Mi piace evocare e rappresentare Arpino come un luogo di incontro e di scambio, come un fazzoletto di terra piantato nel cuore della Ciociaria tra intrecci di saperi, cultura e arte. Un borgo a cui il Presidente della Repubblica ha concesso il titolo di città, riconoscendone l’importanza dei suoi uomini illustri e dei suoi monumenti e in cui la storia è passata e si è radicata non solo sul suo territorio ma anche nelle vene della comunità che lo abita e lo racconta con slancio e amorevolezza.
ARPINO: LE MURA POLIGONALI E L’ACROPOLI
Come spiega Daniele Del Monaco, la nostra guida appassionata, Arpino è un lembo di territorio racchiuso tra tre fiumi, il Liri, il Fibreno ed il Melfa, ed è il paese di origine di Cicerone, di Caio Mario, di Marco Vipsanio Agrippa, politico e generale passato alla storia per la costruzione del Pantheon, nonché di Giuseppe Cesari, meglio conosciuto con il nome di Cavalier d’Arpino, pittore tardo-manierista attivo a Roma e Napoli tra Cinquecento e Seicento.
Arpino vide inizialmente le sue vicende legate agli antichi popoli italici dei Volsci e dei Sanniti, alla sconfitta di questi ultimi ad opera dei Romani per poi passare ad un avvicendamento di popolazioni che lo hanno assoggettato: Longobardi, Franchi, Saraceni, Normanni e, infine, gli Svevi che portarono distruzioni ed ingenti danni alla città.
Nel Duecento divenne territorio appartenente al Regno di Napoli fino all’unità d’Italia, con una parentesi che la legò al Ducato di Sora.
Una mescolanza di popoli e di culture che ha seguito le vicende avvenute in tutta Italia ma che ha fatto di Arpino un centro particolare, attento alle sue tradizioni e a quegli antenati illustri che qui sono nati. Arpino è stato un territorio solcato dall’Urbe, dalla res publica, un collegamento privilegiato tra Roma e Napoli, in un continuum che ricalca le orme dei popoli che qui si sono insediati, un importante centro di saperi e di produzione artigianale ed industriale.
Proviamo a tracciare la sua storia attraverso delle immagini, lampi di luce che vanno ad illuminare quei luoghi-simbolo che ancora oggi sono visibili sul suo territorio e che la caratterizzano.
Arpino. A sinistra la Torre di Cicerone sull’Acropoli, a destra l’arco a sesto acuto e le mura poligonali
La prima rappresentazione di Arpino raffigura le mura poligonali, anche dette ciclopiche, tre chilometri di fortificazioni costruite a secco in epoca pre-romana a partire dall’800 a.C. in funzione difensiva dell’Acropoli, oggi denominata Civitavecchia. La Civitas Vetus, custodita e raccolta all’interno delle mura megalitiche, rappresenta uno dei più importanti siti archeologici di area mediterranea poiché conserva l’unico esempio di arco a sesto acuto, che costituiva la porta d’ingresso all’Acropoli.
Le mura poligonali erano caratterizzate dalla presenza delle porte scee di omerica memoria, ideate e realizzate per esporre il fianco destro degli assalitori, quello maggiormente indifeso dato che lo scudo veniva tenuto nella mano sinistra.
Qui sorge la Torre di Cicerone, costruzione medievale che nel 1265 Carlo I d’Angiò cominciò a fortificare per proteggere i suoi confini, nominando un custode quattro anni dopo. Il luogo era strategico per tutta la Valle del Liri perché dalla torre era possibile controllare un vasto territorio e scorgere da lontano gli eserciti nemici.
ARPINO, LA VIA LATINA E IL CAMMINO DI SAN BENEDETTO
Arpino. A sinistra un tratto della Via Latina, in direzione dell’Acropoli Civitavecchia. A destra un tratto delle mura ciclopiche
L’altra immagine che Arpino richiama è quella di una strada romana, la più antica di tutte, quella Via Latina lunga 216 chilometri che collegava Roma alla città di Casilinum (Capua), utilizzata dai Romani per l’espansione verso sud e percorsa proprio per raggiungere e sconfiggere la popolazione sannita che qui abitava.
L’antica arteria, indispensabile per attraversare il Lazio meridionale più interno, è stata una via di collegamento e come tale è stata utilizzata non soltanto dagli eserciti e dai mercanti ma anche da monaci e uomini di chiesa come San Benedetto da Norcia, che la percorreva per raggiungere i luoghi sacri e le abbazie cistercensi che avevano il loro centro di riferimento nel monastero di Montecassino.
Arpino, a sinistra i resti del Decumano, a destra la statua di Cicerone
Per tale motivo oggi Arpino è una delle sedici tappe del Cammino di San Benedetto, il percorso che collega i luoghi battuti dal santo umbro che si muoveva dalla sua città natale verso il luogo dove edificò la prima abbazia cistercense.
Altre tracce della Roma classica le troviamo nella piazza principale del paese dove è ben visibile il decumanus maximus, il tratto di strada che tracciava l’asse est-ovest della città e di cui è visibile la cloaca massima.
Le due statue di Cicerone e di Caio Mario sono poste intorno alla piazza, teatro dei convegni realizzati durante il periodo del Certamen Ciceronianum Arpinas, il campionato mondiale dei giovani latinisti che si svolge a maggio in cui studenti provenienti da varie nazioni si sfidano nella traduzione di un passo di Cicerone.
Sullo sfondo compare il palazzo Tulliano, costruito nel 1814 da Gioacchino Murat, re di Napoli, per ospitare scuole che formassero le giovani generazioni alle letture classiche e, contemporaneamente, alla chimica applicata.
Ancora oggi questo connubio che non conosce antitesi tra studi umanistici e studi tecnici continua grazie alla presenza del Liceo Classico e degli Istituti Professionali.
Poco distante da qui, all’ingresso della città è possibile ammirare la casa del Cavalier d’Arpino, pittore tardo-manierista che ebbe tra i suoi allievi Caravaggio.
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Da profondo conoscitore dell’arte, il pittore conservava numerose tele prodotte nella sua bottega, tra cui quelle del giovane Merisi, opere che gli furono confiscate nel 1607 dallo Stato Pontificio con un sotterfugio. Accusato di possesso illegale di archibugi, il Cavaliere d’Arpino fu costretto a cedere le 107 opere che deteneva per chiudere i suoi guai con la giustizia.
Le tele entrarono a far parte della collezione di proprietà del cardinale Scipione Caffarelli Borghese ed oggi si trovano a Roma, nella galleria omonima. Ad Arpino, comunque, è possibile trovare alcune delle opere del pittore all’interno di due chiese, quella di San Vito nell’Acropoli e quella di S.Michele Arcangelo in città.
L’INDUSTRIA LANIERA E LA FONDAZIONE MASTROIANNI
Arpino, una delle sculture del Maestro Umberto Mastroianni esposta nella Fondazione Mastroianni
Murat ci aveva visto lungo, comprendendo come si dovesse operare una sintesi tra la storia antica della città di Arpino che aveva dato i natali all’oratore più famoso di Roma e l’applicazione degli studi tecnici alle attività tessili che in quella città si svolgevano.
Arpino infatti, tra Settecento ed Ottocento, aveva visto svilupparsi un’industria laniera così fiorente da meritarsi l’appellativo di città ‘industriale’, un centro di produzione leader in Italia ed in Europa che offriva lavoro a migliaia di maestranze.
La posizione di Arpino, collocata sulle vie della transumanza e prossima alle terre abruzzesi che fornivano la lana, era strategica se consideriamo anche la sua vicinanza alle terre campane dove venivano rivenduti i prodotti tessili. La memoria di quell’attività industriale è ancora oggi viva e si ritrova nei caseggiati, un tempo adibiti a fabbriche, e nel Castello di Ladislao, palazzo angioino trasformato in stabilimento industriale dalla famiglia Ciccodicola.
Oggi lo stabile, dopo essere divenuto un ospedale militare durante le guerre mondiali e successivamente un istituto tecnico, è stato acquistato dalla Provincia di Frosinone e dal 2012 ospita la Fondazione Mastroianni, sede espositiva e centro congressuale voluto fortemente da un altro figlio di Arpino: Umberto Mastroianni, zio di Marcello e stimato scultore. La collezione è composta da sculture del maestro nonché dai cartoni e dalle opere lignee realizzate per la produzione finale del prodotto artistico.
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