La storia del Grande Torino ha inizio in un freddo giorno di dicembre del 1906. L’amore di Gianni per i colori granata diventò infinito una domenica d’autunno del 1947.

IL GRANDE TORINO: UNA SQUADRA DI CALCIO DIVENUTA LEGGENDA

La formazione del Grande Torino

La formazione del Grande Torino

Il Torino FC, una squadra che diventerà leggenda, nasce il 3 dicembre 1906.

Fa freddo quel pomeriggio, ma nella birreria Voigt, in via Pietro Micca, non distante da Porta Castello, l’atmosfera è decisamente calda. Mentre Torino tenta di proteggersi dal freddo che scende dalle Alpi marginanti un profilo da fiaba, un gruppo di persone, guidate dall’imprenditore svizzero Alfred Dick, decide di dar vita a una nuova squadra di calcio.

Nel capoluogo piemontese di squadre, in verità, ce ne sono già due, il Football club Torinese, nato nel 1904, e ovviamente la Juventus, che di anni ne ha qualcuno in più. Ma non importa il numero delle squadre, anzi più ce ne sono e meglio è.

Il calcio è uno sport che unisce, affratella, anche se arriva da lontano, da quell’Inghilterra che anni dopo sarà ribattezzata la perfida Albione. Quello strano sport, per cui ventidue ragazzi in calzoncini si affannano per spingere una palla dentro una porta, è pur sempre poesia, anche se diversa da quella che ha portato Giosuè Carducci in quello stesso anno al Nobel per la letteratura.

Il calcio è un romanzo popolare, fatto di goal e finte, di corse ed esultanza, di gioia e dolore. Per questo motivo in tutta Italia, in quel lembo di inizio secolo, le squadre di calcio sono già molte; ognuna con il suo nome, il suo simbolo, tutte con una maglia da sfoggiare e per cui tifare.

Dalla Juventus provengono alcuni di quei signori che quel 3 dicembre vogliono fondare una nuova squadra: il Torino FC. Pochi giorni dopo il Torino, che ha scelto il colore granata per la sua maglia, gioca la prima partita.

Vercelli, 16 dicembre 1904. Il Torino affronta il Vercelli; è una sorta di derby, visto che sono entrambe compagini piemontesi e ad aggiudicarselo è il Torino con un netto 3 a 1. È l’inizio di una storia straordinaria che nel secondo dopoguerra diventa leggenda.

Una leggenda di cui Gianni, per tutti Giannetto, conosce ogni piccolo tassello. Non sa bene il motivo di quel suo amore; lui è nato a Roma e Torino è davvero lontana. Quelle due città sono separate da tanti chilometri, da montagne, da dialetti e da una miriade di stelle, ma di quella città che non conosce, Giannetto ama la sua squadra.

Forse tiene per il Torino perché suo papà è da sempre un suo tifoso; magari perché non gli interessa sostenere, come molti i suoi compagni di classe, la Roma o la Lazio; forse solo perché quella maglia granata è la più bella di tutte. Di sicuro Giannetto ricorda la prima volta che vide il grande Torino dal vivo, allo stadio.

Fa caldo quella domenica 5 ottobre 1947. Giannetto esce presto di casa, vuole anticipare il giorno e vivere appieno ogni minima sensazione. Ha nove anni ma sembra già un ometto. Saluta mamma Evelina e in un lampo divora il vialetto che dal vecchio casale lo porta sulla strada dove ad attenderlo c’è suo papà.

Mano nella mano si dirigono verso lo stadio della Roma. Tutto intorno sembra bello, indimenticabile. Quel bambino scruta con occhi neri e vispi la città e intanto pregusta l’emozione che di lì a poco vivrà. Quando suo papà, giorni addietro, gli ha detto che sarebbe andato a vedere il Grande Torino, sulle prime ha pensato a uno scherzo. C’è pure rimasto male, in verità, perché con i sentimenti non si scherza, neanche a nove anni.

Ma non si tratta di uno scherzo, è tutto meravigliosamente vero. Suo papà quei preziosi biglietti li ha comprati per davvero; è andato fino a via del Tritone 125, la sede della Roma, per acquistarli. Quando sta per entrare dentro lo stadio papà Emilio gli suggerisce di chiudere gli occhi e provare solo ad ascoltare. Giannetto fa come gli dice suo papà. Chiude gli occhi e ascolta tutto. L’entusiasmo dei tifosi, il suo cuore che batte forte e sente l’aria fresca dell’autunno.

Poi improvvisamente apre gli occhi e lo spettacolo che gli si para davanti è il più bello che potesse immaginare. Il campo da gioco che sembra immenso, le porte bianche e intorno tantissimi tifosi, tutti come lui in febbrile attesa che i loro beniamini entrino per iniziare la partita, anche se i suoi sono quelli del Grande Torino.

Alle 15 in punto eccoli entrare. L’attesa è terminata, ora lo spettacolo può avere inizio. Alcuni di quei mitici giocatori li riconosce, grazie ai ritagli delle foto dei giornali che papà gli ha conservato. Vede Loik, Menti, Bacigalupo e principalmente Valentino Mazzola, il suo preferito, il suo mito.

In classe non parla d’altro. Poi il pomeriggio, nel cortile sotto casa, mentre mamma lo guarda, lui gioca con una palla di pezza e sogna di diventare forte come lui. Dopo la partita inaugurale, in quel lontano 1906, il Torino di partite ne gioca molte altre, diventando una squadra sempre più forte.

Nella stagione 1927/28 arriva il primo scudetto, davanti al mitico Genoa e all’Alessandria, ma dovranno trascorrere diversi anni per festeggiare il secondo.

In quel 1943, funestato da una guerra che da anni miete morti e seppellisce sogni di stupida grandezza, il Torino vince lo scudetto e, ancora una volta, per un solo punto. Lo fa sul Livorno che ha un colore di maglia quasi simile, perché la maglia del Toro è unica.

Ma è dopo la fine della guerra che il Torino diventa leggenda. In un’Italia che tenta di rialzarsi dalle macerie di un conflitto che non aveva voluto, quei colori diventano magia. Il Torino vince quattro titoli consecutivi, quattro scudetti che lo rendono invincibile. Sul rettangolo verde nessuno può fermarlo, non c’è squadra avversaria che possa sperare di battere quel gruppo di ragazzi formidabili, guidati dal più grande di tutti: Valentino Mazzola. Sarà solo e soltanto una collina a sconfiggere quella leggenda.

Giannetto, quella domenica d’ottobre, guarda attentamente ogni azione dei suoi paladini. Scruta le discese di Franco Ossola, le serpentine di Mazzola, le parate di Bacigalupo. Ma la partita è difficile, la Roma è tosta, si difende bene e attacca con il suo centravanti Amadei. Ed è proprio quel ragazzo, che i tifosi giallorossi chiamano “il Fornaretto” a sbloccare la partita con uno dei suoi goal.

I tifosi della Roma sono impazziti di gioia e Giannetto non crede ai suoi occhi. Guarda smarrito suo papà, non può credere che quella sua prima partita possa concludersi con una sconfitta. Il primo tempo finisce con la Roma in vantaggio. Nell’intervallo Giannetto ha tutto il tempo per pensare. Si chiede come sia possibile quel risultato, si sente tradito dai suoi eroi, proprio nel giorno del suo debutto.

Chissà cosa sta dicendo Mazzola ai suoi compagni negli spogliatoi, in fin dei conti c’è ancora tutto un secondo tempo da giocare e un risultato da ribaltare. L’intervallo per fortuna finisce, fosse per Giannetto neppure ci dovrebbe essere. Il Torino torna in campo e fin dai primi tocchi sembra diverso.

Ma devono passare quindici minuti perché lui, Mazzola, segni il goal del pareggio. Poi quella squadra leggendaria scrive un’altra pagina indimenticabile, battendo la Roma 7 a 1.

Giannetto è felice come mai lo è stato. Esulta a ogni goal dei granata e poi quando lascia quello stadio, da cui non vorrebbe più uscire, si gode quella domenica indimenticabile. I viali alberati, il cielo che si tinge di rosso, anzi di granata, e mille storie da raccontare e trasformare, quando placida scenderà la notte, in ricordi da custodire per sempre.

TRAGEDIA DI SUPERGA: L’INCIDENTE AEREO CHE STRONCÒ I SOGNI DEL GRANDE TORINO

La tragedia di Superga: l'incidente aereo che spezzò i sogni del Grande Torino

La tragedia di Superga: l’incidente aereo che spezzò i sogni del Grande Torino

La leggenda di quella squadra si infrange alle 17.03 di un terribile 4 maggio 1949. Sull’aereo che sta riportando il Torino a casa, di ritorno da Lisbona dove ha disputato un’amichevole con il Benfica, il clima è spensierato. Si scherza, ci si riposa, si pregusta principalmente l’ennesimo scudetto che fra poco sarà festeggiato per la gioia dei tifosi. Nessuno immagina che quell’aereo a Torino non arriverà mai.

Collina di Superga, Torino, ore 17.03. L’aereo, un Fiat G 212 della compagnia aerea ALI, si schianta improvvisamente contro il muraglione posteriore della grande basilica di Superga, la chiesa cara ai torinesi costruita su progetto dell’architetto Filippo Juvarra nella prima metà del Settecento.

Fra le lamiere arroventate dell’aereo si contano 31 corpi. Nessuno si è salvato da quell’incidente. Tra i ventisette passeggeri ci sono loro, gli eroi di Giannetto, quei volti conosciuti su piccole foto in bianco e nero tagliate dalle pagine del giornale del lunedì, quei volti che aveva visto correre, segnare, esultare quella sua indimenticabile domenica. I suoi dieci anni, quel 4 maggio, diventano improvvisamente tanti, troppi, insufficienti però, per capire il perché di quella tragedia, il motivo per cui i sogni svaniscono sempre all’alba, lasciando solo un inafferrabile ricordo.

Anni dopo la figlia di Giannetto troverà nella scatola dei ricordi di suo papà, volato via troppo presto come quei mitici calciatori del Torino, un gagliardetto del Torino e un portachiavi di quella squadra che solo la sfortuna riuscì a battere.

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