Se non avessi avuto fra le mani il bellissimo libro di Filippo Boni, il mio pezzo sugli uomini della scorta di Moro, su Oreste, Domenico, Francesco, Raffaele e Giulio non solo non lo avrei scritto ma neppure immaginato. Ma in quel mese di agosto di due anni fa Gli Eroi di via Fani non era stato ancora pubblicato e il mio desiderio di scrivere qualcosa che ricordasse gli uomini della scorta di Aldo Moro e il loro dramma, era più forte che mai. Poi, per fortuna, ho letto il libro di Filippo Boni e ho capito che finalmente qualcuno, e in modo straordinario, aveva reso giustizia al bisogno di far conoscere agli italiani i nomi e le singole storie di quei cinque uomini che la degenerazione di un’ideologia aveva ucciso.
GLI EROI DI VIA FANI: IL SACRIFICIO DELLA SCORTA DI ALDO MORO
Gli eroi di Via Fani
Gli Eroi di via Fani, che ho letto e riletto, è la migliore testimonianza che potesse essere mai lasciata; è un’eredità toccante, struggente, autentica ma mai stucchevole e banale. Nelle sue quasi trecento pagine sono racchiuse le vite di Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Raffaele Iozzino e Francesco Zizzi. Vite fuggite dalla miseria di un’Italia povera, contadina, proletaria. Esistenze che avevano trovato nelle uniformi della polizia e dei carabinieri la speranza di un futuro migliore.
Quei cinque ragazzi tornano a parlare, grazie al libro di Boni. Riaffiorano i loro sogni, le loro speranze, le loro paure, i loro amori. Voci sommesse che raccontano vite normalissime, fatte di gesti quotidiani, di scarpe allacciate, di caffè bollenti e rapidamente bevuti, di arrivederci che divennero, in una grigia mattina di metà marzo, solo addii.
Su quei cinque uomini, prima di Gli Eroi di via Fani, edito da Longanesi, a parte la bellissima puntata di Gianni Minoli della sua La storia siamo noi, si sapeva poco o nulla. Qualche scarna informazione sul web, delle foto in bianco e nero, e nulla più. Tutto dimenticato, tutto seppellito.
IL CASO MORO E IL DOVERE DELLA MEMORIA
Memoriale di Moro
I libri sul caso Moro non si contano, così come le testimonianze e i resoconti particolareggiati dei terroristi che quel 16 marzo 1978 uccisero in via Fani. Ma su quei cinque uomini della scorta assolutamente nulla. Solo il pesante velo di un inaccettabile oblio.
Per quarant’anni nessuno ha sentito il bisogno, e prima ancora il dovere, di raccontare quelle storie e l’infinito dramma delle loro famiglie, morte, anche loro, quel 16 marzo. A ricucire questo strappo, a sanare questa ingiustizia, ci ha pensato lo storico Filippo Boni con un lavoro certosino che lo ha portato a incontrare coloro che in tutti questi anni hanno pianto, in un dignitosissimo silenzio, dei figli, dei mariti, dei fratelli.
Un libro nato sulla scorta della parola data ad una semplice frase: “vorrei che mi facessi una promessa”. E quella promessa Filippo Boni l’ha mantenuta, partendo da una moneta da cinquanta lire appiccicata a un biglietto autostradale, emesso nell’estate del 1977. Girando l’Italia da nord a sud, camminando per sentieri impervi e strade battute da un sole accecante, ha fatto sì che quegli uomini non fossero più dimenticati, riannodando per sempre fili di esistenze spezzate.
Un libro di straziante memoria ma non solo. Gli Eroi di via Fani è anche un libro di denuncia, che urla l’impreparazione dei nostri apparati di intelligence che, in quel maledetto 1978, mandò al macello quegli uomini.
Pagine che gridano l’inaccettabile abbandono da parte delle istituzioni dei parenti di quelle vittime. Perché dopo il 18 marzo 1978, il giorno dei solenni funerali, quando in una chiesa stipata fino all’inverosimile, davanti a cinque bare perfettamente allineate, sfilarono i sepolcri imbiancati della politica italiana, delle famiglie di Oreste, Giulio, Domenico, Raffaele e Francesco lo Stato non si occupò più.
Lo fecero amici e parenti nel più assoluto e composto silenzio. Gli Eroi di via Fani è un libro bellissimo che commuove ma che suscita anche infinita rabbia. Un libro che ha il grandissimo merito di dare voce a chi non ha mai parlato in questi lunghi quarant’anni e che, invece, avrebbe avuto tutto il diritto di farlo.
La migliore recensione l’ha scritta Mario Calabresi, vittima anche lui di una cieca ideologia:
“Quando chiuderete le pagine di questo libro potrete dire di conoscerli, quei cinque uomini cammineranno con voi e non potrete più dimenticarli. È questo il compito della memoria, restituire alla comunità il valore di una vita e la forza di un esempio”.
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