San Sebastiano fuori le mura appare improvvisa al camminatore che lento percorre l’Appia Antica, quasi non volesse immediatamente ostentare la sua infinita bellezza. Eppure questa basilica di Roma, una delle sette chiese giubilari, testimone di un passato lontano, cela al suo interno tesori inestimabili, un luogo che, almeno una volta nella vita, merita di esser visto.

BASILICA DI SAN SEBASTIANO FUORI LE MURA, LE ORIGINI

Correva l’anno 1608 quando il potente cardinale Scipione Borghese incarica l’architetto Flaminio Ponzio, artista di fiducia della sua famiglia, di riedificare l’antica chiesa di San Sebastiano, costruita nel IV secolo d.C., per volontà dell’imperatore Costantino, accanto al luogo dove il santo era seppellito.

Tuttavia quella prima chiesa non era stata inizialmente dedicata al santo originario di Narbonne, bensì ai santi Pietro e Paolo. Il motivo? Semplice in quel luogo, al IV miglio dell’Appia Antica, nel 258 d.C., erano state nascoste le preziose reliquie dei più importanti santi della cristianità, un fatto che un imperatore come Costantino, che sul legame con il cristianesimo aveva basato buona parte del suo potere, non poteva certamente trascurare.

Soffitto di San Sebastiano Fuori le Mura a Roma

Particolati del soffitto ligneo della basilica di San Sebastiano Fuori le Mura

Era sorta, così, un’imponente basilica, tipicamente costantiniana, con un grande quadriportico, una pianta a croce latina, scandita da tre ampie navate dall’abside semicircolare e sormontata dal consueto tetto a capriate.

Un edificio imponente che nel corso del Cinquecento fu inserito nel celebre itinerario delle Sette Chiese, un vero e proprio tour religioso ideato da San Filippo Neri sulla scorta di quanto già avveniva nel corso del Medioevo, quando, però, il pellegrinaggio era limitato alle sole alle basiliche di San Pietro, San Paolo San Giovanni in Laterano e, infine, Santa Maria Maggiore.

Al tempo di San Filippo Neri, però, l’antica Basilica Apostolorum aveva già perso la sua originaria intitolazione, a favore di quella attuale, mutuata dal nome delle vicine catacombe, dedicate, per l’appunto, a San Sebastiano.

LA PASSIO S. SEBASTIANI: ANTICO TESTO DI UNA INVETERATA TRADIZIONE

Le informazioni relative a San Sebastiano sono essenzialmente legate a un testo del V secolo d.C., la Passio S. Sebastiani. Nello scritto anonimo vengono ripresi e ampliati alcuni dati storici relativi ai secoli precedenti, tra cui una citazione legata a Sant’Ambrogio.

Nella Passio si racconta che Sebastiano, un militare romano condannato a morte sotto Diocleziano per la sua adesione alla religione cristiana, fu legato a una colonna e successivamente trafitto da numerose frecce. Ma non fu quella la ragione della sua morte, ma la successiva fustigazione a cui Sebastiano fu sottoposto, quando ripresosi dal primo supplizio, si presentò al cospetto dell’imperatore che non solo lo fece uccidere, ma ordinò che il corpo fosse gettato nella Cloaca Massima, la principale condotta fognaria della Roma antica.

Tuttavia, da sempre, la storia dell’arte ha voluto rappresentare San Sebastiano legato a una colonna e trafitto dalle frecce. Lungo l’elenco degli artisti che si sono cimentati con questo soggetto da Antonello da Messina a Raffaello, passando per Mantegna, Perugino, Botticelli, Luca Signorelli o Antonio del Pollaiolo, tutti raffiguranti il santo nell’atto di essere infilzato dalle frecce.    

L’ATTUALE CHIESA DI SAN SEBASTIANO FUORI LE MURA

Flaminio Ponzio, prima, e Giovanni Vasanzio, poi, che subentrò nel 1613 in corso d’opera a seguito della morte dell’architetto inizialmente designato, immaginarono una superfice più piccola rispetto all’originaria chiesa, al punto che l’attuale spazio occupa quello che in principio corrispondeva alla sola navata centrale della basilica costantiniana.

La facciata è costituita da un portico tripartito da archi poggianti su colonne ioniche, recuperate dall’edificio originario, su cui insistono le corrispondenti paraste, inframezzate da tre finestroni dell’ordine superiore, culminante con il timpano di coronamento.

Decisamente più ricco appare l’interno costituito da un’unica navata unica scandita ambo i lati da tre arcate inquadrate da coppie di paraste.

Di notevole pregio è il soffitto ligneo opera di Giovanni Vasanzio dominato, nel mezzo, dalla figura del San Sebastiano che, su uno sfondo azzurro, viene rappresentato secondo l’iconografia classica del suo martirio, poco prima di essere incoronato da un angelo. A corredo del soffitto ci sono anche gli stemmi del cardinale Scipione Borghese e quello di papa Gregorio XVI, sotto il cui pontificato si procedette a un importante restauro della basilica.

Di pregio è anche la zona del presbiterio, dove si colloca sia la cupola che l’altare maggiore, opera di Flaminio Ponzio e caratterizzato da un edicola composta da quattro colonne in porfido verde, un antico marmo, originario del Peloponneso, molto amato dai romani che Ponzio recupera, come altri materiali, per realizzare la seicentesca chiesa.

Completano la basilica di San Sebastiano fuori le mura le diverse cappelle che si aprono ai lati della navata. Tra queste spicca per importanza la Cappella delle Reliquie, che, realizzata nel 1625, prende il nome dalle preziose reliquie in essa contenute, ovvero una delle frecce che infilzarono San Sebastiano, la colonna a cui fu legato e, soprattutto, la pietra sulla quale la tradizionale vuole che si siano impresse le impronte dei piedi di Cristo, riferite al celebre episodio del Domine quo vadis? ovvero la domanda che Gesù, improvvisamente comparso, rivolse a un fuggitivo Pietro, che stava lasciando rapidamente Roma per salvarsi dalle persecuzioni persecuzioni volute da Nerone.

La tradizione, eternata dal romanzo di Henryk Sienkiewicz prima e dal celebre film del 1951 poi, vuole che Gesù abbia risposto a un esitante Pietro così: «Eo Romam iterum cricifigi» (vado a Roma a farmi crocefiggere di nuovo), parole che convinsero l’apostolo a tornare indietro e ad accettare il suo martirio.

IL SALVATOR MUNDI DI BERNINI

Seppur defilato rispetto all’asse longitudinale della chiesa, il Salvator Mundi è senza ombra di dubbio il protagonista assoluto della basilica di San Sebastiano fuori le mura. Il candido marmo, di quella che fu l’ultima opera di Gian Lorenzo Bernini, troneggia sul lato destro della navata, calamitando lo sguardo di ogni fedele e visitatore.

Scolpito da Bernini nel 1679, un anno prima della sua morte, il Salvator Mundi fu al centro di una vera spy story. Già sul finire del XVII secolo lo splendido busto in marmo che descrive un Cristo benedicente, andò perduto.

Salvator Mundi di Bernini

L’interno della basilica. A destra il Salvator Mundi di Bernini

Riemerse nel 2001 quando il professor Francesco Petrucci, notando la scultura, che di fatto non aveva mai lasciato Roma, l’attribuì al genio del Bernini, vero e proprio testamento spirituale del grandissimo artista napoletano.

Per chi lo realizzò? La critica su questo si è sempre divisa, secondo alcuni la scolpì per se stesso; per altri, invece, sarebbe stata eseguita per la regina Cristina di Svezia, mentre sulla base di studi più recenti, il Salvator Mundi sarebbe stato scolpito per papa Innocenzo XI nell’ambito di un progetto decorativo del Palazzo Laterano che il pontefice aveva intenzione di trasformare in un grande ospizio per i poveri.

Al netto delle dotte ricerche sulla originaria committenza, rimane la superba bellezza di un’opera senza eguali, tipicamente berniniana, assolutamente barocca, con quel trionfo di panneggi che avvolgono Cristo che non sembrano fatti di marmo, bensì di un morbido tessuto. E che dire, poi, dei fluenti capelli del Salvatore che, al pari della delicata barba, incorniciano il volto ossuto di Gesù, sottolineato dagli zigomi sporgenti e dal naso ben definito, elementi che la luce proveniente dai finestroni della facciata sfiora gentilmente, in un gioco di chiari e scuri che è una delle cifre stilistiche dell’immenso Bernini.

LA TOMBA DI SAN SEBASTIANO E LA CAPPELLA ALBANI

Prospicente al capolavoro berniniano si trova un altro gioiello della basilica giubilare: la cappella di San Sebastiano. Commissionata dal cardinale Francesco Barberini, la cappella fu realizzata nel 1672 da Ciro Ferri, eclettico artista cresciuto all’ombra di Pietro da Cortona, che probabilmente nel realizzarla si ispirò alla cappella delle reliquie.

In asse con la sepoltura del santo, che si trova nella catacomba posta sotto l’altare, la cappella è impreziosita dalla statua di San Sebastiano, uno splendido marmo scolpito da Giuseppe Giorgetti, allievo di Gian Lorenzo Bernini.

Basilica di San Sebastiano fuori le mura

La scultura di San Sebastiano

L’artista, di cui si ignora sia la data di nascita che il luogo, diede vita a una scultura decisamente insolita rispetto alla tradizionale iconografia raffigurante San Sebastiano.

Il martire nativo di Narbonne non ci appare legato a una colonna, bensì giacente, seppur trafitto dalle abituali frecce.

La critica si è divisa sull’attribuzione del disegno originario. Per alcuni fu addirittura del Bernini, per altri di Ciro Ferri, per altri ancora di Antonio Giorgetti, fratello di Giuseppe, anch’egli scultore.

Degna di nota è anche la cappella di San Fabiano, meglio nota come cappella Albani, dalla famiglia del suo committente papa Clemente XI, al secolo Giovanni Francesco Albani.

Realizzata tra il 1706 e il 1712, l’opera vide la firma di personalità eminenti quali Carlo Fontana, a cui spettò il progetto, Filippo Barigioni e Alessandro Specchi, quest’ultimo già noto a Roma per aver ristrutturato il Porto di Ripetta.

La cappella è dedicata a San Fabiano, pontefice vissuto nel III secolo dopo Cristo e raffigurato in due tele, una sulla parete di destra, del pittore Giuseppe Passeri e una su quella di sinistra, dipinta da Giuseppe Ghezzi e, soprattutto, in una statua, collocata sopra l’altare, opera di Pietro Papaleo nel 1712.

SAN SEBASTIANO FUORI LE MURA: ORARI E COME ARRIVARE

La basilica di San Sebastiano fuori le mura è aperta è aperta tutti i giorni da marzo a ottobre dalle 7.00 alle 18.30, mentre da novembre a febbraio è aperta dalle 8.00 alle 17.30.

La chiesa è facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici, autobus 116 e 660. Poi, per buoni camminatori, si può raggiungerla a piedi scendendo alla stazione della metro A di Arco di Travertino, che dista dalla basilica poco più di 4 chilometri.

Per gli amanti della bici le soluzioni sono diverse e suggestive. Si può arrivare percorrendo l’Appia Antica o, magari, arrivando dal Parco della Caffarella o anche, dall’Ardeatina, dall’Appia Nuova o dalla Terme di Caracalla, in quest’ultimo caso si percorrerà prima Porta di San Sebastiano, subito dopo Piazza di Numa Pompilio, proprio sotto la celebre villa di Alberto Sordi e poi, ovviamente, il primo tratto dell’Appia Antica.

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