L’affascinante storia del Belvedere di San Leucio (frazione del comune di Caserta) è strettamente legata a quella della dinastia dei Borbone che in questo luogo realizzarono qualcosa di davvero unico, non tanto dal punto di vista architettonico, quanto da quello lavorativo e sociale. Tutto ebbe inizio nel 1750, quando Carlo III di Borbone, re di Napoli dal 1734, acquistò dalla potente famiglia dei Caetani (in alcuni documenti anche Gaetani) lo Stato di Caserta, possedimento che i duchi di Sermoneta avevano in precedenza acquisito per via nuziale dagli Acquaviva (Anna Acquaviva, ultima erede della famiglia, era andata in sposa nel 1618 al duca Francesco Caetani) e che erano costretti a vendere a causa degli enormi debiti contratti.
BELVEDERE DI SAN LEUCIO, COSA VEDERE
Complesso monumentale di San Leucio, il palazzo degli Acquaviva
Fra i possedimenti acquisiti dai Caetani c’era anche un palazzo, adibito a residenza estiva e largamente descritto nel Rilievo dei Beni della principessa Anna del 1635, che gli Acquaviva avevano fatto costruire sulla collina di San Leucio, in una posizione decisamente privilegiata, visto che l’edificio, che riprendeva a modello le diverse ville suburbane presenti sui colli laziali e in Toscana, dominava la vasta piana di Caserta e per questo motivo fu immediatamente ribattezzato Belvedere di San Leucio.
A Carlo III di Borbone la città di Caserta piacque subito, al punto che, in più di un’occasione, pensò di trasferirvi la nuova capitale del regno, ritenendo Napoli, per diversi motivi, inadeguata. Il progetto non andò mai in porto ma Caserta fu fra la fine del XVIII secolo e la metà di quello successivo, il luogo privilegiato dei Borbone, non solo per la costruzione della sontuosa e imponente reggia, ma anche per la risistemazione della collina di San Leucio e del palazzo degli Acquaviva, che il sovrano volle far ampliare per farlo diventare un Casino di Caccia, per la presenza di ampi e fitti boschi e di diverse specie animali, soprattutto cinghiali.
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BELVEDERE DI SAN LEUCIO, LA STORIA
Complesso Monumentale di San Leucio. Il Bagno di Maria Carolina
È con il figlio di Carlo, Ferdinando IV di Borbone (divenuto sovrano all’età di otto anni nel 1758, a seguito dell’abdicazione del padre salito sul trono di Spagna, all’indomani della morte dell’ultimo sovrano iberico privo di eredi), che le sorti del Belvedere di San Leucio cambiarono profondamente. Nel 1773 il nuovo re fece recintare tutta la proprietà per evitare la dispersione della numerosa selvaggina, dando inizio a una serie di significativi lavori di ampliamento dell’edificio esistente. Questi, tuttavia, furono solo i primi atti di un progetto molto più ambizioso che il sovrano affidò all’architetto Francesco Collecini (uno dei più stretti collaboratori del Vanvitelli che, dopo la morte di questi, aveva ereditato molti progetti incompiuti del creatore della Reggia di Caserta), consistente nella creazione di una vera e propria città industriale: l’utopistica Ferdinandopoli.
Nello stesso Belvedere di San Leucio, infatti, non furono ospitate solo le sontuose sale della residenza reale, fra cui il meraviglioso Bagno di Maria Carolina, ma anche e principalmente gli spazi della fabbrica della seta. Questa coesistenza di ambienti così differenti per destinazione, rappresentò, senza dubbio, una delle più singolari novità di tutto il Belvedere, al tempo stesso edificio manifatturiero ma anche casino di caccia.
Dietro questo incredibile progetto, fortemente influenzato dalle teorie illuministe, in primis quelle del napoletano Antonio Genovesi, vi fu, molto probabilmente, più che l’intuito di Ferdinando, quello della moglie Maria Carolina.
Catapultata a Napoli alla giovane età di sedici anni a seguito di un vero e proprio matrimonio per procura, nell’ambito di complessi giochi diplomatici volti a unire la famiglia degli Asburgo con quella dei Borbone di Napoli e che avevano visto, prima di lei, candidate altre due sorelle, morte però prematuramente, Maria Carolina, dopo un’iniziale disagio, non si lasciò abbattere.
Educata fin da piccola a diventare regina, al pari di tutte le altre figlie dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, compresa Maria Antonietta, Maria Carolina, una volta giunta a Napoli, nel 1768, dopo un necessario ed inevitabile periodo di ambientamento, prese letteralmente in mano le redini del comando, mettendo alla porta personaggi influenti, fra cui il potente ministro Bernardo Tannucci, da anni nel consiglio di reggenza, vera e propria eminenza grigia del dominio borbonico e affidandosi a persone di sua fiducia, come l’inglese lord Acton.
Dietro, quindi, l’idea di Ferdinandopoli, vi fu anche, se non soprattutto, lei, la tredicesima figlia della stirpe asburgica. Pietra miliare di questo utopistico progetto fu la creazione di una vera e propria città della seta, quella che fu fin da subito chiamata Colonia di San Leucio e della Real Manifattura della seta.
FERDINANDOPOLI, LA CITTÀ DELLA SETA E IL CODICE LEUCIANO
San Leucio e la città della seta. Gli appartamenti degli operai
Non si trattava solo di una semplice fabbrica ma di una vera e propria città della seta. Tutta la filiera della lavorazione del prezioso bene, dalla coltivazione dei bachi alla creazione del tessuto finito, si svolgeva in quel luogo che, oltre a contenere i migliori impianti di lavorazione, prevedeva anche la presenza degli alloggi degli operai, costruiti secondo le migliori tecniche edili, tanto che alcuni sono ancora oggi abitati, nonché di diversi altri spazi in comune, di cui godevano gli operai ma anche tutti i dipendenti della fabbrica.
La bachicoltura era praticata dai contadini che vivevano nei dintorni di San Leucio, prevalentemente donne, che si dedicavano all’allevamento intensivo dei bachi da sete nei mesi di aprile e maggio, utilizzando le tecniche più avanzate dell’epoca. Per l’alimentazione dei preziosi bachi da seta venivano coltivati non solo i tradizionali gelsi neri, ma anche quelli bianchi, provenienti da Bologna.
A rendere ancora più sorprendente il progetto di Ferdinandopoli, che ebbe effettivamente inizio nel 1778, dopo un parziale esperimento effettuato in una vicina località chiamata Vaccheria (dall’allevamento di mucche di razza sarda), fu l’emanazione nel 1789 del celebre Codice leuciano, vero e proprio statuto di questa singolare comunità. Ispirato ai più alti dettami illuministi, questo codice prevedeva la totale uguaglianza di tutti i lavoratori, che avevano medesimi diritti e doveri e questo indipendentemente dal sesso. Nella Colonia di San Leucio, infatti, fra uomini e donne non sussistevano differenze. Stessa paga, identico orario di lavoro (11 ore complessive contro la media europea che era di 14), identici obblighi dentro e fuori della fabbrica. Il codice, oltretutto, aboliva la proprietà privata, garantiva una particolare assistenza per anziani e infermi, vietava i matrimoni combinati, piaga molto diffusa in tutti gli strati sociali, e la triste realtà del lavoro minorile. A San Leucio i minori non potevano lavorare. Per loro, fino al compimento del sedicesimo anno, sussisteva l’obbligo scolastico, da adempiere prima attraverso un corso di studi primario, consistente nell’apprendimento della lettura, della scrittura, della matematica e del catechismo, e poi con corsi di tipo professionale, perlopiù incentrati sulla conoscenza di tutte le fasi della lavorazione della seta. Ad insegnare ai giovani ma anche agli adulti, perlopiù contadini dei dintorni a cui in seguito si unirono masse di lavoratori provenienti da vari stati italiani, furono chiamati i migliori professionisti, soprattutto francesi e inglesi.
Gli importanti investimenti profusi portarono considerevoli risultati, al punto che le sete prodotte a San Leucio furono fin da subito ambite dai più importanti sovrani d’Europa, ma anche dai ricchi uomini d’affari che desideravano possedere nelle loro sfarzose case quelle preziose stoffe.
COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN LEUCIO DALL’OTTOCENTO A OGGI
San Leucio, uno dei grandi telai per la lavorazione della seta a Ferdinandopoli
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Durante i mesi della Repubblica Partenopea, la fabbrica fu oggetto di atti di vandalismo e di ruberie varie ma con il ritorno del re le sorti di San Leucio tornarono a brillare. Nel 1801 inizia la costruzione della chiesa di Santa Maria delle Grazie alla Vaccheria, che verrà inaugurata nel 1805. Realizzata su progetto del solito Collecini, l’edificio, ispirato allo stile neogotico, fu completato in modo decisamente singolare dall’architetto Patturelli, divenendo il fulcro di tutto il borgo.
Con la conquista del Regno delle Due Sicilie da parte dei francesi nel 1806 la fabbrica di San Leucio vide nuovi e importanti investimenti, specie nel periodo “murattiano” che comportarono l’ampliamento della struttura e la trasformazione di San Leucio in comune autonomo. Con la caduta di Murat e con la Restaurazione San Leucio tornò proprietà dei Borbone ma questo non significò affatto la perdita di importanza del sito industriale che continuò a sfornare prodotti di pregio, specializzandosi, in particolare, nella realizzazione di grande parati che andarono a decorare le stanze delle regge inglesi, russe e di diversi stati italiani.
I primi segni di crisi si intravidero con l’Unità d’Italia, anche a causa delle numerose dispute amministrative relative alla proprietà della fabbrica, inizialmente demaniale e poi comunale. Fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo successivo il sito tessile passò in mano a privati che, tuttavia, non seppero gestirla al meglio, tanto che nel 1910 l’intera struttura, a seguito del fallimento, chiuse i battenti. Nel 1920, però, grazie all’acquisizione della fabbrica da parte di una famiglia leuciana, i De Negri, la produzione tessile riprese ma non più con i livelli precedenti.
La chiusura definitiva dell’opificio avvenne sul finire degli anni Settanta, quando l’attività industriale fu trasferita in una nuova sede e per il Belvedere di San Leucio iniziò il periodo più triste. L’abbandono di tutto il complesso, la mancanza di un’adeguata protezione del palazzo e di tutti gli altri locali, determinò ruberie, degrado, crolli che interessarono quasi tutta l’area, specie le sale reali affrescate da Fedele Fischietti, il celebre bagno di Maria Carolina, mirabile esempio di decorazione eseguita con l’antica tecnica dell’encausto, nonché dei molti telai presenti nella struttura. Si salvò da questo abbandono generale, soltanto la piccola chiesa interna a pianta quadrangolare, che era stata dedicata a San Ferdinando di Castiglia e che continuò ad essere attiva come parrocchia per tutto il Novecento.
Nel 1985, per fortuna, la lungimiranza degli amministratori locali e la volontà di investire di privati, aprirono una lunga stagione di restauri che permisero la riapertura del complesso leuciano al pubblico. Oggi il complesso monumentale del Belvedere di San Leucio è visitabile tutti i giorni, eccezion fatta per il martedì. Per informazioni, costi, orari e condizioni delle visite, è possibile consultare il sito del Comune di Caserta. In alternativa si può contattare la struttura ai numeri 0823/301817 – 273151 o scrivere a belvedere@comune.caserta.it.
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