San Luigi dei Francesi, come suggerisce il nome stesso, è la chiesa nazionale del popolo transalpino, un edificio sacro costruito nel Cinquecento da Domenico Fontana (su disegno di Giacomo della Porta) per volontà espressa della comunità francese di Roma. Attraverso la rappresentazione di personaggi illustri e di celebri santi che si trovano sull’ampia facciata, viene esaltata la Francia come nazione e come società che ha donato all’umanità uomini e donne eccelsi. Ma è l’interno che sorprende e che è meta di numerosi visitatori attratti, oltre che dalle opere di Guido Reni e Domenichino, da un ambiente decorato con tre tele prodigiose. Stiamo parlando della cappella Contarelli, posta nella navata sinistra, che deve il suo nome all’italianizzazione del suo acquirente, il cardinale Mathieu Cointrel.

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CAPPELLA CONTARELLI: LE OPERE DI CARAVAGGIO, MAESTRO DEL REALISMO


Il prelato francese nel 1565 comprò questo luogo di preghiera e di raccoglimento con l’idea di abbellire la piccola cappella attraverso quadri raffiguranti le storie del santo suo omonimo, Matteo appunto. Dopo un primo incarico affidato al pittore Girolamo Muziano, i lavori negli anni successivi vennero commissionati ad altri artisti. Il motivo è semplice. Il cardinale Cointrel morì nel 1585, senza avere avuto il piacere di vedere la realizzazione delle tele e la cappella Contarelli, a venti anni dal suo acquisto, era ancora disadorna. Furono, quindi, gli eredi del cardinale ad occuparsi della decorazione di quel luogo sacro, affidandosi dapprima al Cavalier d’Arpino e poi, poco prima del 1600, a quel Michelangelo Merisi, meglio conosciuto come il Caravaggio.

Nel 1595 Caravaggio era entrato al servizio del cardinale Francesco Maria del Monte ed aveva cominciato a frequentare i salotti buoni di Roma, conoscendo nobili e alti prelati, conversando con loro e traendo ispirazione e guadagni dalla loro frequentazione. Ma il pittore lombardo amava passare le sue giornate anche nei bassifondi della città, impregnandosi dei fanghi e della sporcizia delle bettole, delle taverne, delle osterie di Roma. Il suo carattere turbolento lo vide protagonista di risse, ingiurie, scazzottate, duelli. Il carcere di Tor di Nona divenne più volte il luogo dove il pittore passò le sue notti ed i suoi giorni. Eppure proprio questo mescolamento di luoghi alti e bassi, di sacro e di profano, resero Caravaggio l’indiscusso pittore del realismo, tanto che Argan, riferendosi alla sua pittura, scrisse che “il motivo religioso è anche sociale: il divino si rivela negli umili”.

Così i poveri, i derelitti, gli ultimi entrano nelle tele riservate all’arte sacra, stravolgendo i canoni della pittura e rompendone gli schemi. È per questo motivo che molti suoi quadri, commissionati dalla Santa Romana Chiesa, vennero rifiutati perché considerati troppo disdicevoli e volgari. Ricordiamo lo scandalo legato al quadro che rappresentava La morte della Vergine, in cui il corpo di Maria che giace non ha alcun elemento mistico. È un corpo umano e basta. Un cadavere con il ventre gonfio, la posa scomposta, i piedi nudi. Inaccettabile per i frati poter esporre un simile scempio indecoroso in una chiesa di Trastevere. E ancora ricordiamo le polemiche legate alla rappresentazione poco ortodossa della Madonna dei Pellegrini, con i piedi sporchi ed i vestiti sudici e logori dei due devoti al cospetto di Maria e di Gesù.

“LA VOCAZIONE DI SAN MATTEO”

Caravaggio, "La Vocazione di San Matteo", Cappella Cottarelli, Chiesa di S. Luigi dei Francesi

Caravaggio, “La Vocazione di San Matteo”, Cappella Cottarelli, Chiesa di S. Luigi dei Francesi


Nel 1599 Caravaggio iniziò a dipingere i tre quadri che dovevano adornare la cappella Contarelli. Queste furono le prime grandi opere di carattere religioso del giovane pittore, tele che segnarono un punto di svolta nel suo modo di fare pittura. Sulla parete di sinistra si trova la Vocazione di San Matteo, un quadro mirabile per i chiaroscuri e per i rimandi alla simbologia della luce. In questa tela, la scena si distribuisce su due piani distinti, divisi orizzontalmente da una linea che separa la luce dall’oscurità. A sinistra è rappresentato un ambiente interno, un ufficio della dogana, in cui sono seduti  in una fitta penombra dei personaggi abbigliati con vestiti contemporanei al pittore; sul tavolo c’è del denaro che si sta contando. A destra si trovano Gesù e San Pietro, anch’essi avvolti dall’oscurità, che con la mano indicano uno di quegli uomini. È il momento in cui, secondo quanto riportato dal Vangelo, Cristo dice a Matteo: “Seguimi”. Dall’alto penetra un fascio di luce che colpisce ed illumina il volto di Matteo, di quell’esattore delle imposte incredulo, che rivolge l’indice verso se stesso come a dire: “Io? È proprio me che cerchi?”. È la chiamata all’apostolato, la conversione immediata, fulminea, la vocazione verso una vita nuova.

“IL MARTIRIO DI SAN MATTEO”

Caravaggio, "Martirio di San Matteo", Cappella Contarelli

Caravaggio, “Martirio di San Matteo”, Cappella Contarelli

Sulla parete di destra della cappella Contarelli, invece, si trova il Martirio di San Matteo, in cui al centro della scena emerge il carnefice, avvolto da un groviglio di corpi e di persone inorridite per quanto sta accadendo. Ecco nuovamente la luce che inquadra come un occhio di bue il protagonista del palcoscenico: l’assassino etiope che prende il santo per un braccio mentre sta celebrando messa e che, di lì a poco, lo colpirà a morte. Dall’alto si affaccia un angelo che da una nuvola porge la palma del martirio a Matteo. La composizione scenica è piena di corpi, di volti e l’uomo con la barba, a sinistra del quadro, è lo stesso Caravaggio che, testimone dell’evento e con la fronte corrugata, assiste al martirio.

“SAN MATTEO E L’ANGELO”

Caravaggio, "Vocazione di San Matteo", Cappella Contarelli

Caravaggio, “Vocazione di San Matteo”, Cappella Contarelli

Infine, ammiriamo la pala centrale, San Matteo e l’angelo, l’ultima tela dipinta da Caravaggio, la pala centrale che ritrae il santo nell’atto di scrivere il suo Vangelo mentre trae ispirazione dal messaggero celeste. Si tratta della seconda versione del quadro: la prima realizzazione, infatti, aveva un impianto ed una composizione diversi da quello che possiamo ammirare oggi nella tela. Nel quadro acquistato dal marchese Vincenzo Giustiniani, e purtroppo andato distrutto durante la seconda guerra mondiale, San Matteo appare come un popolano che riceve l’aiuto dell’angelo nel momento in cui comincia a scrivere il Vangelo. Più che dall’ispirazione celeste, il santo viene assistito dal messaggero che gli indirizza la mano sul testo sacro, come fosse un analfabeta. Nel quadro della cappella Contarelli, invece, San Matteo appare in una veste più aulica: indossa un abito da dotto dai colori caldi e, in posa precaria e con un ginocchio piegato, si gira verso l’angelo mentre è intento a scrivere il Vangelo.

Il ciclo di San Matteo della Cappella Contarelli è un meraviglioso scrigno che consente di ammirare dal vivo ed in maniera del tutto gratuita l’abilità del Caravaggio, il suo tocco sapiente e raffinato in grado di giocare con le luci e le ombre della natura e dell’uomo.

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