Questa è la storia affascinante e coinvolgente dell’acqua che, grazie all’alta perizia tecnica degli antichi Romani, giungeva nell’Urbe dopo essere stata convogliata e trasportata attraverso gli acquedotti dislocati nelle varie parti della città. L’acqua ha sempre rappresentato l’elemento essenziale di ogni civiltà ed ovviamente anche Roma non faceva eccezioni: il prezioso liquido veniva utilizzato per l’alimentazione, le latrine, le cucine e anche per il benessere corporeo. La città era sorta nell’VIII secolo a.C. lungo le sponde del Tevere ma il fiume non godeva di certo di una buona fama per quanto riguarda la limpidezza e la qualità delle sue acque. In più Roma, da piccolo accampamento di capanne, era divenuta un centro urbano popolato da centinaia di migliaia di persone e l’esigenza idrica cresceva sempre più con l’aumento della popolazione.

ACQUEDOTTO DI TRAIANO: 57 KM DA BRACCIANO A ROMA

La costruzione del primo acquedotto a Roma prese il via nel 312 a.C. quando l’acqua della sorgente che si trovava sulla via Prenestina venne convogliata verso Roma ma ovviamente una sola condotta non poteva essere sufficiente per l’intera città. Ben presto accanto all’acquedotto Appio (o Aqua Appia) si aggiunsero altre opere di captazione e distribuzione, tanto che nel III secolo d.C. l’Urbe poteva vantare undici acquedotti che consentivano l’approvvigionamento idrico necessario per le abitazioni private dei patrizi, per le fontane e per le terme disseminate nella città nonché per la pulizia delle strade, per i condotti fognari, per le botteghe e per i mulini ad acqua che già nel III secolo d.C. erano presenti sul Gianicolo. Grazie agli attenti lavori di manutenzione e di ripristino, gli acquedotti rimasero in funzione fino all’età gotica. I Romani, infatti, li ritenevano così strategici per il benessere della popolazione che istituirono la figura del curator aquarum, un funzionario (in genere un magistrato) responsabile della gestione degli acquedotti. L’igiene, infatti, era uno dei fattori principali della salute dei Romani che, attraverso la gratuità degli edifici termali, le fognature e la possibilità di accedere all’acqua potabile, potevano scongiurare malattie ed epidemie.

Con l’aumento della popolazione romana cresceva naturalmente anche l’esigenza di potenziare le risorse idriche cittadine e l’imperatore Traiano, di origine iberica, decise di avviare i lavori per un nuovo acquedotto, una condotta che assicurasse l’approvvigionamento anche per il quartiere di Trastevere che era sprovvisto di acqua potabile.

Sotto il suo comando la potenza dell’impero fu evidente. Imperatore ed abile condottiero, Traiano è ancora oggi ricordato per avere portato Roma alla sua massima espansione e la testimonianza della sua forza e del suo coraggio incorniciano uno dei monumenti simbolo di Roma, quella Colonna Traiana che svetta ai Fori Imperiali e che descrive nel minimo dettaglio la guerra condotta dall’imperatore in terra di Dacia. Tra le tante e mirabili opere che intraprese (il Porto di Traiano, il Porto di Civitavecchia, il Foro di Traiano, l’ampliamento del Circo Massimo) c’è da aggiungere il decimo acquedotto di Roma che prese il suo nome – acquedotto di Traiano – e che, inaugurato il 24 giugno del 109 d.C., partiva dal lago di Bracciano per giungere attraverso i suoi 57 chilometri fino alla XIV Regione Transtiberina, il quartiere posto al di là del fiume Tevere.

Dalla parte nord-ovest del lago le acque, che scorrevano nelle varie diramazioni, furono captate nel braccio principale e convogliate verso l’Urbe. Le due sorgenti principali erano quella del Grugnale e quella del Fiora e proprio nel 2010 è stata scoperta la caput aquae, la sorgente dell’acquedotto che si trova sotto la chiesa della Madonna della Fiora, appena 3 chilometri più a nord-est dell’abitato di Manziana. La maggior parte del tracciato era sotterraneo e riemergeva sulle arcate in prossimità della via Aurelia fino a rifornire il colle più a ovest di Roma, quello del Gianicolo.

L’acquedotto di Traiano era costruito in cocciopesto con le pareti rivestite con pezzame irregolare oppure con tufelli squadrati e disposti secondo un preciso disegno geometrico che prende il nome di opus reticulatum. Il pavimento presentava un rivestimento in laterizi, alcuni dei quali avevano impresso il bollo dell’officina Anteros Severanius. L’acqua percorreva i 57 chilometri che li separava da Roma sfruttando soltanto la forza di gravità; per tale motivo tutte le fonti di approvvigionamento idrico si trovavano in posizione collinare in modo che l’acqua potesse scivolare costantemente lungo la condotta con una pendenza media calcolata attorno al 2%. Dove si presentavano gole o pareti irregolari si costruivano ponti ed arcate che permettevano all’acqua di avere sempre la spinta necessaria per scorrere verso la meta.

IL FONTANONE E LA FONTANA DEI CENTO PRETI VICINO PIAZZA TRILUSSA

Con la caduta dell’impero romano ed il passare dei secoli la condotta cadde in disuso e nel IX secolo non era più in funzione. Fu papa Paolo V a ripristinare l’antico tracciato dell’acquedotto di Traiano e il 15 febbraio 1608 fu compiuto il primo atto: venne bandita una vera e propria gara d’appalto per la realizzazione della condotta. Virginio Orsini II, duca di Bracciano, sottoscrisse l’atto di compravendita delle sorgenti e delle condutture in favore del papa, ricevendo in cambio la somma di 25 mila scudi. L’opera, progettata dagli architetti Giovanni Fontana e Carlo Maderno, fu terminata nel 1611.

Il Fontanone, la fontana dell’Acqua Paola a Roma

Le arcate dell’antico acquedotto di Traiano oggi sono visibili lungo la via Aurelia Antica dove sono state inglobate nel muro di cinta di Villa Pamphilj e una di esse è divenuta un’entrata del parco. Su questa stessa via, in prossimità del passaggio dell’acquedotto dalla destra alla sinistra della strada, venne eretto l’arco di Paolo V che, a testimonianza della ristrutturazione dell’antica condotta, reca lo stemma del pontefice e l’iscrizione “AB AVG CAES EXTRUCTUS”, che tradotto significa “costruito dall’imperatore Augusto”, con un evidente errore di attribuzione. Oggi sotto quest’arco passano distrattamente migliaia di veicoli eppure questa architettura è un pezzo di storia di Roma. Infatti, fino al secolo scorso l’opera era chiamata Arco di Tiradiavoli perché, secondo la leggenda, qui sotto la notte del 7 gennaio passa il fantasma di Olimpia Maidalchini, detta la Pimpaccia che, trainata dai suoi cavalli con il suo cocchio pieno di ori, cade nel Tevere dove la aspettano i diavoli per riportarla all’inferno.

Ma la spettacolarità dell’intervento papale ebbe il suo culmine nella realizzazione di quello che per i Romani è il Fontanone, la fontana dell’Acqua Paola, costruita nel 1612 a cinque archi fiancheggiati da colonne. Per realizzare l’opera gli architetti Giovanni Fontana e Flaminio Ponzio utilizzarono marmi provenienti dall’area dei Fori Imperiali e colonne di granito rosse sottratte all’antica basilica costantiniana di San Pietro definitivamente abbattuta da papa Paolo V nel 1609.

Alla fine del Seicento, infine, l’architetto Carlo Fontana, nipote di Giovanni, apportò delle modifiche alla struttura della fontana dell’Acqua Paola, eliminando le cinque vasche in cui era suddivisa la base e realizzandone una unica di maggiori dimensioni. La parte superiore della fontana riporta un’iscrizione in latino relativa all’intervento realizzato dal pontefice che contiene però un’inesattezza, la stessa che si trova sull’arco di Paolo V e che attribuisce al pontefice il ripristino della condotta alsietina (proveniente dal lago di Martignano) anziché di quella traiana.

Acquedotti e fontane di Roma

A sinistra l’arco di Paolo V, al centro il Fontanone, a destra la Fontana di Ponte Sisto a Piazza Trilussa

L’acquedotto a cui la scritta si riferisce fu costruito nel 2 a.C. dall’imperatore Augusto per trasportare l’acqua (non potabile) necessaria per alimentare il lago artificiale utilizzato per la naumachia, lo spettacolo di battaglie navali che si tenevano nel quartiere di Trastevere ma nulla ha a che vedere con quello realizzato da Traiano il secolo successivo. La fontana dell’Acqua Paola rappresentò, dunque, l’apoteosi dell’intervento papale che portò l’acqua potabile nei quartieri di Trastevere e Borgo, acqua che successivamente arrivò fino ai rioni più centrali di Ponte e Regola grazie alla costruzione della fontana di Ponte Sisto, nota anche come fontana dei Cento Preti, che si trova a piazza Trilussa. Eppure la qualità dell’acqua non doveva essere eccelsa se nel vocabolario romanesco si diffuse il motto “vale come l’acqua Paola” per indicare una cosa priva di valore.

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