La Fontana Quattro dei Fiumi di Gian Lorenzo Bernini è una di quelle meraviglie di Roma che non finisce mai di allietare la vista, per imponenza, bellezza, grazia e, soprattutto, per le ardite soluzioni architettoniche. Ma dietro la realizzazione di quell’incanto di marmo e acqua si cela anche il personale riscatto dell’artista napoletano, certificato, oltretutto, da un suo proverbiale nemico, papa Innocenzo X, che aveva sempre favorito Francesco Borromini, l’altro emblema del barocco italiano.
Questo è il racconto di quell’opera mirabile e di come Bernini sia riuscito a ottenere una committenza che ai più sembrava pura follia.
FONTANA DEI QUATTRO FIUMI A PIAZZA NAVONA, IL SALOTTO DEI PAMPHILI
Non si può descrivere la Fontana dei Quattro Fiumi se non si tratteggia, prima, quel sublime palcoscenico su cui l’opera di Bernini da quasi quattrocento anni si esibisce: Piazza Navona.
La storia di questo luogo, popolare e aristocratico al tempo stesso (eccellenza del barocco romano, sede in passato di un tradizionale e amatissimo mercato, una piazza che, come scrisse il Belli, era al tempo stesso «un teatro, una fiera, un’allegria»), affonda le radici nell’antica Roma, da cui aveva ereditato quella singolare forma che, ancora oggi, la rende unica al mondo.
Piazza Navona, in origine, era uno stadio, fatto costruire dall’imperatore Domiziano nell’85 d.C. Si trattava di una struttura realizzata interamente in muratura, lunga ben 265 metri e capace di contenere fino a 30.000 spettatori. Domiziano, grande appassionato di atletica, lo volle per ospitare competizioni sportive ma lo stadio non ebbe la fortuna sperata. I romani, infatti, al contrario dei greci, alle competizioni sportive preferivano le più “virili” lotte gladiatorie o le appassionanti corse delle bighe.
Nel corso del Medioevo lo stadio che, a seguito degli importanti lavori di restauro voluti da Alessandro Severo nel corso del III secolo, era stato ribattezzato Circus Alexandrinus, come altri edifici classici cadde in rovina.
Piazza Navona e la Fontana del Bernini
I pregiati marmi, al pari delle numerose statue che lo abbellivano, furono depredati e del maestoso stadio non rimase che l’ampia e polverosa arena, che con gli anni, divenne, la sede ideale per ospitare un grande e ricco mercato e, talvolta, delle feste.
Ma è con l’elezione, nel 1664, al soglio pontificio di Giovanni Battista Pamphilj, che Piazza Navona (il nome deriva da un fenomeno di epentesi per cui dall’originario in agone, derivante dal latino in agonis, letteralmente “nei giochi”, si era passato nel corso dei secoli a Piazza Naone, fino all’attuale Piazza Navona) diventa il salotto buono di Roma.
L’ambizioso papa, che prende il nome di Innocenzo X, decide che quella piazza, dove era in fase di costruzione, su progetto dell’architetto Girolamo Rainaldi, il maestoso palazzo di famiglia, debba trasformarsi in un teatro all’aperto, epifania della potenza dei Pamphilj.
Per rendere piazza Navona il manifesto politico e architettonico dei nuovi padroni di Roma, un palazzo, per quanto bello e imponente, non può bastare. Innocenzo X pensa anche a una chiesa e, soprattutto, a una grande e vistosa fontana da porre scenograficamente al centro della piazza. Qualcosa di grandioso che possa sostituire il vascone rettangolare, dove si abbeverano asini e cavalli, disegnato da Giacomo Della Porta, autore di fontane ben più famose, tra cui la popolarissima Terrina.
Ma prima di realizzarla è necessario ampliare l’acquedotto Vergine, in modo da garantire un flusso d’acqua corposo e potente, conditio sine qua non per compiere qualcosa di grandioso.
L’incarico dell’ampliamento è affidato a Francesco Borromini che, nelle more del progetto, suggerisce al papa la sua personale idea per la futura fontana. L’architetto pensa a un’opera che rappresenti i quattro fiumi più grandi al mondo, una suggestiva allegoria in grado di esaltare nel migliore dei modi l’astro nascente dei Pamphilj.
La proposta piace a Innocenzo X e non può essere altrimenti vista la totale fiducia che il pontefice ripone in Borromini. Qualche giorno dopo viene chiesto a diversi artisti di presentare un progetto che ricalchi l’idea borrominiana ma tra i partecipanti manca incredibilmente il nome di Gian Lorenzo Bernini, nonostante l’artista sia da sempre affascinato dall’acqua, al punto da affermare, anni dopo a Parigi, a un amico al cospetto della Senna: «È questo un bell’effetto, io sono molto amico delle acque, esse fanno bene al mio temperamento».
FONTANA DI PIAZZA NAVONA, IL TRIONFO DI BERNINI
L’assenza di Bernini non è una sorpresa, visto che alla corte papale il suo genio è malvisto, specie dopo il fallimento dei campanili di San Pietro, abbattuti proprio per volere di Innocenzo X.
Tuttavia l’ostracismo nei confronti di Bernini è ingiustificato, anche perché in tema di fontane l’architetto napoletano non è secondo a nessuno, avendone realizzate diverse, come quella del Tritone, in piazza Barberini, che lo storico dell’arte Howard Hibbard ebbe a definire «un’apoteosi dell’acqua, il mito [che] diventa vita».
La fontana di Piazza Navona
Con Bernini fuori gioco per il rancore serbato dai Pamphilj, le chances di Borromini di aggiudicarsi la prestigiosa committenza sembrano schiaccianti, nonostante nel novero degli aspiranti progettisti figurino artisti di pregio, come il bolognese Alessandro Algardi che in seguito scolpirà per Innocenzo X una colossale statua bronzea e una pregiata scultura e, per la temutissima Olimpia Maidalchini, la celebre Pimpaccia, un iconico busto marmoreo.
Ma lo scontato pronostico viene incredibilmente ribaltato e a primeggiare non è il favoritissimo Borromini, bensì il suo rivale di sempre, Gian Lorenzo Bernini.
Ma come fu possibile tutto ciò? Difficile saperlo con certezza anche perché la storia si confonde con la leggenda, lambendo territori misteriosi e colorandosi di intrigo.
Domenico Bernini, figlio e primo biografo del genio barocco, nell’opera Vita del Cavalier Gio. Lorenzo Bernino, pubblicata a Roma nel 1713, riferisce che dietro l’agognata commissione ci sia lo zampino del principe di Piombino, Nicolò Ludovisi.
Questi, stando al racconto di Domenico Bernini, ripreso in seguito anche da Filippo Baldinucci, escogita uno stratagemma per portare a corte un modello berniniano della fontana, «certo che alla vista di quello [il papa] haverebbe, se non altro, domandato di chi fosse.»[1]
Il 15 agosto 1647 Nicolò Ludovisi mette in atto il suo piano. Il giorno dell’Assunzione, festa particolarmente cara ai romani, il principe riesce a porre su un tavolino posto nella sala da pranzo di Palazzo Pamphilj il modello fatto dal Bernini. Quando il papa, con la cognata Olimpia e il nipote Camillo, entra nella sfarzosa sala, non può non notare quel meraviglioso oggetto, rimanendone, come scrisse Baldinucci, letteralmente estasiato, al punto tale da studiarlo per oltre mezz’ora «ammirandolo e lodandolo in continuazione».
Il papa convoca seduta stante Bernini, accogliendolo nel migliore dei modi, sperticandosi in lodi e pretendendo che sia lui soltanto a realizzare la fontana di piazza Navona.
Stando a Francesco Mantovani, emissario del duca di Modena, che in una lettera scrive di aver visto il modello, questo era in argento e talmente bello da impressionare chiunque lo vedesse.
Che fine abbia fatto quel modello non è dato sapere. Rimane, al netto dei racconti di Domenico Bernini e di Filippo Baldinucci, il dato di fatto che Innocenzo X incarica Bernini e non altri, con buona pace di Borromini.
Così Jake Morrissey, nel suo Geni rivali, Bernini, Borromini e la creazione di Roma Barocca, racconta la reazione del grande sconfitto:
«Andò su tutte le furie, perché il suo rivale era tornato – con l’appoggio del papa – a occupare una posizione pubblica tanto eminente a sue spese. Dopo tutto, l’idea di costruire la fontana per celebrare i quattro grandi fiumi del mondo era stata la sua, e, su ordine del papa, era stato lui a trovare il modo perché nella piazza giungesse quell’acqua senza la quale non sarebbe stato possibile, tanto per cominciare, erigere la fontana».
Borromini è fuori di sé per la scelta del papa al punto da abbandonare il cantiere di San Giovanni in Laterano, che lascia all’amico e collega Pietro da Cortona, ma il gesto eclatante non muta la situazione, la Fontana dei quattro Fiumi la farà Gian Lorenzo Bernini.
LA FONTANA DEI QUATTRO FIUMI DIVENTA UNA MAGNIFICA REALTÀ
I lavori per la costruzione della Fontana dei Quattro Fiumi iniziano nel mese di luglio del 1648. Fa caldo a Roma ma Bernini delle condizioni meteo non si preoccupa, vuole cominciare subito, quasi temendo che il papa possa ripensarci. Bernini immagina la fontana come una sorta di scogliera, una roccia lasciata volutamente grezza e realizzata utilizzando il travertino, un materiale “romano” per adozione che, poroso per natura, avrebbe nel corso del tempo assunto colorazioni cangianti.
La fontana di Piazza Navona
In mezzo alla roccia Bernini pone una scenografica piccola grotta, aperta sui due lati, attraverso i quali si riesce vedere la piazza. Si tratta, non solo di un artificio tipicamente barocco, uno di quelli che lascia di stucco il visitatore, ma anche di un’ardita opera architettonica, amplificata dalla presenza sulla sommità di un obelisco, che pare sospeso nel vuoto, essendo apparentemente minimi i punti d’appoggio.
Proprio il contrasto fra il dinamismo della roccia e la staticità dell’obelisco sovrastante (alla vetta del quale viene collocata una colomba, opera dello scultore Nicolò Sale, simbolo dei Pamphilj, con un ramoscello di ulivo nel becco), è una delle cifre stilistiche dell’artista napoletano.
Quell’obelisco, personalmente scelto dal papa e per il cui trasporto viene spesa la considerevole cifra di 12000 scudi, una somma che suscita più di qualche malumore tra i romani e le immancabili pasquinate, rappresenta una scelta rischiosa ma geniale.
Bernini vuole dimostrare, dopo l’infausta conclusione della vicenda dei campanili petrini, di essere un grande architetto (lo ha già ampiamente dimostrato, in realtà, con la progettazione della Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria, a due passi da Piazza della Repubblica) e non solo uno straordinario scultore.
Più di qualcuno suggerisce al maestro di non rischiare, ma non sente ragioni e nell’agosto del 1649, quando buona parte dei lavori sono già in stato molto avanzato, l’obelisco (alto oltre 16 metri e che in origine si trovava nella villa dell’imperatore Domiziano ad Albano laziale e che era stato recuperato in pezzi nel Circo di Massenzio sulla via Appia), è definitivamente collocato.
Subito dopo è la volta delle quattro grandi statue marmoree, le celebri allegorie dei fiumi e dei quattro continenti allora conosciuti. Sul lato prospiciente il palazzo, la chiesa di Sant’Agnese in Agone non è ancora costruita, vengono poste le statue del Danubio, opera di Antonio Ercole Raggi, in rappresentanza dell’Europa e del Rio della Plata, scolpita da Francesco Baratta, in rappresentanza delle Americhe. Sul lato opposto, invece, vengono scolpite le statue raffiguranti il Nilo, opera di Antonio Fancelli e simbolo dell’Africa e del Gange, realizzato da Claude Poussin, rappresentante il continente asiatico.
Il 14 giugno 1651 la Fontana dei Quattro Fiumi è terminata e mostrata in tutta la sua bellezza a un estasiato Innocenzo X che, in compagnia del segretario di Stato, il cardinale Giovanni Giacomo Panziroli, ammira lungamente l’opera, soffermandosi, come raccontano le cronache, sulla miriade di particolari che la rendono davvero unica.
Ma l’apice dello stupore il papa lo raggiunge quando, a un segnale prestabilito, l’acqua inizia a sgorgare e allora la bellezza diventa meraviglia, secondo i tipici canoni barocchi. Così, a proposito, si esprime lo storico dell’arte Piero Adorno:
«L’acqua, poi, quella sua mobilità, con il suo perpetuo trascorrere e rinnovarsi, con il continuo mutare dei riflessi, è congeniale al Seicento, così sensibile di fronte alla transitorietà di tutte le cose.»
Innocenzo X è talmente esterrefatto dalla Fontana dei quattro Fiumi da esclamare che con quell’opera Bernini gli ha allungato la vita di dieci anni.
Per Bernini quello scroscio delle acque, gli occhi estasiati del papa sono una grande soddisfazione, pari al lauto compenso che riceve, ben 3000 scudi, quasi un decimo del costo totale della fontana stessa.
UN’OPERA MIRABILE TRA ANIMALI, SIMBOLI E IMPERITURE LEGGENDE
La Fontana dei Quattro Fiumi, tuttavia, non è solo le colossali statue di marmo, l’elegante obelisco domizianeo o la suggestiva grotta ma anche i diversi particolari che ornano il capolavoro berniniano. Animali, oggetti simbolici, stemmi, nulla è lasciato al caso da Bernini che, pur riducendo al minimo i suoi interventi, ha l’assoluto merito di aver concepito quell’impareggiabile capolavoro.
Nella fontana sono inseriti diversi animali, tra cui, oltre alla già citata colomba, troviamo un leone, nell’atto di abbeverarsi, un cavallo, opera di Bernini, che mette la sua personale firma anche sulla famosa grotta, un drago, un serpente che striscia alla base dell’obelisco, un grosso pesce con la bocca spalancata e, specialmente, un armadillo, animale ritenuto all’epoca, per la sua evidente singolarità, una sorta di mostro.
Affascinante è anche la simbolica rappresentazione dei fiumi. Tra questi colpiscono il Nilo, dal volto velato, allusione alle sorgenti allora sconosciute e, ovviamente il Rio della Plata, all’epoca di Bernini ritenuto il fiume più lungo delle Americhe, la cui colossale figura viene scolpita dal Baratta con il braccio sinistro alzato, una posizione insolita, forse per ripararsi dal sole ma che ha originato una delle leggende più note e al tempo stesso inverosimili romane.
Particolari della Fontana dei Quattro Fiumi
Non c’è romano o turista che non abbia almeno una volta udito la leggenda relativa a quella mano. Secondo la tradizione popolare quell’apparente, inconsueto gesto, altro non sarebbe che la personalissima firma sulla proverbiale rivalità fra Bernini e Borromini, scandita a colpi di immortali opere d’arte.
Bernini, secondo l’inveterata leggenda, avrebbe voluto il Rio della Plata con il braccio alzato per riparare la sua fontana dall’imminente crollo della chiesa di Sant’Agnese in Agone, alla cui progettazione aveva partecipato il rivale di sempre Francesco Borromini.
Insomma Bernini si sarebbe preso beffa dell’antagonista per eccellenza, mettendo in risalto la presunta caducità della chiesa a fronte della staticità della sua fontana. La fantasia romana spiegò anche il capo velato del Nilo, sostenendo come quel panno celasse al fiume, e dunque al Bernini, la vicina chiesa.
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Due leggende senza tempo, nate e alimentatesi sulla base di letteraria rivalità, tramandate da secoli ma che, come accade spesso, del tutto prive di fondamento. Quando Bernini, infatti, realizzò la Fontana dei Quattro Fiumi la prospiciente chiesa di Sant’Agnese in Agone non era ancora stata costruita.
Ma la bellezza e l’unicità di Roma sta anche in queste leggende che alla fine, per il puro piacere di essere narrate e ascoltate, risultano quasi vere.
[1] D. Bernini, Vita del Cavalier Gio. Lorenzo Bernino, p. 86.
Per saperne di più:
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