“Guernica fu per la Luftwaffe un terreno di prova. Non conoscevamo un luogo più adatto per far compiere un test ai nostri bombardieri”. Con queste parole un serafico Hermann Goering spiegò le ragioni che anni addietro avevano portato la Germania al bombardamento di Guernica, la cittadina basca considerata, dal ministro nazista, alla stregua di una cavia da laboratorio su cui sperimentare i peggiori e più innovativi veleni.
IL BOMBARDAMENTO DI GUERNICA
26 aprile 1937, 16.30 circa, Guernica, Spagna, provincia di Biscaglia, Paesi Baschi. E’ giorno di mercato e la gente di questa piccola cittadina, antica e fiera capitale di uno stato nello stato che rivendica da sempre la propria atavica indipendenza, affolla felice le strade e le piazze. Alla popolazione abituale in quell’ultimo lunedì di aprile si sono aggiunte altre centinaia di persone, sono, perlopiù, allevatori e agricoltori arrivati con le loro bestie e i loro prodotti, dai paesi vicini. Il clima è di festa. In quel lembo di terra a pochi chilometri dal mare, la guerra civile che imperversa in Spagna dal luglio dell’anno precedente, mettendo contro i difensori della repubblica nata il 14 aprile del 1931 e le truppe falangiste guidate dal generale Franco, sembra un orrore lontano, di cui vi sono solo echi distanti.
Improvvisamente, però, i suoni familiari vengono rotti dal rombo sinistro di due Heinkel 51, due aerei tedeschi appartenenti alla legione Condor. La Germania di Hitler, infatti, al pari dell’Italia di Mussolini, da alcuni mesi appoggia l’esercito franchista nel tentativo di piegare la resistenza repubblicana. I due velivoli sorvolano a scopo di ricognizione la cittadina di Guernica, di lì a poco si scatenerà l’inferno. A quei primi aerei, infatti, se ne aggiungono molte altre decine nei minuti successivi, ma questa volta non in modo innocuo. I famigerati Heinkel 111 e i tre SM79 italiani oscurano i cieli. Dalle pance di quegli uccelli di acciaio cadono sulla popolazione inerme migliaia di bombe, da 100 e 250 chili, La gente fugge, il terrore è assoluto, ognuno, sotto il sibilare di quegli ordigni, cerca invano riparo, ma per moltissimi non vi è scampo. E’ il bombardamento di Guernica. Dopo poco più di tre ore la piccola cittadina basca è letteralmente rasa al suolo.
Il fuoco divampa sui resti di povere case, il silenzio, ora che i bombardieri sono rientrati alla base, è spettrale. Le quinte di quel palcoscenico di assoluto orrore mostrano centinaia di corpi che giacciono inermi su quelle stesse strade che, poco prima, erano state animate dalla vita di tutti i giorni.
PERCHÉ GUERNICA?
La scelta di distruggere Guernica esula, tuttavia, da interessi strategici. Confinata com’è al nord della Spagna, l’antica capitale, con la sua mitica quercia, simbolo di imperitura libertà, non rappresenta di certo un pericolo, tantomeno un obiettivo strategico, anche se a pochi chilometri sorgono alcune fabbriche di armi e munizioni. Ancor meno può essere un motivo di giustificazione la presenza di un ponte, per la cui distruzione, certamente, non occorre un fitto bombardamento di tre ore. Come confermato anche dal comandante della Legione Condor, Hugo Sperrle, che dopo l’esperienza spagnola sarà promosso per meriti sul campo al grado di feldmaresciallo, Guernica viene scelta perché presenta caratteristiche topografiche ideali: un piccolo centro, fatto di strade strette e tortuose, non difeso e lontano dalle grandi città spagnole.
Al netto del balletto sul numero effettivo dei morti (si passa dalle 1645 vittime denunciate nell’immediatezza dalle forze repubblicane, agli 800 morti secondo fonti sovietiche, a 200 caduti sulla base di recenti studi storici sui cui, però, non tutti concordano), il bombardamento di Guernica destò come era inevitabile un fortissimo sdegno in un’Europa abituata da anni alla pace e dimentica degli orrori della guerra.
Nelle ore immediatamente successive all’eccidio, quando emerge chiaramente la responsabilità tedesca nonostante i goffi tentativi di Franco di intestarsi i “meriti”, la stampa inglese scrive che Guernica è il primo saggio del terrore nazista. E questo, in effetti, fu.
Il 26 aprile 1937 la Germania sperimentò senza grossi problemi gli effetti nefasti del bombardamento a tappeto, tecnica militare che fu più volte utilizzata nella successiva seconda guerra mondiale, in verità non solo dai nazisti.
Coventry, Amburgo, Dresda ma per certi aspetti anche Roma, con il famoso bombardamento di San Lorenzo nel luglio del 1943, furono, purtroppo, i figli maggiori di Guernica, la triste eredità di quel lunedì di metà primavera, quando una giornata come le altre si trasformò in un’autentica tragedia.
GUERNICA NEL DIPINTO DI PABLO PICASSO
“Guernica” di Pablo Picasso
Quell’immane sciagura fu, come è noto, origine di uno dei più grandi capolavori della storia della pittura mondiale: Guernica di Pablo Picasso.
Gennaio 1937, Parigi. Pablo Picasso, che da moltissimi anni vive stabilmente nella capitale francese, annaspava nel tentativo di trovare una fonte di ispirazione per realizzare una grande tela da esporre all’Expo parigino e commissionatagli dalle autorità repubblicane spagnole. Le idee così come velocemente affiorano, altrettanto rapidamente sfioriscono. Nulla sembrava convincere il padre del cubismo e questo mentre la scadenza imposta dall’evento internazionale si avvicina pericolosamente. Poi arriva la notizia di quel dramma e Picasso non ha più dubbi. Il dipinto da esporre sarà legato a quel terribile fatto di guerra, una scelta politica, dunque, in controtendenza, con le abituali valutazioni di Picasso, per il quale la pittura e l’arte in genere sono frutto di disimpegno, originate solo e soltanto dal bisogno di dipingere, di produrre. Nonostante, infatti, più di qualcuno abbia nel corso degli anni cercato di tirare Picasso dalla propria parte politica, questi, al contrario, ha sempre manifestato scarso interesse mostrando, tutt’al più, un vago atteggiamento anarchico, da ricondurre, tuttavia, più a un modo di apparire che ad una reale convinzione.
Ma quella tragedia non può rimanere muta, quegli orrori vanno assolutamente raccontati, seppur in un modo del tutto originale, in linea con lo stile unico di Picasso. E in poco più di due mesi, con una lunga e complessa gestazione che porta alla realizzazione di numerosi soggetti, il primo abbozzo di Guernica è realizzato a matita su un foglietto di carta. Nasce quello che rappresenta uno dei quadri universalmente più conosciuti.
Nel realizzare Guernica, Picasso predilige non riportare espliciti riferimenti al bombardamento del 26 aprile, optando, invece, per una rappresentazione altamente simbolica, sottolineata dalle diverse figure che animano la tela nonché dall’originalissima scelta di ridurre la gamma dei colori alla gradualità dei grigi, rafforzati, nella convinzione di sottolineare maggiormente in risalto il valore luttuoso di tutta l’opera, dall’utilizzo del bianco e del nero.
Guernica, tuttavia, al momento, di essere mostrata delude e non poco coloro che, a cominciare dagli stessi committenti, si aspettano un’opera militante, un cartello dell’antifascismo, un sostegno, in forma d’arte, delle istanze repubblicane. Emblematico, in tal senso, l’icastico giudizio di un dirigente comunista che, al cospetto dell’immensa tela (350×777 cm), così si esprime:
“ci aspettavamo una chiamata alle armi e ci ritrovammo davanti un biglietto di condoglianze”.
Probabilmente questa iniziale, cocente e largamente condivisa delusione verso il dipinto di Picasso, per fortuna oggi completamente superata, lo portò ad essere ramingo per il mondo, in un perenne divenire da una città all’altra del globo. Guernica, infatti, solo nel 1981 troverà il suo definitivo approdo nel museo Reina Sofia di Madrid, dopo aver girovagato per chilometri e chilometri dalla Francia all’Italia. Emblematica fu la sua esposizione nel 1953 nei saloni di Palazzo Reale a Milano, dalla Scandinavia all’Inghilterra, senza dimenticare, il lungo e forzato riposo nei preziosi depositi del Moma di New York.
Per approfondire:
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