Costruito tra il 1877 ed il 1883, poco dopo l’annessione della città di Roma al Regno d’Italia, il Forte Bravetta è una delle quindici fortificazioni realizzate dal nuovo Stato per difendere la capitale da eventuali attacchi volti alla riconquista del potere pontificio sui suoi possedimenti. Dal 1932, sotto il periodo fascista, in questo luogo ebbero inizio le fucilazioni da parte del regime nei confronti dei dissidenti e dei traditori. Ma è soprattutto nei nove mesi dell’occupazione tedesca che si verificò un incremento delle condanne a morte.
FORTE BRAVETTA E LE FUCILAZIONI NAZISTE
L’ingresso all’interno del Parco dei Martiri di Forte Bravetta
Riconsegnato alla cittadinanza soltanto nel 2009, il Forte Bravetta è divenuto uno dei simboli della Resistenza romana poiché qui i soldati nazisti tra l’8 settembre 1943 ed il 4 giugno 1944 fucilarono gli uomini che si erano opposti agli occupanti tedeschi. Si conta che all’interno del Forte vennero uccise complessivamente 119 persone nell’arco di soli 13 anni, tra cui anche il sacerdote Don Giuseppe Morosini, portato sugli schermi da Aldo Fabrizi nel film “Roma città aperta”, e passato alle armi il 3 aprile del 1944.
Lapide commemorativa all’ingresso del Parco dei Martiri di Forte Bravetta
Anche una donna venne fucilata qui: si chiamava Laura D’Oriano, trentenne ed agente segreto degli Alleati. Entrata in Italia alla fine del 1941 con una carta d’identità falsa, ebbe il compito di seguire i movimenti delle navi da guerra italiane. Nel suo tragitto che la condusse fino a Roma e a Napoli venne costantemente pedinata, a sua insaputa, da un carabiniere in borghese che annotò tutti i suoi spostamenti. Il suo arresto avvenne alla stazione ferroviaria di Littoria (l’attuale Latina). La donna fu condotta nel carcere delle Mantellate a Roma e poi, il 16 gennaio 1943, dopo un processo-lampo venne fucilata all’interno del Forte Bravetta.
FORTE BRAVETTA, SIMBOLO DELLA RESISTENZA ROMANA
Forte Bravetta, a sinistra una toretta di avvistamento, a destra le mura del forte
La condanna a morte veniva deliberata dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, un organo speciale costituito da Benito Mussolini che, a partire dal 1926, si cominciò ad occupare della repressione dei reati commessi contro la sicurezza dello Stato e contro il Regime Fascista. Da lungotevere Raffaello Sanzio, luogo in cui aveva sede, dovevano necessariamente sfilare tutti i dissidenti e gli oppositori politici catturati.
I condannati, nel periodo 1932-1943, passavano la loro ultima notte nelle celle del carcere di Regina Coeli. La mattina seguente, alle prime luci dell’alba, venivano condotti al Forte Bravetta e successivamente sistemati su una sedia, bendati e con le mani legate. Un incaricato, in genere un ufficiale, leggeva la sentenza di condanna a morte ed ordinava il fuoco. Il plotone, incaricato dell’esecuzione, sparava sulla schiena dei condannati.
Con l’occupazione tedesca di Roma, il Forte Bravetta divenne il luogo deputato alla fucilazione dei partigiani. Qui vennero uccisi, in gran fretta e senza che nei giorni successivi trapelasse nulla, gli uomini della Resistenza di Roma e del Lazio che facevano parte dei vari partiti clandestini che si opponevano ai Tedeschi. Divenendo uno dei luoghi della memoria di Roma, al Forte Bravetta nel 1967 venne posta una lapide in ricordo delle fucilazioni che si verificarono nei nove mesi di occupazione nazista.
Dopo la liberazione di Roma avvenuta il 4 giugno 1944, nel Forte vennero eseguite le sentenze di morte emesse dai tribunali italiani nei confronti dei collaborazionisti. L’ex questore Pietro Caruso ed il militare Pietro Koch, dopo il processo presso il Palazzo di Giustizia, vennero condotti qui e fucilati alla schiena.
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