Quando, in una tersa e fredda mattina di fine febbraio, iniziò a diffondersi la notizia della morte di Alberto Sordi, la prima, immediata e naturale reazione fu di totale incredulità. Alberto Sordi da decenni rappresentava il cinema italiano. “Più di ogni altro attore della seconda metà del Novecento, più di Totò e di Gassman, di Mastroianni e di Tognazzi – ha scritto Goffredo Fofi in una bellissima biografia dedicata all’attore romano – Sordi ci ha mostrato quello che siamo e che forse avremmo preferito non essere”.
Fu infatti il migliore a ritrarre i nostri più atavici e incorreggibili difetti; sublime nel tratteggiare le nostre meschinità, le nostre italiche furbizie, obbligandoci a metterci davanti allo specchio e a ridere semplicemente di noi stessi.
Strappava risate pur impersonando personaggi cattivi, cinici e biechi. A tal proposito Pasolini così si espresse: “Alla comicità di Alberto Sordi ridiamo solo noi: perché solo noi conosciamo il nostro pollo. Ridiamo, e usciamo dal cinema vergognandoci di aver riso, perché abbiamo riso sulla nostra viltà, sul nostro qualunquismo, sul nostro infantilismo”.
ALBERTO SORDI DOPPIATORE: L’AVVIO DI CARRIERA
La carriera da doppiatore di Alberto Sordi
Alberto Sordi iniziò a recitare fin da piccolo, il suo pubblico era composto da parenti e amici in quella Roma dei primi anni Venti che occhieggiava, nella sua dimensione piccolo-borghese, al neonato fascismo. Piccole imitazioni, barzellette, battute sarcastiche, questo il suo personale repertorio, a cui si aggiunse, intorno ai dieci anni, il numero della marionetta. Si trattava di una performance che il piccolo Sordi imparò alla perfezione, ottenendo il plauso e le risate del suo piccolo, rabberciato pubblico.
Gli anni passarono e Sordi, non ancora diciottenne, prese parte al suo primo film, siamo nel 1937. La pellicola in questione fu La principessa Tarakanova, diretta da Mario Soldati e Fedor Ozep, film in costume in cui Sordi recitò la piccolissima parte di un ragazzo che veniva condotto al patibolo.
Non si trattò di una prova passata alla storia, ma fu comunque meglio del primo vero debutto su un set cinematografico. Qualche mese prima aveva fatto la comparsa nel film Il Feroce Saladino di Mario Bonnard. Nessuno se lo ricorda, anche perché il futuro comico in quell’occasione vestì i panni di un leone, indossando un voluminoso mascherone di cartapesta. Insomma due prove non certo indimenticabili che sembrarono segnare la fine del suo brevissimo rapporto con il cinema.
Ma nella vita, talvolta, arriva quell’improvviso colpo d’ala, quell’occasione imprevista che muta per sempre il corso degli eventi. L’opportunità per Sordi ebbe i contorni di un concorso di doppiaggio indetto dalla grandissima major americana Metro Goldwyn Mayer.
La compagnia cinematografica, nota anche con l’acronimo MGM e resa celebre dal mitico leone ruggente, nell’ultimo lembo degli anni Trenta, stava cercando in Italia nuove voci che doppiassero due fra gli attori più celebri al mondo: Stan Laurel e Oliver Hardy.
Il duo comico, noto come Stanlio e Ollio (in Italia famoso anche come Cric e Croc), in quegli anni letteralmente spopolava, trascinando migliaia di persone al cinema. Da una parte lo smilzo Stanlio, con quel mento triangolare, i capelli eternamente spettinati e quell’espressione perennemente confusa. Dall’altra il grasso Ollio, con la sua immancabile frangetta, i baffetti a spazzolino (all’epoca ancora sinonimo di simpatia e non di terrore) e il naso a patata. In mezzo le loro irresistibili gag, che ottenevano successo a ogni latitudine.
Si trattava, in verità, di un secondo concorso. Già nel 1932 la casa di produzione aveva indetto una selezione per trovare le voci italiane di Stanlio e Ollio. In quell’occasione erano risultate vincenti quelle di Carlo Cassola, per Stanlio, e di Paolo Canali per Ollio. Ma i due dopo pochi anni lasciarono l’incarico, costringendo la major a setacciare il panorama vocale italiano per trovare due nuovi voci.
A dire il vero Stanlio e Ollio non sempre erano stati doppiati da voci italiane. Inizialmente erano stati gli stessi due attori a doppiarsi in italiano. L’idea era stata del loro produttore Hal Roach e così due loro film, I ladroni del 1930 e Le muraglie del 1931, erano stati doppiati direttamente da Stan Laurel e Oliver Hardy.
Il risultato era stato decisamente comico, tanto che il critico cinematografico de “Il Corriere della Sera” Filippo Sacchi, definì geniale l’idea di far parlare i due attori in un italiano “storpiato e imparaticcio”, tipico degli stranieri che provano a parlare la nostra complessa lingua.
Effetto comico a parte, la trovata risultò troppo macchinosa e complessa. Richiedeva lunghi tempi di lavorazione per la difficoltà dei due attori a doppiarsi in una lingua che non conoscevano. Proseguire su quella strada appariva impossibile, per questo il progetto venne accantonato a favore del più naturale, semplice doppiaggio con voci italiane, senza, tuttavia, rinunciare a quell’irresistibile accento angloamericano, che tanto faceva sbellicare il pubblico in sala.
ALBERTO SORDI: QUELL’INCONFONDIBILE VOCE DI OLLIO
Alberto Sordi da giovane
Nel 1939, quindi, la MgM promosse un nuovo concorso nei suoi avveniristici studi romani. La fila degli aspiranti doppiatori era lunghissima. Il cinema, specie quello di Hollywood con le sue magie, seppur attraverso la sola voce, faceva sognare decine di persone. Fra loro anche un esitante Alberto Sordi che in quel periodo, messo da parte il cinema, studiava e piuttosto seriamente il canto, una sua inveterata passione.
Ma la musica, almeno quel giorno, poteva attendere. C’era una prova da sostenere che, con un pizzico di fortuna, poteva pure essere anche superata. La luce rossa si accese, il provino era iniziato. Sordi indossò le cuffie e cominciò ad ascoltare la voce originale di Ollio. Sulle prime rimase perplesso. Si trattava di una tonalità squillante, da tenore, diversa dalla sua decisamente baritonale. Ma non era il momento di fare questioni, bisognava convincere in pochi minuti di essere la voce giusta.
Sordi iniziò così a doppiare con la sua voce profonda le irresistibili battute di Ollio. Il caso volle che nel breve pezzo da doppiare ci fosse anche una canzoncina. Un vero colpo di fortuna, vista la bravura di Sordi nel canto.
Nella sala i presenti si guardarono con soddisfazione. La voce di quel ragazzo, pur così differente da quella di Oliver Hardy, piacque. Era perfetta, anche nel momento del canto. Inutile andare avanti ad ascoltare altri. Il posto di doppiatore italiano di Ollio non poteva che essere di Alberto Sordi. Quel provino non premiò solo Sordi ma anche Mauro Zambuto che diventò definitivamente la voce di Stanlio.
La voce di Sordi non piacque solo ai produttori ma anche al pubblico italiano. Quel timbro baritonale, che si opponeva a quello acuto di Stanlio, risultò una scelta azzeccata, che aumentava, se possibile, l’effetto comico della recitazione di Oliver Hardy. Il doppiaggio portò fortuna a Sordi che con quella voce mise su degli spettacoli teatrali fatti di gag, barzellette e altri numeri, tutti rigorosamente con “la voce di Ollio”.
Con lo pseudonimo di Albert Odisor, Sordi si esibì in alcuni piccoli teatri italiani, fra cui l’Augustus di Genova dove conobbe il grande Aldo Fabrizi. Ecco come lo stesso Sordi ricordò anni dopo quegli spettacoli. “Per un pezzo feci questi numeri che duravano una sera o due nei vari avanspettacoli. Mi annunciavo da solo. L’avanspettacolo era composto da elementi diversi, tutti ingaggiati per un numero tot di giorni: c’era inevitabilmente un giocoliere, un cantante, un comico con la spada, un fantasista e questo gruppo di gente non aveva nulla a che vedere con una Compagnia vera e propria. Il lavoro era pesante. Si facevano tre, quattro spettacoli al giorno”.
Sordi e Zambuto, che nel frattempo aveva modificato la voce di Stanlio, ammorbidendo l’accento anglossassone e calcando il falsetto, che tanto piaceva al pubblico italiano, doppiarono praticamente tutti i film del duo comico. Anche quelle pellicole che erano state già doppiate dalla coppia Cassola-Canali, come nel caso degli Allegri poeti e del meraviglioso Fra Diavolo del 1933.
L’ultimo film doppiato da Sordi fu Atollo K del 1951. Ormai l’astro di Stanlio e Ollio era declinante. La loro comicità immediata, fatta di gag irresistibili, battute taglienti e una mimica figlia di quel cinema muto da cui provenivano, non faceva più lo stesso effetto.
I gusti del pubblico erano mutati e anche il cinema comico. Non senza dispiacere, Sordi abbandonò il doppiaggio, del resto ormai aveva scelto il cinema, anche se non aveva ancora recitato in ruoli da protagonista.
Ollio non fu comunque l’unica esperienza di doppiaggio dell’attore romano. Diversi furono gli attori che nel corso della sua carriera doppiò. Principalmente stranieri come nel caso di Bob Steele ne La città del diavolo o il grande Robert Mitchum in ben due film: Notte senza fine e Il vagabondo della foresta.
Nel 1950 Sordi doppiò Marcello Mastroianni nel film Domenica d’agosto di Luciano Emmer, commedia che vedeva nel cast anche Massimo Serato, Ave Ninchi, Franco Interlenghi e, naturalmente, Marcello Mastroianni, nei panni del vigile urbano Ercole Nardi.
Doppiare attori e attrici italiani non era una cosa del tutto irrituale nel cinema italiano. Anzi il più delle volte i registi preferivano far doppiare i loro attori, piuttosto che farli recitare con la loro voce.
Lo stesso Alberto Sordi, ironia del destino, sarà doppiato in due film. La prima volta fu nel 1940 in occasione di Cuori nella tormenta, pellicola diretta da Carlo Campogalliani, in cui fu poco più che una comparsa. Poi, nel 1946, fu la volta del Il Passatore di Duilio Coletti, in cui Sordi vestiva i panni di un amico fidato del brigante romagnolo Stefano Pelloni, interpretato dalla star dell’epoca Rossano Brazzi.
Molti anni dopo Alberto Sordi tornerà ancora una volta a parlare con la voce di Ollio. Lo farà in America, in occasione di una rassegna cinematografica in suo onore. In quella circostanza rivedrà anche Mauro Zambuto, nel frattempo divenuto un professore universitario di fama internazionale.
I due si esibiranno in un brevissimo intermezzo con le voci di Stanlio e Ollio, regalando al pubblico in sala momenti di infinità ilarità e di inevitabile nostalgia.
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