Può un saggio, oltretutto dedicato a un’opera in latino di più di duemila anni fa, suscitare emozioni come se fosse un intrigante romanzo d’avventura o un avvincente thriller? Nel caso de Il Manoscritto assolutamente sì. Scritto nel 2012 dallo studioso inglese Stephen Greenblatt, edito in Italia per i tipi di Rizzoli e premiato con il Pulitzer per la saggistica, “Il Manoscritto” racconta la perigliosa ricerca dell’ultima copia sopravvissuta del De rerum natura di Lucrezio da parte dell’umanista Poggio Bracciolini.
DE RERUM NATURA, IL POEMA DI LUCREZIO SPARITO E RITROVATO
A sinistra Lucrezio. Al centro la copertina de Il Manoscritto. A destra Epicuro
Una vicenda incredibile quella del poema del filosofo latino Tito Lucrezio Caro che, come il suo stesso autore, sembra muoversi nell’ombra; di lui, infatti, si conoscono a malapena le date della nascita e della morte, mentre quella del poema rimane praticamente ignota.
Amato fin da subito, anzi per certi aspetti quasi venerato, il De rerum natura fu celebrato da Cicerone, che in una lettera al fratello Quinto, datata 11 febbraio del 54 a.C., così si esprimeva in merito all’opera di Lucrezio: “E’ proprio come mi scrivi: rivela uno splendido ingegno, ma anche notevole abilità artistica”.
Ma come mai un poema così bello, capace di suggestionare artisti del calibro di Botticelli ma anche Giordano Bruno, Shakespeare, Freud e perfino Einstein, ad un certo punto sparì misteriosamente come se non fosse stato mai stato scritto?
I motivi sono tutti indicati con sapienza nel libro di Greenblatt, insieme alla spasmodica ricerca dell’ultima copia che portò Poggio Bracciolini, dopo aver attraversato le “colline e le valli boscose della Germania meridionale”, fino al monastero di Fulda. E fu proprio in quel luogo lontano “che si riteneva conservasse una notevole quantità di manoscritti antichi”, che finalmente il grande umanista trovò quello che tanto invano aveva cercato, restituendo al mondo un testo di rara bellezza, in cui la dottrina di Epicuro, fedelmente esposta da Lucrezio, diveniva, prendendo in prestito le parole di Blaise Pascal, “comprensibile al cuore”.
Un libro ricco di storia, di filosofia. Un libro di viaggio e di viaggi, lenti e arditi, in cui pathos, poesia e avventura si mescolano efficacemente, facendo emergere la vicenda umana, non di un “cavaliere teutonico”, ma di un bibliofilo. Un cultore di libri che, nell’inverno del 1417, superò difficoltà fisiche e psicologiche, sfidando non pochi pregiudizi pur di sedare la curiosità, peccato mortale per la Chiesa, di sapere se al mondo esistesse ancora una copia di quell’opera che tanto aveva emozionato e che, questo sì davvero peccato mortale, era stata condannata all’oblio e il suo autore alla damnatio memoriae.
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