“La bocca mi baciò tutto tremante. / Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse: / quel giorno più non vi leggemmo avante”. Sono versi famosissimi, a parlare è Francesca da Polenta che racconta a Dante, nel canto V dell’Inferno, la sventurata vicenda che coinvolse lei e il suo amante Paolo e le loro ultime drammatiche ore, prima che la lama mortifera di Gianciotto spegnesse la vita di quei due sfortunati giovani. A fare da quinta a quella struggente storia – che tanto coinvolse il sommo poeta e che suscitò la fantasia di altri letterati come ad esempio Gabriele D’Annunzio con la sua Francesca da Rimini che la grande Eleonora Duse portò con successo sui palcoscenici di tutta Italia – fu il Castello di Gradara, un posto magico nelle Marche dove il tempo sempre davvero essersi fermato, fra echi di storie indimenticabili e panorami mozzafiato.

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LE ORIGINI DEL CASTELLO DI GRADARA

Castello di Gradara, torre merlata

Castello di Gradara, torre merlata

La storia di questo maniero, posto alla sommità della rocca di Gradara che scruta il mare Adriatico (il nome Gradara deriva dalla crasi delle parole latine grata aurea, “gradita aria”, per la salubrità del clima collinare che felicemente incontra quello marino), parte da lontano e comincia nel 1150, quando venne costruito il nucleo originario del castello per volontà dei fratelli Piero e Rodolfo De Grillo. A questi spettò anche il merito di rendere il borgo di Gradara indipendente dall’amministrazione pesarese e di costruire il grande Mastio, che ancora oggi troneggia e da cui si ammira la splendida vallata del Taviolo.

GRADARA E LA FAMIGLIA MALATESTA

Castello di Gradara, interno della stanza di Francesca e pala di Giovanni Santi

Castello di Gradara, interno della stanza di Francesca e pala di Giovanni Santi

Sul finire del XII secolo la fortezza di Gradara, realizzata secondo i tipici dettami architettonici medievali, passò di mano, divenendo la dimora della potente famiglia dei Malatesta, originaria della vicina Rimini e padrona di molte terre nella zona collinare a ridosso del mare e della collina preappenninica. Sotto i Malatesta la struttura fu ampiamente fortificata; furono, ad esempio, create 700 metri di cinte murarie con 17 torri merlate, riadattandola, in tal modo, alle nuove esigenze difensive dettate dal cruciale passaggio dalle armi bianche a quelle da fuoco.

Il dominio dei Malatesta sul castello di Gradara si concluse definitivamente, dopo alterne e complesse vicende, nel 1463, allorché Sigismondo Pandolfo Malatesta – che il poeta americano Ezra Pound eternò definendolo “il miglior perdente della storia” – dopo un lungo assedio alla rocca condotto dallo storico nemico Federico da Montefeltro, dovette lasciare definitivamente la proprietà del castello, che tanto era stato legato alla sua famiglia fin dai tempi del capostipite Malatesta da Verucchio, detto Mastin Vecchio.

Da quel momento in poi la magione fortificata cambiò spesso proprietario, passando dagli Sforza, che lo avevano benignamente ottenuto nella persona di Alessandro da papa Pio II dopo l’assedio del 1463, ai Della Rovere, senza dimenticare i membri della famiglia Borgia (Lucrezia vi soggiornò tre anni rimanendo piacevolmente colpita dal panorama collinare che lento degrada verso il mare), nonché della fiorentina famiglia dei Medici.

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IL CASTELLO DI GRADARA DAL XX SECOLO AD OGGI

Terracotta invetriata di Della Robbia

Interno del Castello di Gradara, terracotta invetriata di Della Robbia

Nel 1920 – dopo che dal 1631 il Castello di Gradara, insieme a tutto il territorio del Ducato di Pesaro e Urbino, passò sotto la giurisdizione dello Stato Pontificio – l’ingegnere Umberto Zavettoni, ereditato il cospicuo patrimonio familiare dopo la morte dei genitori, di cui era figlio unico, esaudì il sogno di una vita, quello di acquistare il castello. Per realizzare quell’adolescenziale desiderio, il giovane Umberto aveva più volte espresso ai genitori la voglia di acquistare la decadente rocca e il maniero, anch’esso profondamente in rovina a causa di anni di razzie, specie in età francese, nonché per il rovinoso terremoto del 1916; per farlo non badò decisamente a spese visto che sborsò al proprietario la considerevole cifra di tre milioni di lire.

A questa iniziale somma si aggiunsero altre cifre a più zeri necessarie per il restauro del castello e di tutto il borgo che, dopo tre anni di fitti lavori, tornò agli splendori passati, unitamente alle straordinarie opere in esso contenute, come la bellissima Pala Robbiana. Eseguita nel 1480 da Andrea della Robbia (nipote del più celebre Luca, per molti anni ritenuto erroneamente il suo realizzatore) per la cappella malatestiana del castello, la terracotta invetriata – una tecnica portata alla perfezione dalla famiglia di scultori fiorentini – dentro un’edicola classica riproduce una Madonna con il Bambino con intorno figure di santi e sante.

Gradara, panorama

Castello di Gradara, panorama

La famiglia Zavettoni rimase proprietaria del castello fino al 1983, allorché morì la seconda moglie dell’ingegnere, donna Alberta Porta Natale che aveva mantenuto il maniero nel modo migliore, apportando poche migliorie, fra cui un terrazzo con vista mare che, però, dall’esterno non è praticamente visibile. Come da lascito testamentario, morta l’ultima erede, il castello di Gradara, come tutto il borgo, passò allo stato italiano che lo ha trasformato in un museo, fra i più visitati delle Marche.

Oltre alla già citata pala Robbiana e agli arredi castellani, fra cui alcuni originali letti a baldacchino (talami che per la loro conformazione garantivano, nel momento in cui venivano tirati i pesanti drappeggi, un minimo di intimità, decisamente minacciata dalle caratteristiche stanze a fuga che caratterizzavano allora i castelli e i palazzi signorili, sale in successione in cui si accedeva passando dall’una all’altra, senza servirsi di corridoi, un elemento architettonico introdotto solo a partire dal Settecento), degne di nota sono la Sala dei putti e la Pala di Giovanni Santi, padre del più celeberrimo figlio Raffaello, meglio noto come Sanzio.

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