La prima legge di unificazione amministrativa del Regno d’Italia del 1865 la dice lunga sulla visione della donna da parte delle istituzioni. L’art. 26, esprimendo l’esclusione del diritto di voto per particolari categorie di cittadini, è chiaro: non sono né elettori né eleggibili gli analfabeti, le donne, gli interdetti, i condannati. La strada per i diritti delle donne è tutta in salita.

DIRITTI DELLE DONNE: ALCUNE PROTAGONISTE

Diritti delle donne, alcune protagoniste del Novecento

Anna Maria Mozzoni, Maria Montessori, Anna Banti

E tanto deve lottare Anna Maria Mozzoni, giornalista e femminista milanese, chiedendo a più riprese la partecipazione politica delle donne e una parità di diritti che a quel tempo risulta difficile anche solo da immaginare.

Nel Codice di Famiglia del 1865 la donna, infatti, è soggetta all’autorità del marito, trovandosi in una situazione di totale dipendenza e sudditanza. Non le è consentito di esercitare la potestà genitoriale, di gestire il proprio patrimonio, di alienare beni senza l’autorizzazione maritale, di accedere ai licei e alle università.

Negare alla donna una completa riforma nella sua educazione, negarle più ampi confini alla istruzione, negarle un lavoro, negarle una esistenza nella città, una vita nella nazione, una importanza nell’opinione non è ormai più cosa possibile. [Anna Maria Mozzoni La donna e i suoi rapporti sociali, 1864]

MARIA MONTESSORI

Il 26 febbraio 1906 sul quotidiano ‘La vita’ viene pubblicato un Proclama a firma di Maria Montessori che invita le donne ad iscriversi alle liste elettorali per esprimere il voto alle elezioni politiche di lì a venire, aderendo all’appello lanciato dai comitati che sostengono il suffragio universale.

Così alcune donne che posseggono i requisiti per accedere al voto (i 21 anni che segnano la maggiore età ed il superamento dell’esame di seconda elementare) chiedono di essere iscritte alle liste in qualità di elettrici.

Saranno accolte soltanto in undici Comitati elettorali del paese per poi essere cancellate  a seguito delle sentenze delle Corti di Appello che confermeranno l’esclusione delle donne dai diritti politici.  L’unica eccezione avverrà nelle Marche, dove nove maestre di Senigallia ed una di Montemarciano rimarranno iscritte  nelle liste elettorali per dieci mesi, a seguito della rivoluzionaria sentenza della Corte di Appello di Ancona, che applica il principio di uguaglianza dei ‘regnicoli’, cioè dei cittadini del Regno d’Italia. La sentenza si poggia su una norma giuridica contenuta nell’art. 24 dello Statuto Albertino: ‘Tutti i regnicoli sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente dei diritti civili e politici’. Quelle dieci maestre non voteranno mai perché una sentenza della Corte di Cassazione ribalterà il dispositivo precedente, escludendole dal diritto di voto, ma questo avvenimento segnerà un punto a favore delle donne.

Donne tutte: sorgete! Il vostro primo dovere in questo momento sociale è di chiedere il voto politico. […] Il sacrilegio di mettere la sacerdotessa della maternità tra i criminali e i pazzi non è sancito, Donne Italiane, dalle nostre leggi! Andiamone superbe. [Maria Montessori Proclama alle donne italiane, 1906]

ANNA BANTI

Dovranno passare altri quaranta anni per l’accesso al voto. Il 10 marzo 1946 si svolgono le prime elezioni amministrative e per la prima volta alle donne vengono riconosciuti i diritti politici, grazie al D. Lgs. 23/45 che conferisce loro il voto. L’89% delle aventi diritto si presenteranno alle urne, consapevoli del significato di quell’atto e del senso di riscatto e di emancipazione che quel gesto sottende. Escluse sono, però, le prostitute che lavorano al di fuori delle case di tolleranza gestite dallo Stato. Il 2 giugno dello stesso anno le donne tornano al voto per scegliere la forma di governo da dare all’Italia. Quasi tredici milioni di italiane attendono in fila e contribuiscono alla nascita e alla formazione di uno stato repubblicano. Vengono scelti anche i componenti dell’Assemblea Costituente che è incaricata della stesura della Carta Costituzionale. A farne parte ci saranno ventuno neo-deputate.

Quanto al ’46 quel che d’importante ci ho visto e sentito, dove mai ravvisarlo se non in quel 2 giugno che nella cabina di votazione avevo il cuore in gola e avevo paura di sbagliarmi fra il segno della repubblica e quello della monarchia? Forse solo le donne possono capirmi e gli analfabeti. Era un giorno bellissimo. [Anna Banti in un’intervista]

LINA MERLIN

Lina Merlin, componente dell’Assemblea Costituente, riesce ad imporre all’articolo 3 della Costituzione la dicitura ‘senzadistinzione di sesso’, relativamente all’uguaglianza dei cittadini ma il suo nome, nella memoria storica, è legato ad una legge, la numero 75, approvata nel 1958. La nuova normativa prevede la chiusura delle case di tolleranza presenti in Italia e gestite dallo Stato, consentendo alle oltre quattromila donne costrette a lavorarvi per indigenza e problemi familiari di riottenere una condizione di libertà e di dignità.

I commessi mi dissero che alcune donne avevano chiesto di me. “Sa, sono di quelle. Torneranno alle dieci.” Diedi ordine di farle entrare e di condurle nel mio ufficio: ero Segretaria alla Presidenza del Senato. Alle dieci, puntualmente vennero e furono introdotte da un commesso. S’avanzavano lente, con la testa bassa, le invitai ad avvicinarsi, sedersi. Quando furono vicine, fecero una profonda riverenza e mi baciarono, chi la mano, chi le vesti “In che cosa posso esservi utile?”, chiesi. Mi risposero che venivano a ringraziarmi: “Ora non abbiamo più quella carta, non siamo più schedate, siamo cittadine come le altre…”. [Lina Merlin – intervista]

Donne del Novecento: Lina Merlin e Franca Viola

Donne del Novecento: Lina Merlin e Franca Viola

FRANCA VIOLA

Ma tanto ancora c’era da fare in Italia per i diritti delle donne se soltanto nel corso degli anni Sessanta vengono raggiunti diritti considerati oggi naturali: la parità di stipendio con gli uomini, la possibilità di accedere alla carriera di magistrato, il divieto di licenziamento per matrimonio.

Nel 1965 si verifica, poi, un fatto di cronaca che solleva il velo sulla condizione femminile e sulle leggi italiane allora in vigore. Franca Viola, diciassettenne di Alcamo, viene rapita, violentata dal suo ex fidanzato e segregata per otto giorni in un casolare.

Il Codice Penale, all’art.544, dispone che, in caso di violenza sessuale anche a danno di minore, il reato si estingue se il reo e la parte offesa si accordano accettando il matrimonio riparatore.  Per lo Stato si tratta di un reato contro la morale e non contro la persona, per il legislatore  tutta la questione ruota intorno al concetto di onore.

Ma Franca e la famiglia rifiutano ogni compromesso, aprendo di fatto le porte al processo penale che porterà alla condanna a dieci anni dell’imputato. È la prima volta che in Italia una ragazza rifiuta il matrimonio riparatore, dando avvio al dibattito politico e pubblico su una questione così delicata e gettando nuove fondamenta per le modifiche delle norme vigenti. Passeranno altri anni, però. Soltanto nel 1981 verrà abrogato quell’articolo del Codice Penale che prevede l’estinzione de reato attraverso l’istituto delle nozze riparatrici. E soltanto nel 1996 la violenza sessuale verrà riconosciuta come un reato contro la persona e non contro la morale.

Mio padre Bernardo venne a prendermi con la barba lunga di una settimana: non potevo radermi se non c’eri tu, mi disse. Cosa vuoi fare, Franca? Non voglio sposarlo. Va bene: tu metti una mano io ne metto cento. Questa frase mi disse. Basta che tu sia felice, non mi interessa altro. Mi riportò a casa e la fatica grande l’ha fatta lui, non io. È stato lui a sopportare che nessuno lo salutasse più, che gli amici suoi sparissero. La vergogna, il disonore. Lui a testa alta. Voleva solo il bene per me. [Franca Viola – Intervista a La Repubblica, 2015]

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