Il gioco degli scacchi è uno dei passatempi preferiti da milioni di persone nel mondo, schiere di appassionati che si sfidano muovendo i 16 pezzi che hanno a disposizione su una scacchiera bianca e nera. Lo scopo che perseguono è quello di catturare il pezzo più importante, il re che al contempo è anche uno dei pezzi più deboli perché, sebbene possa muoversi in tutte le direzioni, può farlo soltanto facendo un passo alla volta. Proteggere il re, non esporlo ai pericoli e schermarlo dalle mosse degli altri pezzi è la regola base principale degli scacchi perché la sua cattura equivale a perdere, porre fine al gioco e dichiararsi sconfitti. Ed il prezioso sovrano deve difendersi dalle mosse degli avversari, il pedone, la torre, il cavallo, l’alfiere e soprattutto la temibile regina, la minacciosa donna che rappresenta il pezzo più potente del perché è la sola in grado di muoversi in qualsiasi direzione e senza limitazioni di caselle lungo tutta la scacchiera.

NASCITA DEL GIOCO DEGLI SCACCHI

Gioco degli scacchi

A sinistra particolare degli affreschi del ciclo “La Chatelaine de Viergy”, fine XV sec., Firenze, Museo di Palazzo Davanzati – a destra “Giocare a dadi, giocare a scacchi”, particolare di mosaico di fine XII secolo, Piacenza, San Savino

Il gioco degli scacchi è uno dei più diffusi giochi da tavolo che, a differenza di altri, non contempla soltanto il divertimento ma racchiude un insieme di abilità, intelligenza e strategia. La nascita degli scacchi è avvenuta nel lontano Oriente ed affonda le sue origini in tempi antichi. Nati nel VI secolo in India, gli scacchi ebbero diffusione in Occidente a partire dall’anno Mille, attraverso la mediazione della cultura persiana. In questo passaggio da una terra all’altra del globo terrestre avvennero alcune trasformazioni sostanziali del gioco, cambiamenti che apportarono non solo modifiche alle regole del gioco o al modo di muoversi degli elementi essenziali ma anche alla denominazione dei pezzi.

Storia degli scacchi

Pezzo da gioco degli scacchi in forma di elefante, avorio, Iraq (?), IX sec. (?), Firenze, Museo Nazionale del Bargello

Re, cavallo e pedoni sopravvissero al passaggio dalla cultura orientale a quella occidentale mentre altri pezzi del gioco degli scacchi subirono dei cambiamenti sostanziali. Per iniziare prendiamo come esempio il pezzo dell’alfiere, il soldato che recava il vessillo delle milizie. In passato non si trattava di un uomo ma di un animale, più precisamente di un elefante che soltanto nel corso dei secoli si è trasformato assumendo le fattezze umane. Nel nome è rimasta traccia di quel passaggio: in lingua araba l’elefante viene chiamato con il termine al-fil, che per assonanza in italiano è diventato l’odierno alfiere. Ma non è il solo pezzo degli scacchi ad essere mutato. La torre, che si muove orizzontalmente e verticalmente lungo le caselle della scacchiera facendo rapide incursioni, era in origine un cammello. Invece il pezzo più temibile, la regina, non era addirittura contemplata quando vennero inventati gli scacchi; è stata introdotta intorno al 1500 ed ha preso il posto del visir (il fers arabo). Questo pezzo però non ha semplicemente cambiato sesso ma nel corso dell’evoluzione del gioco ha acquistato potenza, passando dalla scarsa mobilità iniziale ad una possibilità illimitata di spostamento, divenendo l’elemento più forte del gioco.

STORIA DEGLI SCACCHI

Il gioco degli scacchi

Il gioco degli scacchi

Durante il Medioevo, intorno all’anno Mille, in Europa e in Italia si diffuse il gioco degli scacchi che, a differenza di altri passatempi come le carte ed i dadi, non fu avversato in maniera decisa dalla schiera di ecclesiasti e predicatori che dettavano le linee morali del buon cristiano. Il gioco, ritenuto quasi un’arte sottile e nobile, si diffuse soprattutto tra le classi colte, divenendo segno di riconoscimento per l’aristocrazia, ben lontano dalle bettole e dalle taverne in cui si giocava a carte o a dadi.

La diffusione degli scacchi è attestata nel nostro paese da un mosaico (XI-XII secolo) presente nel presbiterio della chiesa di San Savino a Piacenza in cui si ritrae un giocatore seduto su una sedia mentre muove un pezzo sulla scacchiera bianca e nera. L’uomo è probabilmente intento a spiegare le regole del gioco ad un’altra persona, seduta di fronte a lui, di cui è visibile soltanto il braccio destro.

In letteratura troviamo un riferimento agli scacchi in un manoscritto di Franco Sacchetti, il Trecento Novelle, scritto alla fine del XIV secolo in cui si descrive la passione di un sacerdote per il gioco: “E ‘l piovano mostra loro come gli ha dato scaccomatto in mezzo allo scacchiere”. Ma è addirittura un domenicano, Jacopo da Cessole, intorno al 1300 a scrivere un’opera didattico-moraleggiante (il Libellus de moribus hominum et officiis nobilium ac populum super ludo scaccorum) utilizzando l’allegoria del gioco degli scacchi. La vita è una scacchiera su cui si muovono i vari protagonisti della società, ciascuno con i propri vizi e le proprie virtù. Sostiene Jacopo da Cessole che ognuno ha un compito specifico ed ha il dovere di apportare miglioramenti secondo il proprio ceto e la posizione che ricopre. Questo vale per i nobili (il re e la regina), per l’esercito (i cavalli), per l’attività giudiziaria ed amministrativa (gli alfieri e le torri) e per il popolo (i pedoni).

Infine una curiosità della nostra lingua che porta in essa la mescolanza e gli incroci di popolazioni e culture: la locuzione scacco matto, che utilizziamo per indicare l’impossibilità del re sotto assedio di muoversi su una casella vuota, proviene dalle parole arabe Shāh Māt che possono essere tradotte come “il re (è) morto”, alludendo al principio degli scacchi che consiste nell’immobilizzazione del re, il pezzo senza il quale non è più possibile continuare il gioco.

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