Benedetto IX fu papa nella storia dal 1032 al 1048. Fin qui nulla di strano, se non fosse che quel pontificato fu intervallato da quello di altri tre papi, Silvestro III, Gregorio VI e, infine, Clemente II. Ripercorriamo uno dei periodi più bui della storia della Chiesa, ripercorrendo le vicende di colui che fu per ben tre volte papa.
L’ARISTOCRAZIA ROMANA E LA LOTTA PER IL PAPATO
Per comprendere questa vicenda bisogna assolutamente calarsi nel periodo storico in cui essa si sviluppa, un’età non certo edificante per la religione cattolica. In quel periodo il papato viene visto prevalentemente come il coronamento di logiche spietate e astute strategie politiche, l’acme di una laida ingordigia di potere.
Una bramosia che solletica le più importanti famiglie aristocratiche romane già a partire dalla fine del IX secolo, quando il definitivo crollo della potenza carolingia, che aveva tentato di trasformare Roma nella vera capitale dell’impero cristiano, lascia campo aperto all’intreccio fra il potere economico, quello politico e, infine, quello religioso.
Il papato da tanto, troppo tempo, non è più quella suprema istituzione sorta per volere di Cristo e che ha avuto tra i primi papi molti martiri cristiani, ma un centro di potere, uno dei più importanti e decisivi di tutto il mondo occidentale.
Arrivare al soglio che fu di Pietro significa ottenere dei vantaggi enormi, il cui effetti favorevoli possono estendersi anche per decenni. Per questo all’aristocrazia romana il papato fa gola, al punto da scatenare vere e proprie lotte pur di eleggere pontefice un proprio appartenente.
In pochi decenni, a partire dall’816 con Stefano IV, sono ben tre gli esponenti di potenti famiglie aristocratiche a indossare la preziosa e ambita tiara, mutando il normale corso delle cose.
Questo fenomeno si delinea con l’affacciarsi sulla scena romana, agli inizi del X secolo, di Teofilatto che con la sua famiglia, i Conti di Tuscolo, come ha scritto lo storico medievale Mario San Filippo, «costituisce un punto di svolta nella storia dell’aristocrazia romana.»
LA POTENTE FAMIGLIA DEI CONTI TUSCOLO
La nobile famiglia romana dei Conti di Tuscolo (dal nome dell’antica località alle porte di Roma e da cui deriveranno in seguito i Colonna, altra famiglia decisiva nella storia del papato) tra origine da Teofilatto, un ricco latifondista romano, secondo alcuni discendente dalla Gens Anicia, una delle più importanti dell’antica Roma.
Parentele a parte, qualche storico ipotizza invece una discendenza germanica, Teofilatto, tra la fine del IX secolo e gli inizi di quello successivo, è uno dei dominus della città.
Fa parte, infatti, degli Optimates Romani, quella classe sociale, formata da ricchi latifondisti, da ecclesiastici e amministratori cittadini, che detiene stabilmente le fila del potere. Teofilatto esercita il potere civile anche grazie alla carica di senatore, condizionando pesantemente anche il potere religioso e gli stessi pontefici, arrivando al punto anche di farli eleggere.
Papa Giovanni XII
In linea con le indiscusse capacità del mitico Teofilatto si muovono anche alcuni discendenti tra cui Alberico II che ottiene un risultato che neppure a Teofilatto era riuscito: avere un proprio figlio papa.
Prima di morire fa giurare alla nobiltà e al clero romano di far eleggere al soglio pontificio suo figlio Ottaviano, cosa che si verifica puntualmente alla morte di Agapito II.
Il 16 dicembre del 955 Ottaviano viene eletto papa, è il 130° successore di Pietro. Ottaviano, come in precedenza aveva fatto solo Giovanni II, sceglie di rinunciare al suo nome di battesimo, assumendo quello di papa Giovanni XII. All’epoca i pontefici non avevano l’obbligo di prendere un nuovo nome potendo tranquillamente mantenere il proprio.
Il pesante fardello di guidare la Chiesa di Roma non incide più di tanto sulle abitudini del rampollo di casa Tuscolo. Giovanni che è molto giovane, probabilmente ha solo diciott’anni (la data di nascita è incerta), continua a condurre la vita di prima, quando era solo un princeps. Nella nuova residenza apostolica del Palazzo Laterano, Giovanni si lascia andare ai più sfrenati bagordi, circondandosi di belle ragazze e non disdegnando neppure la compagnia di amorevoli ragazzi.
Così lo scrittore Claudio Rendina su Giovanni XII:
«Si racconta che, emulo di Caligola, che aveva nominato senatore un cavallo, ubriaco nominò diacono uno stalliere, come non si fece scrupolo di consacrare vescovo un ragazzo di dieci anni come testimonianza del suo amore per lui e regalare vasi sacri a prostitute, sia pure di alto lignaggio.»
La volontà della potente famiglia dei Conti di Tuscolo di far eleggere dei papi non si conclude certamente con il depravato Giovanni XII. Dopo di lui sono ben quattro i papi legati alla potente famiglia romana, tra cui il più famoso sarà, senza dubbio, Benedetto IX.
L’ELEZIONE DI BENEDETTO IX, IL PRIMO PONTIFICATO
Siamo nei primi decenni dell’XI secolo, i timori millenaristici sulla fine del mondo sono ormai ricordi sbiaditi, spazzati dal vento. Quando nel mese di ottobre del 1032, la data rimane incerta, papa Giovanni XIX muore, ovviamente ancora un membro dei Conti di Tuscolo, a Roma tutti hanno l’impressione che il 145° successore di Pietro sarà nuovamente un discendente di quella famiglia che da decenni domina Roma e così accade.
Sul finire di quello stesso anno Alberico III, capofamiglia dei Tuscolo, forte anche dello scarso peso politico esercitato dal tollerante imperatore Corrado II (incoronato imperatore a Roma il 26 marzo 1027, dopo che, un anno prima era stato incoronato re d’Italia a Milano), riesce nell’impresa compiuta da un suo avo, far eleggere suo figlio.
Si tratta del giovanissimo Teofilatto, secondo alcuni addirittura dodicenne. Così nel 1899 lo scrittore Raffaello Giovagnoli lo descrive nel suo romanzo, traendo spunto, forse, da alcune incisioni del Platina:
«dal viso oblungo, bianchissimo di pelle, pupille turchine, capelli biondi, riccioluti e un po’ stempiato, affetto da leggero strabismo e dal naso aquilino, ben rasato. Veste preferibilmente una tunichetta di seta bianca, tutta lavorata a fregi d’oro e stretta alla vita, mediante una larga cintura di cuoio tempestata di pietre preziose.»
Aspetto fisico a parte, Teofilatto è del tutto inadeguato per guidare la chiesa di Roma, specie in un momento storico così delicato. Da un punto di vista religioso, poi, il ragazzo è del tutto privo di quel curriculum ecclesiastico che dovrebbe contraddistinguere un nuovo pontefice.
Ma nella Roma di inizio XI secolo queste problematiche sono derubricate a fatue considerazioni, che si mimetizzano nelle spire del potere.
L’elezione di papa Benedetto IX, unita alla nomina di suo fratello maggiore Gregorio a senatore, sono il capolavoro di Alberico III, la garanzia che i Conti di Tuscolo potranno, ancora per diverso tempo, dominare Roma e non solo.
Come aveva fatto il suo predecessore anche Benedetto IX non conduce una vita proprio ascetica, tanto che uno dei suoi successori, Vittore III, lo definirà ladro e assassino, sottolineando come la chiesa avrebbe dovuto vergognarsi di aver avuto un simile papa.
Papa Benedetto IX e l’imperatore Corrado II
A criticare Benedetto IX ci pensa pure il vescovo di Milano Ariberto, i cui attacchi sono dettati più che da ragioni religiose da motivazioni politiche. Il vescovo mira a trasformare la sua diocesi in una sorta di stato indipendente, soprattutto da Roma. Ma non ha fatto i conti con il caparbio Benedetto IX e con l’imperatore Corrado II che da tempo aveva preventivato di scendere in Italia per ristabilire l’ordine, soffocando sul nascere alcuni aneliti indipendentisti, in primis quelli milanesi, riaffermando, al contempo, l’autorità imperiale.
L’alleanza fra il papa e l’imperatore viene stipulata a Spello, nel marzo del 1038. Benedetto IX, su richiesta di Corrado II, scomunica il sovversivo vescovo Ariberto, mentre l’imperatore, lasciata la località umbra, prosegue la discesa dello stivale per ristabilire l’ordine.
Ma la spedizione si arresta poco dopo a causa della peste che colpisce parte dell’esercito imperiale e costringendo Corrado II a fare rapidamente rientro in Germania.
Il dietrofront di Corrado, che troverà la morte poco dopo, il 4 giugno 1039 a causa delle conseguenze della gotta, lascia Benedetto IX solo. A Roma la vita scellerata del pontefice già da tempo ha scosso le coscienze dei romani, ormai stanchi di quel papa.
Tra la fine del 1044 e gli inizi del 1045 il popolo insorge e dopo tre giorni di rivolta obbliga Benedetto IX a lasciare la città e a riparare a Monte Cavo. Nella Città Eterna viene eletto papa il vescovo della Sabina Giovanni, appartenente alla potente famiglia dei Crescenzi e che prende il nome di Silvestro III.
IL SECONDO PONTIFICATO DI BENEDETTO IX
Fin dai primi giorni successivi alla solenne incoronazione, che avviene il 20 gennaio 1045, la permanenza di papa Silvestro III sull’agognato soglio petrino è complicata. L’iniziale appoggio popolare scema rapidamente, mentre, fin dall’inizio, è del tutto assente quello militare, decisivo per rimanere in auge.
Dal suo rifugio tuscolano Benedetto IX scalpita per tornare al suo posto, architettando piani per defenestrare quello che ritiene un usurpatore.
Il 22 febbraio, a poco più di un mese dall’insediamento, Silvestro III lascia Roma per riparare nella sua Sabina, dove si sente più al sicuro, è ancora lui il papa ma per poco.
Il 10 aprile 1045 Benedetto IX torna a Roma, reinsediandosi sulla Cattedra di San Pietro. Si apre, così, il suo secondo pontificato, ma sarà brevissimo. Ventuno giorni dopo, il 1° maggio, il rampollo dei Conti di Tuscolo decide a sorpresa di abdicare in favore dell’arciprete di San Giovanni a Porta Latina, Giovanni Graziano.
Alla base della decisione di Benedetto c’è sia la preoccupazione per la sua incolumità ma anche, se non soprattutto, il fascino dei soldi. La rinuncia al papato è principalmente il risultato di un accordo economico, a cui fa da intermediario Gerardo di Galeria, già oscuro protagonista dell’ascesa di Silvestro III.
Alla motivazione venale alla base dell’abdicazione si aggiungerà in seguito quella più romantica che vuole che Benedetto abbia rinunciato al papato per amore, desiderando sposare, cosa che poi non avvenne, proprio la figlia di Gerardo di Galeria.
L’elezione di Giovanni Graziano, rampollo di un’altra potente famiglia romana, i Pierleoni, che assume il nome di Gregorio VI placa l’insofferenza dei romani, riportando fiducia nella comunità cattolica. Anche Pier Damiani, colui che amava definirsi Petrus ultimus monachorum servus (Pietro, ultimo servo dei monaci) si aspetta molto dal nuovo papa, di cui ignora, però, le trame simoniache che hanno fatto da sfondo alla sua elezione.
Pier Damiani (il monaco riformatore che Dante Alighieri colloca per la sua santità nel settimo cielo del Paradiso), che aveva definito Benedetto IX «sguazzante nell’immoralità, un diavolo venuto dall’inferno travestito da prete», è così speranzoso del nuovo corso che inaugurerà Gregorio VI da paragonarlo alla «colomba tornata all’arca con ramo d’ulivo».
Nel dicembre 1046, mentre il nuovo pontefice è impegnato a riportare all’ordine in una Roma sempre più in preda al caos, procrastinando quelle riforme ecclesiastiche tanto auspicate dal Damiani, il papato è nuovamente scosso nelle più profonde fondamenta.
L’imperatore Enrico III decide di scendere in Italia per riportare l’ordine in una Chiesa in cui, seppur a vario titolo, regnano ancora tre papi. Per questo il 20 dicembre convoca a Sutri, a debita distanza dalle faide capitoline, un sinodo durante il quale depone Silvestro III, costringendo, contestualmente, Gregorio VI all’abdicazione.
Rimane aperta la questione Benedetto IX. Ufficialmente quel pontefice ha già abdicato ma Enrico non si fida di Teofilatto e tanto meno della sua potente e ambiziosa famiglia. Per questo, dopo aver lasciato la cittadina della Tuscia e raggiunto di gran lena Roma, il 23 dicembre provvede a deporre anche Benedetto IX. L’intricata matassa papale è solo in parte districata, visto che al momento, in virtù delle decisioni adottate dall’imperatore, la Cattedra di San Pietro è ufficialmente vacante.
Per risolvere l’evidente impasse il 24 dicembre 1045 Enrico III fa leggere papa il suo confessore, il vescovo di Bamberga Suidgero. Sulle prime Enrico pensa al vescovo di Brema Adalberto, un profilo a suo avviso ideale, ma il netto rifiuto di questi, lo fa virare su Suidgero che assume il nome di papa Clemente II.
Il nuovo pontefice, che il giorno di Natale aveva incoronato Enrico III, il 5 gennaio 1046 indice un concilio.
All’ordine del giorno dell’assise c’è la lotta alla simonia, una piaga che da troppo tempo infesta la Chiesa di Roma e che Clemente vuole estirpare.
Le decisioni assunte durante il concilio suscitano più di un mugugno e non solo fra i “simoniaci”. A protestare sono anche i riformatori che si attendono molto di più da Clemente II. Tra questi c’è anche Pier Damiani che rimprovera al papa di aver agito con scarso vigore, preferendo un inutile compromesso a un’energica azione per affrontare e risolvere una volta per tutte lo scandalo della simonia.
Ma a preoccupare il papa non sono le critiche dei riformatori quanto l’opposizione di quelle famiglie aristocratiche romane che vogliono tornare in auge. Temendo per la sua vita Clemente II segue come un’ombra Enrico III, al punto da risiedere per diversi mesi anche in Germania.
Nell’autunno del 1047, però, decide di far rientro in Italia, convinto di poter affrontare una volta per tutte e da solo i suoi tanti nemici. Il 9 ottobre, nel monastero di S. Tommaso sull’Aposella presso Pesaro, mentre si sta recando nella Marca d’Ancona e in Romagna, Clemente II improvvisamente muore.
La causa sembra ascrivibile alla malaria che infesta la zona, anche se più di qualcuno ipotizza che il papa sia stato avvelenato da un sicario mandato da Benedetto IX. Veleno o no, ciò che conta per Benedetto è che Clemente sia morto.
Ora il già due volte papa può tornare nuovamente sulla scena, ma sarà l’ultima.
IL TERZO PONTIFICATO E LA MORTE DI BENEDETTO IX
L’8 novembre del 1047 Benedetto IX, quello che era stato definito il papa bambino ma che ora è decisamente cresciuto, torna a sedere sul trono di San Pietro. Dalla sua parte si schierano convintamente Bonifacio di Canossa e Guaimaro di Salerno, che sperano, così, di conquistarsi una maggiore indipendenza ai danni del potere imperiale.
Ma l’ennesimo ritorno di papa Teofilatto suscita l’immediata reazione di Enrico III, lo stesso che un anno prima lo aveva allontanato sostituendolo con un pontefice fidato.
Ancora una volta l’imperatore prende una posizione netta, eleggendo il 25 dicembre 1047 a Pohlde, un nuovo pontefice. Sceglie nuovamente un tedesco, il vescovo di Bressanone Poppone, di cui apprezzava le idee, specie in chiave riformatrice.
L’elezione dell’uomo fidato di Enrico, unitamente al ritiro dell’appoggio da parte di Bonifacio, porta Benedetto IX a più miti consigli. Il 17 luglio 1048 il tre volte papa lascia Roma sotto un’insopportabile canicola; poco dopo, Poppone verrà consacrato 151° successore di Pietro.
Termina, così, il terzo pontificato di Benedetto IX. Questa volta non ci saranno ulteriori sorprese. L’uomo dei Conti di Tuscolo, che nel 1049 viene scomunicato da papa Leone IX, succeduto a Damaso II, morto dopo soli 23 giorni di pontificato, torna così a essere solo Teofilatto.
Su quello che accade a Benedetto IX dopo la rapida dipartita da Roma si sa poco o nulla. Su di lui e sulla sua vita scese la scure della damnatio memoriae. Roma e i romani vollero dimenticare e in fretta quegli anni così tremendi, nonostante avessero fatto i conti con altre vicende terribili come quella occorsa a papa Formoso.
Lo storico Ferdinand Gregorovius così apostrofò colui che fu per ben tre volte papa:
«Con Benedetto IX il papato toccò il fondo della decadenza morale. Le condizioni di Roma in quel periodo apparirebbero probabilmente peggiori di quelle dell’epoca di Giovanni XIII e, forse, supererebbero in orrore quelle del periodo dei Borgia, qualora potessimo paragonare esattamente queste età tra di loro».
Per saperne di più:
Leggi anche: Processo a un cadavere, la vicenda di Papa Formoso