Il 29 settembre 1938 si riunirono a Monaco di Baviera, che aveva fatto da cornice ai primi e tentennanti esordi politici del futuro Fuhrer, i rappresentanti di quattro paesi europei: Germania, Italia, Francia e Gran Bretagna. A fare da anfitrione a Benito Mussolini, Neville Chamberlain e Edouard Daladier, un raggiante Adolf Hitler. Il motivo della conferenza di Monaco fu uno solo: garantire la pace ed evitare a tutti i costi una nuova guerra.

29 SETTEMBRE 1938: LA CONFERENZA DI MONACO

Sul vecchio continente aleggiava da qualche tempo il sinistro desiderio del capo nazista di invadere la Cecoslovacchia per annettere il territorio dei Sudeti. Alla base di questa rivendicazione c’era ancora una volta la dottrina del Lebensraum (lo “spazio vitale”). Per Hitler tutti quei territori, di fatto tedeschi, dovevano necessariamente essere riuniti sotto un’unica bandiera, quella del Terzo Reich. Così anni addietro aveva scritto nel suo Mein Kampf: «Senza considerazione per le tradizioni e i pregiudizi, il nostro popolo deve trovare il coraggio di unire il proprio popolo e la sua forza per avanzare lungo la strada che porterà il nostro popolo dall’attuale ristretto spazio vitale verso il possesso di nuove terre e orizzonti, e così lo porterà a liberarsi dal pericolo di scomparire dal mondo o di servire gli altri come una nazione schiava».

Una volta raggiunto il potere, in poco tempo, era passato dalla teoria alla pratica. Nel marzo del 1938, senza nessun tipo di reazione internazionale, sulla falsariga di quanto già accaduto in Spagna e in Etiopia, l’Austria, uno stato indipendente, spariva dalle cartine geografiche, fagocitato dalla Germania nazista. Ora toccava ai Sudeti. Due mesi dopo l’Anschluss austriaco, Hitler estendeva le sue mire espansionistiche su una porzione di territorio a nord della Cecoslovacchia, stato multietnico partorito dal mostro di Versailles, dove la nuova Europa, all’indomani della conclusione della Prima guerra mondiale, era stata ridisegnata in modo insensato, sulla base di assurdi criteri che, in nuce, contenevano già il germe della divisione e di possibili nuovi conflitti.

CRISI DEI SUDETI. L’OCCUPAZIONE TEDESCA DELLA CECOSLOVACCHIA

Adolf Hitler alla Conferenza di Monaco

Adolf Hitler alla Conferenza di Monaco

Nei Sudeti, territorio che prima della guerra apparteneva alla Germania, era presente una forte minoranza tedesca che da anni, anche sotto l’impulso della politica nazionalista promossa da Konrad Henlein, fondatore nel 1933 del Sudetendeutsche Partei, rivendicava il ricongiungimento con Berlino. Nelle elezioni del maggio del 1935, il Partito tedesco dei Sudeti, aveva ottenuto uno strabiliante successo, affermandosi come la seconda forza politica della Cecoslovacchia. Tale vittoria, tuttavia, non portò all’ingresso nel nuovo governo di nessuno dei capi del Sudetendeutsche Partei, con l’effetto di rendere la situazione più incandescente. Alcune settimane dopo, in occasione delle elezioni per la carica di presidente della repubblica cecoslovacca, la componente tedesca perlopiù si astenne, ritenendo la via dell’annessione alla Germania non più rimandabile. Il 23 febbraio 1937, Konrad Henlein, in un discorso pronunciato durante un comizio a Praga, sostenne che la sintonia con il nazismo fosse sempre più forte, più netta.

Il governo ceco tentò una mediazione, formulando una proposta che riconoscesse i diritti dei tedeschi dei Sudeti, definiti una “seconda nazionalità dello Stato”. Ma la situazione era mutata anche in virtù dell’annessione dell’Austria. Quel fatto aveva dimostrato come la riunificazione alla Germania fosse possibile e, per questo, gli strali del partito di Henlein contro il governo di Praga, si fecero più minacciosi, corroborati anche dall’appoggio per nulla velato di Hitler. Questi, inizialmente, si era schierato a favore del diritto degli abitanti dei Sudeti di autodeterminarsi, principio tanto caro all’ex presidente americano Wilson, poi, forte della sostanziale inerzia internazionale, della titubanza del governo ceco e della forza politica del Sudetendeutsche Partei, cominciò a parlare apertamente in pubblico di una possibile annessione, sul modello di quella austriaca.

Mussolini alla Conferenza di Monaco

Mussolini alla Conferenza di Monaco

Annettere i Sudeti non significava solo riunire una porzione di territorio culturalmente e linguisticamente tedesco. Voleva anche dire mettere le mani sulla regione industrialmente più evoluta della Cecoslovacchia, in cui aveva sede l’azienda più importante: la Skoda, azienda in larga misura controllata dal gruppo francese Schneider. Inoltre, con l’eventuale annessione dei Sudeti, Praga perdeva l’unica difesa naturale da possibili invasioni militari. Il territorio, infatti, era caratterizzato da un’invalicabile catena montuosa lunga circa 300 chilometri, posta al confine fra la Cecoslovacchia e la Germania.

Proprio per scongiurare una possibile guerra che, Hitler a parte, nessuno voleva, le cancellerie europee si fecero promotrici di un incontro nel quale affrontare e risolvere pacificamente la questione. L’idea della conferenza di Monaco fu essenzialmente di Mussolini che sperava, riunendo tutte le parti, di trovare una forma di compromesso fra le pretese tedesche e le istanze anglo-francesi. D’altra parte, il leader del Sudetendeutsche Partei fin dal 17 settembre era stato chiaro: l’unica via d’uscita era quella dell’annessione alla Germania ma questa condizione era lontana anni luce dai desiderata di Londra e Parigi. La conferenza che si aprì a Monaco il 29 settembre 1938, presso la Casa Bruna, la sede del Partito nazionalsocialista e che si concluse il giorno successivo, sancì quello che mesi prima sembrava impossibile. La Cecoslovacchia, assente al tavolo bavarese, sarebbe stata mutilata del suo territorio più importante e strategico e tutto con il fondamentale assenso dei principali stati europei.

In fin dei conti, le intenzioni dei rappresentanti europei in merito alla questione dei Sudeti, erano chiare prima ancora che si aprisse la conferenza di Monaco, che allo stato dei fatti fu una sorta di appariscente formalità.

Così lo storico francese Pierre Milza sull’incontro del settembre del 1938:

«Nel sedersi al tavolo dei negoziati, tutti sapevano che il dibattito sarebbe stato un semplice pro forma e che i rappresentanti delle democrazie dovevano, praticamente su tutti i punti, accettare le richieste del Führer. Per Deladier e Chamberlain si trattava essenzialmente di salvare la faccia.»

Mussolini, in particolare, in un discorso tenuto a Verona tre giorni prima, così aveva palesato le finalità della prossima conferenza: «È inutile che i diplomatici si affatichino ancora per salvare Versaglia [italianizzazione di Versailles]. L’Europa che fu costruita a Versaglia, spesso con una piramidale ignoranza della geografia e della storia, questa Europa agonizza. La sua sorte si decide in questa settimana. È in questa settimana che può sorgere la nuova Europa: l’Europa della giustizia per tutti e della riconciliazione fra i popoli.»

LE CONSEGUENZE NEFASTE DELL’ACCORDO DI MONACO

Accordi di Monaco: Chamberlain e Hitler

Neville Chamberlain e Adolf Hitler

A Monaco si decise che il territorio dei Sudeti sarebbe stato annesso entro dieci giorni alla Germania per la felicità di tutti. Le foto dei quattro leader europei al termine dell’accordo di Monaco, testimoniavano una ritrovata serenità a discapito della Cecoslovacchia che, di fatto, veniva condannata a morte. Il paese perdeva non solo la sua formidabile linea di difesa, la fabbrica d’armi della Skoda, la seconda dell’Europa centrale, ma anche un quarto della sua industria chimica, il 39% di quella metallurgica, il 50% delle miniere di carbone e la maggior parte di quelle di lignite, nonché più della metà della fondamentale industria dei cristalli.

«I protocolli di Monaco non erano ancora umidi di inchiostro» – come scrisse lo storico Corrado Barbagallo – «che le vicine Potenze, gelose rivali della sua passata fortuna, le quali da anni spiavano l’occasione propizia per far valere le loro richieste, si affrettarono a farsi avanti. Prima la Polonia e poi l’Ungheria strapparono pezzi importanti di territorio, cannibalizzando un paese sull’orlo della fine.»

A infliggere il colpo ferale fu ancora Hitler che, il 13 marzo 1939, ordinò alle sue truppe di invadere ciò che rimaneva della Cecoslovacchia. A Praga, ora, sventolava la sinistra bandiera uncinata.

Le sorridenti rassicurazioni del Führer, che aveva garantito che con l’annessione dei Sudeti le rivendicazioni tedesche erano definitivamente concluse, erano un lontano ricordo. Così come erano state dimenticate le gioiose manifestazioni di entusiasmo che accolsero Chamberlain, Daladier e soprattutto Mussolini al loro rientro in patria. Quest’ultimo rimase particolarmente colpito dall’accoglienza che gli italiani, già al confine con la Germania, gli riservarono. Non si trattava di manifestazioni di consenso sapientemente organizzate dalla propaganda fascista, ma dello spontaneo desiderio degli italiani di pace. Mussolini in quell’occasione si rese conto che il suo popolo non aveva nessuna voglia di guerra e che gli slogan bellici, che sfoderava dal balcone di Palazzo Venezia, erano per gli italiani null’altro che vacue parole.

La Conferenza di Monaco, che Pierre Milza definì «di tutti gli incontri che ebbero luogo prima e durante la guerra  (…) senza alcun dubbio il più improvvisato e il più confuso» fu la capitolazione delle potenze straniere, la resa incondizionata delle democrazie europee (Francia e Inghilterra) al cospetto dell’arroganza nazista. Profetiche furono le parole che Winston Churchill pronunciò alla Camera dei Comuni il 5 ottobre 1938: «Dovevate scegliere tra la guerra ed il disonore. Avete scelto il disonore e avrete la guerra».

E così fu. Il 1° settembre 1939 le truppe naziste invasero la Polonia. Iniziava la Seconda guerra mondiale, una catastrofe senza ritorno.

 

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