Viaggio alla scoperta della costa degli Etruschi, dall’entroterra toscano al mare. A vederla oggi, quell’isola colorata anche d’inverno dalla sua sempreverde macchia mediterranea che in primavera sprigiona le tinte accese delle fioriture dei cisti e delle ginestre e che in estate è colorata da ombrelloni, costumi e materassini che invadono le sue spiagge, sembra impossibile che il suo nome, Elba, derivi invece da ciò che ne ha caratterizzato maggiormente la storia: la fuliggine.

COSTA DEGLI ETRUSCHI: COSA VEDERE

Le naturali ricchezze minerarie della Toscana tirrenica e insulare furono una delle principali fortune degli Etruschi sin dall’età eloquentemente chiamata ‘del ferro’ (IX-VIII a.c). Molta parte di quel ferro veniva estratto e lavorato proprio dall’isola d’Elba che le navi greche avvistavano da lontano grazie ai fumi e i bagliori che fuoriuscivano di giorno e di notte dagli altiforni e che per questo chiamarono Aithàle – ‘fuliggine’.

Cosa vedere nella costa degli Etruschi

A piedi nelle Terre degli Etruschi in Toscana

Solo nel medioevo il nome cambiò prima in Ilva (dal popolo di origine ligure degli Ilvati che vi abitarono) e poi nel quasi definitivo Helba. Oggi questa storia è ben rappresentata dal piccolo museo archeologico di Rio nell’Elba che, insieme alle ricostruzioni dei forni etruschi nel Parco Sperimentale di Portoferraio, permette, a chi volesse, di ripercorrere le tappe della storia mineraria dell’isola, vivendola più in profondità rispetto al piacevole ma assai scontato contesto balneare.

Col tempo, il problema che si pose di fronte agli intraprendenti etruschi elbani fu l’eccessivo disboscamento necessario ad alimentare gli altiforni: gli alberi nell’isola stavano praticamente finendo. Per ovviare agli altissimi costi di trasporto del legname dalla terraferma all’isola, l’ingegnoso popolo decise allora di spostare la lavorazione del metallo in continente.

Questo il principale motivo per cui nacque l’unica città sul mare della famosa dodecapoli etrusca: Populonia (Pupluna). La sua collocazione geografica inconsueta, presenta similitudini con alcune città dell’Asia Minore e con Marsiglia, con le quali Pupluna era infatti in contatto.

Alla sua posizione, che domina su tre lati il mare con una visione diretta delle isole dell’Arcipelago Toscano, si deve in parte la fortuna della città da subito protagonista degli scambi commerciali del Mare Nostrum.

L’altra fortuna furono, naturalmente, il ferro e i minerali. La città, i cui resti della necropoli dominano oggi il meraviglioso golfo di Baratti, divenne dal VI secolo A.C uno dei principali siti di lavorazione del ferro. Se vi capitasse di camminare scalzi sulla spiaggia di Baratti magari dopo una visita alla necropoli etrusca e prima di intraprendere una passeggiata verso l’incantevole scogliera sul mare che prende il nome di ‘buca delle fate’ (passeggiata magnifica di solo un paio d’ore), fate attenzione a delle strane schegge piccolissime ed argentee che resteranno attaccate ai vostri piedi nudi.

Sono i residui della lavorazione ferrosa che, tra etruschi e romani, lasciò del golfo una massa di scorie di circa due milioni di tonnellate. Tra il VI e il I secolo a.C., infatti, il paesaggio del golfo di Baratti, località che insieme a Piombino segna il confine meridionale della cosiddetta costa degli Etruschi, era diviso tra attività portuali, mercantili e metallurgiche.

Miniere di Montebamboli

A sinistra i resti di una vecchia miniera a Montebamboli, località del comune di Massa Marittima

Quando Roma poi conquista il Mediterraneo, con la seconda guerra punica, alla fine del III secolo a.C., Populonia diventa il luogo di produzione massificata di ferro grezzo mentre tra Pisa e Arezzo viene trasferita la produzione degli utensili. Ma sempre di scorie ferrose si tratta. Solo nei secoli successivi, circa dalla metà del I secolo A.C., l’attività metallurgica, che si sposta a Piombino, lascia il posto a quella portuale.

La caratteristica principale della costa abitata dagli Etruschi è senza dubbio la sua interdipendenza sia con le rotte marine verso il resto del Mediterraneo che con il ventre interno delle sue colline dalle quali, soprattutto nella zona corrispondente alla provincia di Massa Marittima, nella Maremma grossetana, si è estratto per secoli minerali preziosi.

Le colline metallifere

Le colline metallifere

Mentre nell’aretino e nel volterrano si trovavano giacimenti di rame, il distretto delle Colline Metallifere forniva all’aria di Vetulonia e Populonia un ampia gamma di minerali pregiati come la pirite, lo zolfo, lo zinco e l’argento. Di quest’ultima area mineraria il sito meglio noto e più ampiamente indagato è il villaggio dell’Accesa accanto all’omonimo lago che, insieme al Museo Archeologico di Massa Marittima, restituisce un interessante spaccato dell’evoluzione della società etrusca in relazione alle attività estrattive e metallurgiche.

Se il profilo del golfo di Baratti e la sagoma inconfondibile dell’isola d’Elba caratterizzano la parte meridionale dei circa 100 km di costa che da Piombino a Livorno viene indicata come costa degli Etruschi, è la località di San Vincenzo che ne rappresenta il punto centrale. La località prende il nome da una delle torri costiere poste a difesa dalle incursioni saracene intorno alla quale nacque il primo nucleo abitato costituito soprattutto da pescatori.

Il paese si sviluppò intorno al 1800 dopo la costruzione della ferrovia che collegava la località a Firenze, Pisa e Roma. In pochi decenni il villaggio fiorì come meta balneare d’eccellenza ospitando viaggiatori speciali come, tra gli altri, Luigi Pirandello.

Oggi sono soprattutto le bellezze naturali del suo litorale, insignito della bandiera blu, a costituire il principale punto di interesse del turista: dagli stabilimenti balneari attrezzati al Parco libero di Rimigliano o la spiaggia per cani tra le migliori d’Italia.

La vocazione di villaggio di pescatori di San Vincenzo è oggi ribadita e confermata dalla sua specialità gastronomica: la palamita (presidio slow food). Pesce azzurro saporito e molto simile al tonno, viene celebrato ogni anno con apposite manifestazioni gastronomiche e culturali che soprattutto in primavera animano il paese sul mare.

L’ENTROTERRA DELLA COSTA DEGLI ETRUSCHI: BOLGHERI

Si torna poi nella letteratura parlando di un altro centro davvero speciale nell’entroterra della costa degli Etruschi: Bolgheri. A soli dieci chilometri dal mare, accoglie il visitatore con il suo celeberrimo viale di cipressi descritto da Giosuè Carducci (a Castagneto Carducci è visitabile la sua casa natale).

…”I cipressi che a Bolgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti,
Mi balzarono incontro e mi guardar.”…

E se c’è qualcosa che accompagna bene la lettura, è un buon bicchiere di vino rosso. Impresa facile a Bolgheri dove si potrebbe fare una pausa letteraria sorseggiando un bicchiere del DOC Bolgheri Sassicaia. La storia ha inizio nel 1944 quando Mario Incisa della Rocchetta impianta a Castiglioncello di Bolgheri il primo vigneto di Cabernet. Nel 1968 nasce la prima bottiglia di Bolgheri Sassicaia e nel 1994 l’etichetta acquista la DOC del vino rosso che disciplina Bolgheri Superiore e Bolgheri Sassicaia.

Il vino di Bolgheri è definito come l’espressione mediterranea di Cabernet e Merlot che si esprime anche con l’autoctono Vermentino, molto diffuso nella zona. Oggi Bolgheri Sassicaia è tra i più grandi vini del mondo.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Cammini, trekking e borghi (@passaggilenti)

BIBBONA E LE SUE ORIGINI ETRUSCHE

Il viaggio, preferibilmente lento, a piedi o in bicicletta, attraverso questa striscia di Toscana, fra la val di Cornia e la val di Cecina e ancora ai margini dell’immaginario turistico che rimanda alle dolci colline del Chianti o a quelle tipiche della Val d’Orcia con la splendida Pienza, potrebbe terminare nel territorio di Bibbona. Prima, certamente con una visita all’omonima cittadina che vanta, chiaramente, antiche origini etrusche.

Proprio a questo periodo risale una famosa e originale statuetta bronzea raffigurante un capro (sì, il maschio della capra) che oggi è conservata nel Museo Archeologico di Firenze. Nel raccolto centro del paese si trova il Castello di Bibbona, protetto dalle maestose mura e la Pieve di Sant’Ilario, datata 1175 e che costituisce una delle poche chiese romaniche della zona che si è salvata dalle razzie dei pirati saraceni.

Scendendo poi verso il mare della Marina di Bibbona, merita una pausa caffè la località dall’evocativo nome di La California. Qua, più che qualcosa da vedere, il viaggiatore potrebbe, mentre sorseggia il suo caffè o si fa preparare un panino nell’ottimo forno, riflettere sulla storia del viaggio e della mobilità umana che da sempre unisce i confini e, come in questo caso, costruisce le identità dei luoghi.

Le circostanze che portarono a battezzare una minuscola frazione del comune di Bibbona come il nome di uno degli stati più iconici degli Stati Uniti d’America risalgono alla metà dell’Ottocento. Si ritiene che il toponimo derivi da Leonetto Cipriani che dalla costa degli Etruschi (certamente allora non ancora chiamata tale) emigrò a San Francisco dove fu anche console onorario. Una volta tornato a casa, si stabilì in una fattoria nel borgo allora costituito da contadini e pescatori. Con un misto di gratitudine e nostalgia battezzò la fattoria con il nome di La California, appellativo che con il tempo si estese all’intera frazione.

Ringraziamo la guida ambientale di ViandArte Irene Pellegrini per l’articolo e le foto.

Per approfondire:

 

Leggi anche:
Sulle colline dell'Albegna fuori dal caos e dagli stereotipi
Grand Tour Enogastronomico: intervista a Irene Pellegrini
Cosa vedere in Toscana: la guida di Passaggi Lenti
Cala Violina a Scarlino, una delle spiagge più belle della Toscana