progettare un nuovo acquedotto per rifornire la città di acqua potabile e così all’inizio del secolo scorso, proprio per evitare una possibile carenza idrica, il Comune di Roma si interessò al progetto di una nuova fonte di approvvigionamento.
La progettazione e gli studi preliminari impegnarono gli ingegneri idraulici per almeno trent’anni prima della posa della prima pietra. Nel 1908 ebbero inizio i primi studi condotti dall’ingegnere Gaetano Roselli Lorenzini che, sotto la giunta di Ernesto Nathan, eseguì uno studio di fattibilità sulla captazione delle acque del Peschiera.
Passarono gli anni ed il 2 settembre 1937 il governatore di Roma, il principe Piero Colonna, affidò i lavori alla società municipalizzata dell’AGEA, Azienda Governatoriale Elettricità ed Acque, che li iniziò l’11 gennaio 1938 assicurando il termine dei lavori entro 27 mesi.
Il primo troncone dell’acquedotto (quello superiore) e la centrale elettrica di Salisano furono ultimate nel 1940 tanto che l’8 maggio di quell’anno avvenne, alla presenza di Benito Mussolini e delle alte cariche del regime fascista, l’inaugurazione del compimento di quella prima opera, un tratto di acquedotto lungo 26 chilometri. Poi, con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, i lavori si fermarono per riprendere soltanto nel 1945, grazie all’interessamento del Ministro dei Lavori Pubblici, Umberto Tupini, e grazie ad uno stanziamento statale di 1,5 miliari di lire.
1949: L’ACQUA POTABILE ENTRA NELLE CASE DELLA CAPITALE
Fontana del Peschiera a Piazzale degli Eroi a Roma
Vennero così edificate le nuove infrastrutture, furono riparate quelle danneggiate nel corso del conflitto, fu ricostruito il ponte sul Tevere e finalmente 4 anni dopo, il 27 ottobre 1949 alla presenza del presidente della Repubblica Luigi Einaudi, arrivò l’acqua a Roma. Alle 16.30 di quel pomeriggio autunnale il presidente Einaudi azionò il pulsante che fece zampillare l’acqua della fontana circolare di Piazzale degli Eroi mentre monsignor Treglia impartiva la benedizione. Giuseppe Ferrari, il presidente dell’ACEA (l’azienda aveva cambiato nome da AGEA ad ACEA nel 1945), riempì ed offrì al presidente Einaudi lo stesso bicchiere che aveva usato il 10 settembre 1870 papa Pio IX durante l’inaugurazione della fontana dell’Acqua Pia Marcia (la fontana delle Naiadi di Piazza della Repubblica).
PESCHIERA – CAPORE: I LAVORI DI AMPLIAMENTO DELL’ACQUEDOTTO
Il percorso dell’Acquedotto del Peschiera dal Reatino a Roma
Ma i lavori dell’acquedotto non erano finiti qui perché negli anni Sessanta si cominciò la costruzione del ramo inferiore del condotto, la seconda diramazione che si doveva snodare lungo la riva sinistra del fiume Tevere e che di fatto raddoppiava l’acquedotto del Peschiera, assicurando un aumento dell’approvvigionamento idrico. Tra il 1975 ed il 1980 al Peschiera si aggiunsero poi anche le sorgenti delle Capore che si trovano sotto l’alveo del fiume Farfa e che, attraverso sette chilometri di galleria, portarono l’acqua fino alla centrale di Salisano. Era l’aprile del 1980 e l’acquedotto del Peschiera – Capore venne finalmente terminato.
Le acque delle due sorgenti ora si mescolavano, finendo la loro corsa al quartiere romano di Ottavia (per quanto riguarda il ramo destro) ed a Monte Carnale, nel territorio di Mentana (per quanto riguarda il lato sinistro). Ovviamente per lo smistamento capillare dell’acqua in un territorio così esteso e vasto erano necessari dei centri idrici in grado di garantire la giusta pressione nelle case nonché lo smistamento nei numerosi quartieri di Roma. Ad oggi il serbatoio più grande si trova a Monte Mario e distribuisce l’acqua ai quartieri nord della capitale servendo quasi 400.ooo persone e ricevendo, oltre alle acque del Peschiera-Capore, anche quelle del lago di Bracciano che dal 1998 vengono captate durante i mesi estivi ed utilizzate come riserva idrica stagionale.
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