Un’afosa giornata di fine luglio del 1908 a Londra. Uno stadio pieno di persone che aspettano l’arrivo degli atleti. La distanza da percorrere è quella di 42 chilometri e 195 metri, lo spazio fisico che divide il castello di Windsor dallo stadio di White City. Ottantamila persone attendono gli atleti all’arrivo. Un uomo di neanche un metro e sessanta entra nello stadio con una maglietta bianca ed un paio di pantaloncini rossi. Ha il numero diciannove sulla pancia e deve correre un solo giro di pista per conquistare la maratona olimpica. È un italiano che vive a Carpi. Si chiama Dorando Pietri e di professione fa il garzone di una pasticceria.
DORANDO PIETRI ALLA MARATONA DEL 1908
Questa è una storia di altri tempi, di quando il professionismo era lontano anni luce e si correva per passione.
La corsa è ardore e sofferenza, trasporto amoroso e tormento e nei primi anni del secolo passato lo era di più. Fatica, sudore e gambe che giravano per i campi, per le strade bianche, con le scarpette piatte e gli abiti di tutti i giorni. Si lavorava e, nei ritagli della giornata rimasta, si trovava il tempo per correre.
La storia racconta di Dorando Pietri, un giovane di ventitré anni, venuto su da una famiglia contadina ed andato a lavorare in giovane età. La foto che lo ritrae con un fazzoletto bianco in testa mentre, con le gambe piegate, taglia per primo il traguardo della maratona di Londra farà il giro del mondo. Soprattutto per l’epilogo beffardo.
È il 24 luglio del 1908, fa molto caldo a Londra ed è molto umido. È davvero una giornata insolita per il clima inglese ma è quello che accoglie i maratoneti accorsi da sedici paesi diversi. Le immagini in bianco e nero mostrano persone assiepate lungo l’intero tragitto; sono centinaia di migliaia disposte lungo il campo-gara mentre altri ottantamila gremiscono lo stadio di White City. Sono tutti lì con gli occhi puntati sui cinquantasei podisti che si stanno sfidando per la vittoria, tutti distribuiti lungo quella distanza che a partire dal 1922 sarà fissata come lunghezza ufficiale della maratona.
Dorando Pietri
Fino alla standardizzazione da parte della Federazione Mondiale di Atletica la maratona aveva visto oscillare la sua distanza tra i 40 ed i 43 chilometri. Il tracciato di Londra segnerà lo spartiacque tra il prima ed il dopo. Così le sue 26 miglia, più l’aggiunta di un giro di pista per collocare il traguardo davanti al palco reale, diventeranno la distanza ufficiale di ogni maratona di lì a venire: 42 chilometri e 195 metri.
Alle 14.33 la regina Alessandra dà il via alla competizione principe delle Olimpiadi. La maratona inizia a ritmo serrato con un terzetto di inglesi che parte a velocità sostenuta e si porta subito in testa alla gara, tenendo un ritmo così elevato da dover cedere i primi posti dopo qualche chilometro. Dorando Pietri, il garzone, conserva le energie per la seconda parte di gara e si mantiene nella parte arretrata del gruppo. Fa girare come può le sue gambe magre coperte da un paio di pantaloncini così larghi e così lunghi da sfiorargli le ginocchia.
L’IMPRESA DI DORANDO PIETRI
A mano a mano che la corsa prosegue avvengono i primi ritiri dovuti a malore ed eccessiva stanchezza. I corridori cominciano a cedere sotto i colpi dello sforzo fisico e dell’afa. Uno dei favoriti, il canadese Longboat, si ferma al trentaduesimo chilometro lasciando il primo posto ad Hefferon, un sudafricano che deve gestire un vantaggio di tre minuti sul secondo. Ed il secondo è proprio Dorando Pietri che nella seconda parte di gara ha cambiato ritmo ed ha cominciato a risalire dal fondo del gruppo.
Il sudafricano prende una bibita ghiacciata dalle mani di uno spettatore. Quel rifornimento segnerà il suo destino, causandogli dolori addominali e costringendolo a rallentare vistosamente. In tre chilometri Dorando lo recupera e lo supera di slancio.
Mancano oramai pochi chilometri all’arrivo. Ma in una gara che non perdona come la maratona anche quel che sembra poco diventa troppo. Il caldo è opprimente, la fatica enorme.
Dorando perde lucidità, la mente gli si offusca, la vista gli si abbassa. Cade poco prima di entrare allo stadio. Si rialza, riesce a riprendere la corsa o, per meglio dire, il cammino. Arriva sulla pista barcollando ma comincia a girare al contrario. Nella direzione sbagliata. La folla urla, lo incita, gli indica che deve tornare indietro e terminare l’ultimo giro di pista in senso inverso.
Gli addetti alla pista lo seguono, cade di nuovo. Stavolta non riesce a rialzarsi. Qualcuno di loro lo aiuta, lo rimette in piedi. Cade a terra altre tre volte. I cinquecento metri più lunghi della storia olimpica. Dieci minuti per percorrerli con l’aiuto dei responsabili di gara. Uno strazio, una fatica disumana.
Dorando cade a venti metri dalla fine. Oramai è esausto, ha esaurito anche l’ultima scorta di carboidrati. Le energie sono nulle. L’americano Hayes entra nello stadio e vede Dorando, getta un’occhiata fugace su di lui e capisce che è in estrema difficoltà.
Il giudice di gara Andrews ed il dottor Bulger sollevano Dorando di peso, lo rialzano, lo aiutano a percorrere gli ultimi passi. L’italiano, trascinando letteralmente i piedi e distrutto da una fatica disumana, tocca con il petto la corda che segna il traguardo. Il tempo si fissa sulle 2 ore, 54 minuti e 46 secondi. Dopodiché sviene e viene trasportato fuori dallo stadio su una barella.
“Io sono colui che ha vinto e perso la vittoria”, affermerà durante un’intervista al Corriere della Sera qualche giorno dopo la gara. Dagli annali delle gare olimpiche il nome di Dorando Pietri infatti è stato cancellato.
Su di lui, il giorno successivo alla competizione, si è abbattuta una squalifica a causa dell’aiuto ricevuto negli ultimi metri di gara. La squadra statunitense, infatti, presenta subito un ricorso che viene accolto dal comitato olimpico. Una squalifica che però non condanna Dorando ad una damnatio memoriae ma piuttosto lo rende celebre a causa della sfortunata vicenda.
La stessa regina Alessandra, colpita dall’epilogo della maratona, decide di premiarlo con una coppa d’argento e lui, tutto fiero e con il vestito buono, viene fotografato come un vincitore.
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