Tra le verdi colline della Toscana, tra boschi, pascoli, campi coltivati e oliveti, si snoda un’opera ingegneristica che ha segnato la storia di Livorno. Stiamo parlando dell’acquedotto Leopoldino, anche detto acquedotto di Colognole, dal nome della località in cui si trovano le principali polle. Con il suo tracciato lungo 18 chilometri ed un dislivello di circa 250 metri, il condotto, costruito in pietra locale, si articola sul versante est dei Monti Livornesi, giungendo fino alla città di Livorno. Dopo i lavori iniziati ed interrotti più volte, nel 1816 l’acqua giunse finalmente in città attraverso questa costruzione monumentale e costituita da ponti, arcate, gallerie e trafori. Oggi l’incuria e la mancanza di manutenzione rischiano di vedere deperire questa mirabile ed ingegnosa opera pubblica che ha dissetato per un secolo i livornesi.

STORIA DELL’ACQUEDOTTO LEOPOLDINO

Acquedotto Leopoldino a Livorno

Particolare dell’acquedotto Leopoldino (foto di Beata Moczydlowska)

Come nacque l’esigenza di edificare l’acquedotto leopoldino? Nel corso del XVIII secolo si assistette ad una crescita importante della popolazione livornese che passò dai 18.000 abitanti del 1699 ai 50.000 del 1790. Si comprese subito che la città aveva bisogno di un sistema di approvvigionamento idrico più efficiente e che fosse in grado di servire tutto il territorio. Livorno aveva riscontrato questa problematica da sempre. La città, infatti, era dotata di piccoli acquedotti che a malapena riuscivano ad assicurare la quantità di acqua necessaria ad una città portuale. Il prezioso bene, infatti, non serviva soltanto per la popolazione locale ma anche per dissetare gli equipaggi delle navi che giungevano dal mare. Così il granduca Ferdinando III di Lorena commissionò la realizzazione di un nuovo acquedotto all’architetto ed ingegnere Giuseppe Salvetti. La costruzione ebbe inizio nel 1793 ma venne interrotta per la morte dell’architetto e per la discesa in Italia di Napoleone. Restaurata la monarchia lorenese, il 30 maggio 1816 l’acqua giunse finalmente a Livorno ma l’intero complesso non era ancora stato portato a compimento. Fu sotto Leopoldo II, figlio di Ferdinando III, che l’acquedotto leopoldino venne terminato grazie all’intervento dell’architetto Pasquale Poccianti, ritenuto da molti come il principale autore dell’opera perché studiò il sistema di distribuzione e depurazione delle acque, costruendo, nei pressi della città, le tre grandi conserve che dovevano filtrarle e depurarle.

IL FASCINO DEL “CISTERNONE” A LIVORNO

Il Cisternone, Livorno

Il Cisternone, Livorno

Tra le grandi vasche spicca il “Cisternone” costruito nel 1842 ed ancora oggi utilizzato nella  città moderna. A quel tempo questa zona, oggi interessata dal traffico veicolare, si trovava fuori dalle mura cittadine e si decise di edificare qui questo grande serbatoio per immagazzinare le acque che poi dovevano essere distribuite al centro abitato di Livorno. La sua struttura riprende la moda classicheggiante del periodo, con una conformazione a tempio, un porticato con colonne ed una semicupola decorata a cassettoni ed ispirata a quella del Pantheon di Roma. L’interno della cisterna, utilizzata come serbatoio idrico, è suggestivo con la sua forma a T e la sua capienza che consente di accogliere 11.000 metri cubi di acqua.

L’ACQUEDOTTO LEOPOLDINO OGGI: ALLARME INCURIA

Oggi la fitta vegetazione sta provocando seri danneggiamenti alle mura dell’acquedotto con piante ed arbusti che si appoggiano o addirittura si insinuano tra le pietre dell’opera. L’associazione “Salviamo il salvabile” sta cercando di interessare le istituzione ed i privati affinché questo luogo possa ancora essere ammirato dai visitatori per la sua bellezza ed imponenza.

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