“E’ poi ridisse: Tuo cuor non sospetti; / fin t’assolvo, e tu m’insegna fare / sì come Penestrino in terra getti“. Così Dante nel XXVII canto dell’Inferno fa parlare Guido da Montefeltro che racconta come papa Bonifacio VIII, “lo principe d’i nuovi farisei” gli avesse chiesto dei consigli per espugnare Palestrina, stanco per una guerra che sembrava non concludersi mai. Al netto dei discorsi circa l’attendibilità storica dell’incontro fra il pontefice e Guido di Montefeltro, che Giovanni Villani nella sua Nova Cronica definisce “il più sagace e il più sottile uomo di guerra che a quei tempi fosse in Italia, ciò che conta è la reale sorte di Palestrina.

Il conflitto cominciò nel 1297. La cittadina laziale alle porte di Roma fu assediata per più di un anno. Dal 1110 feudo incontrastato della nobile e potente famiglia dei Colonna, Palestrina nel settembre del 1298 capitolò più per stanchezza e fame che per una vera e propria resa dettata da ragioni di carattere militare. Ma perché un pontefice spese tante energie e non pochi denari per una simile impresa? Le ragioni di questa scelta che condusse alla distruzione di Palestrina devono essere ricercate nel rapporto con i Colonna, mai buono in verità ma, dopo l’elezione al soglio pontificio di Benedetto Caetani, decisamente peggiorato.

L’ELEZIONE DI BONIFACIO VIII

Veduta laterale della Cattedrale di Anagni con la statua di Bonifacio VIII

Veduta laterale della Cattedrale di Anagni con la statua di Bonifacio VIII

Napoli, 23 dicembre 1294. Sono trascorsi soltanto dieci giorni dalla sorprendente rinuncia al pontificato di Celestino V e all’interno del Maschio Angioino, che possente domina il mare, si apre un nuovo conclave. La sensazione è che anche questa volta si vada per le lunghe, magari replicando i ventisette mesi necessari per eleggere Pietro da Morrone.

Le divisioni, d’altra parte in seno al sacro collegio, sono ancora molte e articolate: da una parte i fautori dei Colonna, dall’altra quelli vicini alla potente famiglia degli Orsini, in mezzo gli indecisi e, principalmente, i cardinali vicino al re di Napoli Carlo II d’Angiò e proprio questi ultimi faranno alla fine la differenza. La vigilia di Natale, a un giorno quindi dall’apertura del conclave, con una maggioranza schiacciante di due terzi viene eletto il cardinale Benedetto Caetani. Un risultato determinato in larga misura dal voto compatto dei porporati del sovrano napoletano, i cui parenti il nuovo pontefice ricompenserà ampiamente dispensando terre, titoli e favori di varia natura.

Un grande successo, senza dubbio, per Benedetto Caetani. Nato ad Anagni, da una nobile famiglia, discente per parte di madre di papa Gelasio II, uomo ambizioso ed esperto come pochi di diritto, è lui a stilare il documento di rinuncia al papato di Celestino V.

Bonifacio VIII, poco dopo essere stato eletto, mostra immediatamente la sua personalità e la sua smisurata brama di ricchezza e potere. Per prima cosa si affretta a trasferire la sede apostolica da Napoli, dove l’aveva portata Celestino, di nuovo a Roma. Una scelta chiaramente mirante a recuperare autonomia politica e decisionale, sfuggendo, in tal modo, al pressante abbraccio del sovrano napoletano. Poi provvede a dichiarare nulle tutte le più importanti decisioni del suo predecessore che, per essere più tranquillo, farà in seguito arrestare e incarcerare nella fortezza di Fumone, dove l’eremita morirà, in circostanze mai del tutto chiarite, poco dopo.

La sfarzosa cerimonia di incoronazione, che si svolge in San Pietro il 23 gennaio 1295 fra asserviti nobili e membri della curia, è il biglietto da visita del nuovo papa, l’inequivocabile segno di quale indirizzo voglia dare Bonifacio al suo pontificato. Non più la discreta povertà e la dimensione pastorale di Celestino ma una ostentata ricchezza e uno sconfinato desiderio di potere.

Sul piano finanziario, per accrescere la già cospicua dote familiare, Bonifacio procede all’acquisto sistematico di edifici sia a Roma, come nel caso del castello delle Milizie che era appartenuto all’imperatore Ottaviano, che di terre nella campagna laziale e nella Maremma.

Se sfrenata è l’azione economica non dissimile è quella politica. Bonifacio si adopera fin da subito per ridurre drasticamente il peso specifico di alcune fra le più importanti casate romane, quelle più in vista ma anche tradizionalmente più nemiche, come nel caso dei Colonna. Ma la reazione di queste non si fa, tuttavia, attendere.

Sono, infatti, proprio due membri della casata colonnese, i cardinali Giacomo e Pietro, a denunciare in Curia l’illegittimità dell’elezione del Caetani. A loro avviso, infatti, l’abdicazione di Celestino non è valida e di conseguenza perde di valore anche il successivo conclave con la conseguente elezione del cardinale nativo di Anagni. E’ un enorme sasso lanciato in uno stagno che agita le placide acque, producendo anelli concentrici sempre più grandi che, almeno per il momento non si infrangono sulla riva.

La denuncia avanzata dai due porporati suscita immediati consensi, facendo non pochi proseliti fra gli oppositori di Bonifacio VIII. Fra questi, oltre ad altri rampolli della nobiltà romana, si aggiungono anche alcuni spirituali francescani, fra cui Iacopone da Todi che si fa fieramente interprete di non poche invettive nei confronti del papa. Per i più stretti osservanti della Regola di San Francesco il comportamento del papa è del tutto inaccettabile perché in palese contrasto con i dettami evangelici. Bonifacio, più che il vicario di Cristo, è un demone assetato di potere e avido di ogni tipo di ricchezza.

Per questo sostengono convintamente il cosiddetto Manifesto di Lunghezza, un documento, stilato nella località a pochi passi da Roma il 10 maggio 1297, in cui viene ufficialmente dichiarato decaduto Bonifacio VIII, con tanto di intimazione a tutti i fedeli di negargli l’obbedienza.

I firmatari dell’atto, però, non hanno fatto i conti con papa Caetani, la cui reazione è rapida e spietata. I due cardinali, promotori dell’atto, vengono estromessi dalla Curia e scomunicati. Ma la vendetta del papa non si limita ai due soli porporati coinvolgendo tutta la “dannata stirpe” dei Colonna.

LA DISTRUZIONE DI PALESTRINA

I beni principali vengono incamerati e i più importanti feudi come Zagarolo e Nepi ad esempio, rapidamente conquistati dalle forze fedeli a Bonifacio. Non Palestrina, però, che, per l’appunto, resiste eroicamente, anche per la particolare posizione geografica e per la presenza di efficienti sistemi di protezione e fortificazione, alcuni di età romana, che la rendono pressoché inespugnabile. Quando, più per fame, gli assediati nel settembre del 1298 si arrendono, dal papa ottengono la solenne promessa del perdono ma è uno dei tanti inganni orditi da Bonifacio. Molti, infatti, fra cui lo stesso Iacopone, sono arrestati e deportati a Tivoli.

Palestrina, che i più pensano possa essere risparmiata dalla furia distruttrice del papa, viene, invece, letteralmente rasa al suolo, con l’eccezione della sola cattedrale di Sant’Agapito.

Per rendere ancora più manifesta la superiorità papale e l’umiliazione dei Colonna, Bonifacio dispone la costruzione di una nuova città, “al piano, a la quale puose nome Civita Papale” che, però, ha vita breve. Le cronache, infatti, raccontano che già nell’aprile del 1300 la creatura bonifaciana, forse per un devastante incendio, è completamente distrutta. L’acrimonia, comunque, del Caetani impressiona e non poco l’opinione pubblica dell’epoca, che ritiene, in questo fortemente suggestionata, che i ripetuti e devastanti terremoti che colpiscono il centro dell’Italia e in particolare Rieti, Spoleto e Pistoia altro non siano che il “segno del giudicio di Dio” contro le malefatte del papa.

Ma la sorte favorevole a Bonifacio nel giro di pochi anni si capovolge. Il 7 settembre 1303 Anagni, sede estiva di Bonifacio VIII, anche per la complicità degli stessi cittadini, cade in mano a Sciarra Colonna che entra nella cittadina alla testa di suoi soldati e di militi francesi guidati da Guglielmo di Nogaret, fedelissimo del re di Francia, Filippo il Bello, da tempo nemico giurato di Bonifacio.

LO SCHIAFFO DI ANAGNI

Bonifacio VIII e lo schiaffo di Anagni

Bonifacio VIII. A destra particolare di un’incisione francese del XIX secolo raffigurante l’oltraggio di Sciarra Colonna

La conquista manu militari di Anagni ad opera dei suoi acerrimi nemici è un’onta insopportabile per il papa che solitario accoglie i due seduto in trono nella sala principale del suo palazzo, abbandonato da tutti. Qui, stando al racconto di Nogaret, Sciarra Colonna schiaffeggia Bonifacio, riscattando il suo onore quello dei suoi avi e cancellando, solo in parte, le ripetute umiliazioni inflitte alla sua famiglia.

L’azione condotta dal Colonna e dal delegato francese scatena la ferma condanna da parte anche dei più accaniti oppositori del Caetani che stigmatizzano quel sopruso, ritenendolo un affronto inaccettabile, rivolto, non tanto al papa, quanto a Cristo stesso.

Ecco come Dante, non certo tenero con Bonifacio, ricorda nel XX canto del Purgatorio lo storico episodio dello schiaffo di Anagni:

veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,

e nel vicario suo Cristo esser catto.

Veggiolo un’altra volta esser deriso;

veggio rinovellar l’aceto e ‘l fele.

Se il papa sia stato realmente schiaffeggiato non è dato saperlo, probabilmente fu solo nella fantasia del Nogaret, ma di certo quell’irruzione nella nativa Anagni rappresenta un duro colpo per Bonifacio, coincidendo con l’inizio del suo rapidissimo declino che lo porta poche settimane dopo a morire.

Ecco il racconto del decesso di Bonifacio da parte del Villani: “il dolore impetrato nel cuore di papa Bonifazio per la ‘ngiuria ricevuta gli surse, giunto in Roma, diversa malatia, che tutto si rodea come rabbioso, e in questo stato passò di questa vita a dì XII d’ottobre, gli anni di Cristo MCCCIII, e nella chiesa di San Piero a l’entrare delle porte, in una ricca cappella fattasi fare a sua vita, onorevolemente fue soppellito.”

Le citazioni, eccezion fatta per quelle dantesche, sono tutte relative alla Nova Cronica di Giovanni Villani.

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