Il 20 gennaio 1920 nasceva uno dei più grandi registi di sempre: Federico Fellini. Iniziava dalla sua Rimini un viaggio onirico fatto di immagini, parole, musiche indimenticabili e infinite emozioni. Vogliamo ricordare Fellini attraverso un’intervista a Adriano De Angelis che con il grande regista ha lavorato più volte, contribuendo alla realizzazione di pellicole leggendarie.

FEDERICO FELLINI NEL RICORDO DI ADRIANO DE ANGELIS

Adriano de Angelis è uno scultore, figlio e nipote di scultori, che lavora per il cinema da più di sessant’anni. E’ nato nel 1937, lo stesso anno, guarda caso, in cui videro la luce gli studi di Cinecittà, e fin da piccolo ha vissuto nel mondo della scultura e in quello magico del cinema.

L’avventura della famiglia De Angelis inizia con nonno Angelo che nel 1934, dopo aver lavorato come decoratore di interni in diversi edifici del quartiere Coppedè a Roma e per il Monumento a Vittorio Emanuele II in piazza Venezia, ha cominciato a collaborare con alcuni sceneggiatori e non ha più smesso.

Quella passione l’ha trasmessa prima al figlio Renato e poi al nipote Adriano che, a sua volta, l’ha lasciata in eredità ai suoi due figli: Angelo e Alessandro.

La casa di Adriano De Angelis è sempre stata Cinecittà. Nei suoi laboratori, a due passi dal celebre Studio 5 di Federico Fellini, sono state create sculture per centinaia di film di ogni genere, da Ben Hur a Spartacus, da Cleopatra a Gangs of New York, passando per decine di pellicole italiane.

Lo abbiamo incontrato nella sua casa romana, dalle cui finestre si scorge la bianca sagoma della basilica di Don Bosco. Fra foto con attori e registi famosi, Adriano ci ha raccontato il suo Fellini, il regista ma anche l’uomo.

Fellini al cinema: sculture di Adriano de Angelis

Alcune sculture di Adriano de Angelis realizzate per i film “Casanova” e “La città delle donne” di Fellini

Maestro De Angelis se dovesse spiegare a un ragazzo di oggi che magari non lo conosce chi era Federico Fellini, cosa gli direbbe?

Gli direi, sicuramente, che Fellini era un sognatore, la più bella dote, a mio avviso, che possa avere un regista. I suoi film non erano altro che la trasposizione su pellicola di quei sogni, dei suoi sogni. Federico Fellini non progettava semplicemente un suo film ma lo creava, modellando i suoi sogni, dando libero sfogo alla sua straordinaria immaginazione. Per Fellini, d’altra parte, come amava spesso ripetere, «il vero realista era il visionario», una frase breve ma che credo rappresenti nel modo più autentico la complessità dell’uomo e del regista, la sua unicità.

Fellini, in fin dei conti voleva attraverso i suoi film mostrare qualcosa, senza la necessità, come soleva spesso dire, di dimostrare qualcosa.

Ha lavorato con Fellini per diversi film, quali Fellini Satyricon, La Città delle Donne, Il Casanova di Federico Fellini, Ginger e Fred, L’Intervista. Quale è stata la prima pellicola di questa lunga serie?

Fu La Dolce Vita, il film che rese celebre Fellini in tutto il mondo. Realizzammo per quella pellicola la statua del Cristo e una maschera. Poi arrivò Giulietta degli Spiriti, era il 1965. All’epoca non avevo ancora trent’anni, ero un giovane collaboratore, a dirigere tutto era mio padre Renato. Ci chiesero di realizzare una parete semitrasparente, un lavoro non semplice.

Ancora una volta il Maestro ci aveva scelto e questo per noi era motivo di vanto, anche se nel mondo del cinema, il nome di mio padre, specie dopo film come Ben Hur (sue le colossali statue in mezzo al circo dove si svolge la celebre corse delle quadrighe), o Cleopatra, era decisamente conosciuto.

Com’era lavorare con Fellini?

Era bellissimo ma al tempo stesso difficilissimo. Fellini, come ho già detto, era un sognatore e proprio per questo non era raro che il giorno dopo aver concordato delle sculture o alcune scene da creare, cambiasse completamente idea, magari dopo aver semplicemente e direi magicamente sognato.

Fra tutti i film di Fellini quale è stato quello più impegnativo?

Senza dubbio La città delle donne. Quando nel 1980 lo sceneggiatore Dante Ferretti mi spiegò cosa avrei dovuto realizzare per il film, letteralmente trasecolai. Il più volte premio Oscar mi disse che avrei dovuto creare una mongolfiera con fattezze di donna su disegno dell’artista Giovanni Gianese, da tutti conosciuto come Gianni. Gianese creò anche la scultura vera e propria, intagliandola nel polistirolo che io, poi, realizzai in gomma. Si trattava di un’opera davvero impegnativa, non solo per le dimensioni complessive, otto metri, ma sopratutto per come sarebbe stata utilizzata. Fellini voleva che a un certo punto la mongolfiera, al cui cestello si sarebbe dovuto aggrappare Marcello Mastroianni, si sgonfiasse, a causa di uno sparo. Bisognava, quindi, costruire un’opera che fosse leggera ma al tempo stesso resistente, capace prima di gonfiarsi ma anche, piuttosto rapidamente di sgonfiarsi. Inoltre Fellini voleva che la donna-mongolfiera iniziasse a sgonfiarsi dalla testa.

Fellini: La città delle donne. Disegno originale della mongolfiera di Giovanni Gianese

Disegno originale della mongolfiera di Giovanni Gianese

Insomma si trattava di un lavoro davvero improbo. L’insistenza di Ferretti, con cui avevo già collaborato, fu, alla fine, decisiva. Feci la mongolfiera e, per fortuna, andò tutto benissimo, anche se al momento di girare la scena rimanemmo tutti con il fiato sospeso, specie colui che si occupava degli effetti speciali, che si chiamava come me Adriano e a cui spettò l’arduo compito di attivare le valvole per gonfiare e sgonfiare la mongolfiera.

Devo dire che furono impegnativi anche Casanova e Ginger e Fred. Per il primo realizzammo molte sculture, come alcuni busti di cardinali, una vasca da bagno, un leone di San Marco e un rinoceronte. Per Ginger e Fred, invece, creammo la decorazione della cornice per la pista da ballo su cui volteggiano Giulietta Masina e Marcello Mastroianni. Tutti lavori importanti, certo, ma niente a che vedere con la leggendaria mongolfiera.

Qual è il ricordo più bello che hai di Fellini?

Fellini ogni qual volta doveva fare un’intervista a Cinecittà, che era, di fatto la sua seconda casa, voleva circondarsi delle sculture che avevo realizzato per i suoi film. Fra quelle “mie opere” si sentiva, a mio avviso, protetto e coccolato. Quel suo desiderio, per me, era un grande motivo di vanto. Quando si sentì male e purtroppo il timore che sarebbe potuto morire era molto fondato, venne a Cinecittà un giornalista che mi chiese di concedergli un’intervista parlando come se Fellini fosse già morto. Mi rifiutai di farlo. Gli risposi, ma parlai sempre al presente, perché non volevo assolutamente accettare, da amante del cinema, che uno dei suoi più grandi creatori potesse di lì a poco morire.

Ora, però, siamo curiosi. Qual è il film di Fellini che ami di più?

Uno per cui non ho fatto nulla, La strada, che non a caso vinse l’Oscar. Trovo che quella pellicola sia stata la più bella di Federico Fellini, perché racchiude quel senso di cinema onirico che caratterizza tutto il suo cinema. L’interpretazione di Giulietta Masini, nella parte di Gelsomina, una ragazza semplice, ingenua, poverissima, è letteralmente straordinaria, commovente, emozionante, e pensare che i produttori la ritennero, sulle prime, inadatta per quella parte.

A proposito di questo film Fellini disse che lo aveva fatto perché si era innamorato «di quella bambina-vecchina un po’ matta e un po’ santa, di quell’arruffato, buffo, sgraziato e tenerissimo clown».

La notte sta arrivando e con lei l’ora dei sogni. Ci congediamo dal maestro Adriano De Angelis rapiti dalla magia delle sue opere, dal fascino dei suoi racconti, dalla semplice genialità di uno dei più grandi registi di tutti i tempi.

 “Non faccio un film per dibattere tesi o sostenere teorie. Faccio un film alla stessa maniera in cui vivo un sogno. Che è affascinante finché rimane misterioso e allusivo ma che rischia di diventare insipido quando viene spiegato”. (Federico Fellini)

Per saperne di più:

Leggi anche:
I soliti ignoti. Genesi di un capolavoro del cinema italiano