Il piccolo paese di Cellere (VT), circondato dai boschi dell’alto viterbese, lega il suo nome alla storia del brigantaggio post-unitario e ad una chiesa rinascimentale realizzata da Antonio da Sangallo il Giovane. Appartenente allo Stato della Chiesa, Cellere conobbe il suo periodo di splendore durante la sua appartenenza al ducato di Castro, costituito per volere di papa Paolo III Farnese. Il pontefice, nell’ottobre 1537, fondò il nuovo feudo e lo affidò a suo figlio Pier Luigi. Ma l’egemonia della famiglia Farnese su quei territori durò poco perché nel 1649 ritornò un possedimento della Chiesa, dopo che papa Innocenzo X Pamphilj decretò la distruzione della città di Castro.

CELLERE E ANTONIO DA SANGALLO IL GIOVANE: LA CHIESA DI S. EGIDIO

Cellere. Particolare dell'interno della Chiesa di Sant'Egidio

Cellere. Particolare dell’interno della Chiesa di Sant’Egidio

In quel territorio lavorò alacremente un giovane architetto fiorentino, allievo del Bramante, che legherà parte della sua carriera alla famiglia Farnese: Antonio da Sangallo il Giovane, che lascerà a Cellere una delle sue opere meno conosciute ma comunque considerata un gioiello rinascimentale. Incastonata nel verde ed attorniata da boschi frondosi, la chiesa di Sant’Egidio si apre improvvisa agli occhi dei visitatori. Costruita nei primi decenni del Cinquecento (1512-1520), l’edificio religioso presenta una cupola conica ed un timpano triangolare. L’interno a croce greca è costituito da quattro cappelle che presentano affreschi raffiguranti Sant’Egidio, San Giovanni Evangelista, nonché una Decapitazione del Battista.

La chiesa di Sant’Egidio venne costruita nelle vicinanze di un edificio religioso dedicato sempre al santo e demolita alla fine del Cinquecento. Divenne meta dei pellegrini e dei fedeli, soprattutto in occasione della festa dedicata al santo patrono del paese, quando il primo giorno di settembre venivano organizzate corse con i cavalli in onore di Sant’Egidio.

CELLERE E IL MUSEO DEL BRIGANTAGGIO

Museo del Brigantaggio di Cellere

Museo del Brigantaggio di Cellere. A sinistra una riproduzione del brigante Domenico Tiburzi

Lasciata la chiesa si entra nel borgo di Cellere dove si trova il Museo del Brigantaggio, collegato agli altri due musei laziali di Itri (LT) e di Sonnino (LT), che raccontano il fenomeno del banditismo ottocentesco al confine con il Regno delle Due Sicilie. Il museo di Cellere, aperto nel 2007, racconta invece storie del brigantaggio nelle terre di confine tra lo Stato della Chiesa ed il Granducato di Toscana.

Al piano terra vengono affrontate le ragioni del banditismo in terra maremmana, una zona interessata dalla malaria che falcidiava ogni anno migliaia di persone. Qui operavano piccole bande formate da tre, quattro persone che si spartivano il territorio. Il giornalista Adolfo Rossi, corrispondente de La Tribuna, decise di mettersi sulle tracce del brigante Domenico Tiburzi, latitante già da ventuno anni. Era il 12 luglio 1893 e le vicende della sua ricerca si ritrovano nelle parole e negli oggetti presenti nel museo. Giunto a Cellere dalla stazione di Viterbo con un carretto tirato da due cavalli, Rossi è affascinato dalla figura del brigante tanto da dipingere i suoi omicidi e le sue angherie come delle ‘esecuzioni capitali di spie e di traditori’. Questa descrizione ‘romantica’ di Tiburzi farà nascere il mito di un brigante buono, rispettato dalla sua popolazione. “È un fatto” – scriveva Adolfo Rossi nel suo libro Nel regno di Tiburzi – “che Domenico Tiburzi non ha mai assaltato né una diligenza né un viandante. Da gran brigante egli ha disdegnato sempre le volgari grassazioni. […] Egli tratta unicamente coi signori a cui impone una taglia fissa proporzionata alle loro proprietà. E in cambio garantisce le proprietà stesse poste sotto il suo dominio”.

Eppure così galantuomo non doveva essere se – come ci ha raccontato la gentile Marianna Febbi, guida turistica che ci ha accolto nel museo – Tiburzi uccise in maniera efferata Antonio Vestri, colpevole di averlo denunciato ai Carabinieri in cambio della taglia di venti lire che pendeva sulla sua testa. Il brigante, fuggito alla retata, si vendicò subito dopo uccidendo e facendo a pezzi il suo delatore; secondo un’altra versione, Tiburzi fece ritrovare cadaveri anche i due asini che lo accompagnavano.

Attraverso voci, percorsi multimediali, suoni, pannelli mobili e cassetti da aprire, nel Museo del Brigantaggio è possibile ripercorrere la storia di questa terra rappresentata simbolicamente dagli alberi del bosco (dai cui rami scendono delle tessere informative) e dalla locomotiva che proietta, dal suo schermo, le immagini di una terra contadina, lontana dalle grandi vie ed infestata dalla malaria. Il treno, la grande promessa del Regno d’Italia e poi dello Stato italiano, avrebbe dovuto facilitare i collegamenti con Roma e con il resto del paese ma qui non è mai arrivato.

Il museo custodisce vari oggetti legati alle vicende del brigantaggio quali la pistola di Tiburzi, le manette con le quali venne arrestato, la borsa da viaggio ed il carretto del giornalista Rossi, nonché le foto dei briganti, tutte realizzate dopo la loro morte. Al piano superiore invece, attraverso tre voci diverse, vengono raccontate alcune storie legate a Tiburzi e, in una stanza, si trova la ricostruzione della taverna del brigante con un tavolo di legno e degli oggetti di vita quotidiana.

Per chi fosse interessato a realizzare delle visite guidate a Cellere e dintorni (Tuscia e Maremma) è possibile contattare l’Associazione Thesan, che organizza escursioni e trekking con guide turistiche e guide ambientali-escursionistiche.

Per prenotare l’apertura del Museo del Brigantaggio e/o della Chiesa di Sant’Egidio si può contattare il Comune di Cellere al numero 0761/451791 oppure la ProLoco di Cellere alla seguente email: prolococellere@gmail.com.

 

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