Il Duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, nel 1909 provò a scalare la seconda vetta del mondo, quel mostro minaccioso ed impenetrabile che rispondeva al nome di K2, ma il tentativo si dimostrò arduo e non fu portato a compimento. Però è dalla via tracciata dal nobile di casa Savoia che prese le mosse la spedizione italiana che nel 1954 provò l’impresa della conquista di questa cima. La cresta sud-est, ribattezzata lo Sperone degli Abruzzi, portò Lino Lacedelli ed Achille Compagnoni, il 31 luglio 1954, dritti alla vetta del K2. I due alpinisti italiani riuscirono ad immortalare quell’impresa piantando la bandiera italiana, il vessillo pakistano ed il gardaglietto del CAI su una distesa di neve a 8611 metri.
LA SPEDIZIONE ITALIANA AL K2 DEL 1954
Achille Compagnoni (a sinistra) e Lino Lacedelli (a destra)
La seconda cima del mondo era stata risalita e raggiunta, tutto il paese era in giubilo, gli scalatori al loro ritorno furono osannati da tutto il mondo. Ma quell’impresa non fu tutta rosa e fiori. Il 21 giugno 1954 l’ascensione era costata la vita ad un alpinista ucciso da un edema polmonare dovuto all’alta quota. Mario Puchoz, 36 anni di Courmayeur, si spense all’una del mattino al campo II, a quota 6095 metri. Inoltre, il mese successivo l’hunza Amir Mahdi, portatore di alta quota che accompagnò fedelmente Walter Bonatti fino quasi al campo IX a 8100 metri, subì l’amputazione di parti degli arti per via del congelamento dovuto al bivacco di fortuna la notte tra il 30 ed il 31 luglio. E poi ci furono le polemiche, le censure ed addirittura un processo per diffamazione che cercò di ristabilire la verità di quella spedizione tanto tormentata. Ma andiamo con ordine.
Ardito Desio (classe 1897), geologo e scalatore, è scelto dal CAI come capo spedizione, la persona incaricata di dirigere i trenta uomini impegnati nell’allestimento dei vari campi e nel trasporto dell’occorrente. Rimasto sempre al campo-base posto a quota 4970 metri, Ardito Desio è il comandante dal pugno di ferro, la guida che decide pervicacemente come va condotto l’assalto alla montagna inviolata. Sono poche le persone che credono nell’impresa. Il K2 è un mastino difficile da domare, la cima seconda solo all’Everest ma, di certo, la montagna più ostica per le sue pendenze da brivido.
Nell’agosto 1953 Desio e Cassin, uno dei migliori alpinisti italiani, compiono un sopralluogo sul K2. Al ritorno iniziano la selezione per la scelta degli scalatori, tutti compresi tra i 24 ed i 47 anni. I patti sono chiari: nessuno stipendio, massima obbedienza al capo-spedizione, nessuna intervista o pubblicazione su giornali. A fine anno iniziano le visite mediche, gli allenamenti e le prove di resistenza termica. Al termine dell’iter di preparazione risultano idonei tredici scalatori italiani che partono ad aprile con l’aereo alla volta del Pakistan. 16 tonnellate di materiale vengono trasportate da oltre 600 preziosi portatori verso il campo-base, a quasi 5000 metri. Tra fine maggio ed inizio giugno 1954 vengono preparati i primi campi dove gli alpinisti devono prendere confidenza con l’alta quota e la rarefazione dell’aria e dove sono trasportati viveri ed equipaggiamento. Dal 14 luglio al 18 luglio 1954 vengono allestiti i campi V, VI e VII, collegati tra di loro con corde per il trasporto del materiale necessario.
Walter Bonatti (a sinistra) ed Erich Abram (a destra) al campo base del K2 durante la spedizione del 1954
L’avventura finale che porta alla conquista del K2 inizia il 28 luglio 1954 quando al campo VII, a quota 7345, si trovano in sei. Da qui partono Abram, Compagnoni, Gallotti, Lacedelli e Rey per andare ad allestire il campo VIII a 7750 metri. Si tratta di piantare una tenda che fornirà il riparo a due di loro, ai due alpinisti che saranno scelti da Ardito Desio per tentare l’assalto finale. Non si sa chi farà parte della spedizione conclusiva, si deciderà tutto all’ultimo momento in base alla condizione fisica e mentale. Intanto in basso, al campo VII, rimane Walter Bonatti che non si sente bene e resta solo e scorato all’interno della tenda mentre vede allontanarsi i cinque compagni. Sa che solo due di loro saranno designati e scelti per affrontare la parete finale e, anche se l’età e l’esperienza non depongono a suo favore (ha 24 anni), spera di venire scelto dal capo-spedizione per l’assalto finale. Quel malessere che sente gli taglia le gambe e prende consapevolezza che la sua fatica non verrà ripagata dalla conclusione dell’impresa. Dopo appena mezz’ora, però, torna indietro Rey, distrutto dalla fatica e con uno stato d’animo devastato dall’abbattimento psicologico. La sera, poi, rientrano anche Abram e Gallotti e ragguagliano i compagni sulla sistemazione del campo VIII che, contrariamente a quanto preventivato, viene allestito un centinaio di metri più in basso, a quota 7627 metri. I due alpinisti designati a scalare la vetta sono dunque Lacedelli e Compagnoni, che passano la notte nella tenda appena montata sopra di loro.
All’alba del 29 luglio 1954 i quattro alpinisti del campo VII, rinfrancati e per quanto possibile riposati, cominciano a salire verso il campo VIII per portare tutto il necessario ai due scalatori che tenteranno l’ascesa del K2, incluse le bombole d’ossigeno, essenziali per poter pensare di portare a termine l’assalto finale. Dal basso, intanto, stanno arrivando altri rinforzi: si tratta degli hunza, i portatori di alta quota, che cominciano ad inerpicarsi per trasportare tutto ciò che necessita per l’impresa. Ma la situazione si presenta alquanto complicata sin da subito perché sia Rey che Abram, sfiniti dalla fatica e dal peso, devono desistere ed abbandonare il loro carico sulla neve. Scendono demoralizzati e senza più forze.
Sono Bonatti e Gallotti allora a raggiungere Lacedelli e Compagnoni al campo VIII e, insieme, decidono una strategia diversa. La situazione sta precipitando e le operazioni non possono essere rallentate perché l’alta quota porta ad un veloce deperimento fisico, anche in condizione di riposo. Ora gli alpinisti sono rimasti in quattro e viene stabilito un nuovo piano: il giorno dopo Lacedelli e Compagnoni saliranno lungo il versante del K2 per piazzare l’ultimo campo, il IX, ma ad una quota inferiore (a 7900 metri) rispetto a quanto stabilito in precedenza, in modo che Bonatti e Gallotti possano scendere di 200 metri per recuperare i due trespoli di ossigeno e trasportarli in una sola giornata prima al campo VIII e poi al IX. Una prova al limite delle forze umane ma è l’ultima opportunità prima di dichiarare il fallimento. Si tratta di affrontare un dislivello di 500 metri di salita con 20 chili sulle spalle. Il tutto quando ormai si è ad un’altitudine di circa 8000 metri. [Continua]
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