Il 19 luglio 1943 a Feltre, in provincia di Belluno, dove, dopo la battaglia di Caporetto, l’ultimo imperatore asburgico, Carlo I, aveva deciso di stabilirvi il suo quartier generale, andò in scena un’autentica farsa, di cui gli assoluti protagonisti furono due uomini giunti al loro capolinea: Hitler e Mussolini.
Questo è il racconto di uno degli ultimi incontri fra i due dittatori, preludio all’ultimo atto di una tragedia che sconvolse il mondo, seminando, a ogni latitudine, morte e disperazione.
PRIMA DI FELTRE, FRA AMBIZIONI DI GLORIA E ROVINOSE DISFATTE
Quando la mattina del 19 luglio 1943 Benito Mussolini lascia la sua amata Riccione per Feltre, dove incontrerà di lì a poco l’alleato tedesco, sembra trascorso un secolo da quel primo incontro fra lui e Hitler, eppure sono passati solo 9 anni.
Venezia, 14 giugno 1934, aeroporto San Nicolò. Mussolini, in un’impeccabile uniforme nera, con tanto di fez in capo e spadino infoderato alla cintola, aspetta l’arrivo di Adolf Hitler. I due non si sono mai incontrati, nonostante guidino due importanti stati europei. Ma non c’è da stupirsi più di tanto. Mentre Hitler stravede per Mussolini, ritenendolo un modello di riferimento, un idolo, al punto da commuoversi al suo cospetto, il dittatore italiano, al contrario, nutre verso l’omologo germanico, specie per le mire espansionistiche sull’Austria, un mal sopito sospetto.
Di quel tedesco che il 14 giugno scende dall’aereo in abiti civili, come espressamente richiesto dal protocollo fascista, con «un impermeabile striminzito, color beige-chiaro, su un completo composto da un tight nero e da pantaloni a righe che ricadevano, decisamente lunghi, su un paio di scarpe di vernice abbastanza sciupate» assolutamente non si fida.
Hitler e Mussolini a Venezia nel 1934
In quel contrasto di vestiti c’è tutta la distanza fra i due uomini politici. Mussolini, infatti, è il dominus incontrastato dell’Italia da 12 anni, avendo instaurato, con la colpevole accondiscendenza del sovrano, dopo l’omicidio Matteotti, un vero e proprio regime.
Hitler, invece, è il cancelliere di un governo di coalizione da poco più di un anno ma ha grandi ambizioni che dimostrerà quanto prima.
Ma intanto, in quel primo incontro tra Hitler e Mussolini, che si tiene a Stra, a metà strada tra Padova e Venezia, la parte del leone la recita Mussolini, che quasi annichilisce Hitler, emblematicamente rappresentato da quel cappello che nervosamente sprimaccia fra le mani sudate.
In seguito non sarà più così. Nei successivi incontri, già a partire dal secondo in terra tedesca, nel settembre 1937, fra fantasmagoriche parate e appariscenti scenografie, solo in parte imitate da Mussolini nella visita di Hitler a Roma nel maggio del 1938, il rapporto muta e definitivamente.
Il dittatore tedesco dominerà sempre la scena, sottoponendo Mussolini ma anche il suo nutrito seguito, a logorroici monologhi, impossibili da interrompere, difficilissimi da seguire, anche per l’interprete ufficiale, quel Paul Otto Schmidt che permette a Mussolini, che pure ha una discreta conoscenza del tedesco, l’unica lingua parlata da Hitler, di comprendere le arringhe dell’alleato, condite molto spesso dalla nota gestualità del leader nazista, nonché dai tic linguistici, elementi non verbali perfettamente noti a Schmidt.
Ma a variare nel corso dei diciassette complessivi incontri fra i due dittatori nel corso di dieci anni, dal 1934 al 1944, non saranno solo i rapporti fra i due ma soprattutto i destini dei loro paesi.
Quando, infatti, Hitler e Mussolini si vedono a Feltre le sorti di Germania e Italia sono decisamente critiche, quasi drammatiche. La guerra, fortemente voluta dal dittatore nazista e nella quale si è trovato obtorto collo Mussolini convinto di una immediata e felice conclusione della stessa, sta volgendo al peggio, lambendo le frontiere della disfatta.
I successi tedeschi in Polonia, Olanda, Francia e terre slave sono uno sbiadito ricordo, gelatosi sul fronte russo, dove Hitler non è riuscito a piegare il suo ex alleato Stalin, allo stesso modo con cui non ha sopraffatto la potenza inglese.
Per l’Italia va pure peggio. La disfatta della campagna di Grecia ha avuto un seguito in Africa e ora minaccia gli stessi confini italiani. Il 9 luglio 1943 le truppe angloamericane sono sbarcate in Sicilia, ridicolizzando il proposito mussoliniano, pronunciato il precedente 24 giugno, per cui ogni attacco sarebbe stato «congelato su quella linea che i marinai chiamano bagnasciuga».
È l’ennesima disfatta per il regime in quel fatale 1943, scandito da scioperi, disfatte militari e manovre occulte ordite dalla Corona per disarcionare Mussolini, un climax di sfacelo che toccherà l’apice il 25 luglio 1943, con la votazione sull’ordine del giorno di Dino Grandi che metterà fuori gioco il dittatore italiano.
Ma prima di quella notte di fine luglio, c’è ancora tempo per il quindicesimo incontro fra Hitler e Mussolini, stanco preludio a una fine sempre più prossima.
HITLER E MUSSOLINI A FELTRE: ANATOMIA DI UNA FARSA
La decisione di convocare un vertice tra i due alleati viene presa da Hitler il 17 luglio 1943, sul far della sera. Il dittatore nazista, dopo aver accuratamente letto un corposo e dettagliato rapporto sulla situazione italiana, convoca l’ambasciatore tedesco in Italia, Mackensen, in quel momento ospite del Führer a Rastenburg e gli rappresenta la decisione di tenere, prima possibile, un incontro bilaterale, anche in territorio italiano.
Mussolini vorrebbe evitare e astenersi, non ha molto da dire a Hitler, oltretutto, è fisicamente devastato dal riacutizzarsi dei dolori allo stomaco, con cui convive da anni ma che, ora, complice l’aumentato stress, sono divenuti davvero insopportabili.
A Roma alcuni suoi più stretti collaboratori lo hanno spronato ad andare all’incontro ma non per ascoltare impassibile i consueti monologhi dell’alleato, bensì per porre sul tavolo la cogente questione di un significativo appoggio tedesco alle truppe italiane per cercare di fronteggiare l’avanzata angloamericana e per provare a riprendersi la Sicilia.
Mussolini e Hitler
Qualcuno più arditamente suggerisce al Duce di provare a lanciare l’ipotesi di un’uscita anzi tempo dal conflitto, forse l’unica soluzione per scongiurare l’imminente catastrofe.
Alla fine il Duce cede e decide di incontrare il suo omologo tedesco, anche se sa bene che l’extrema ratio della rottura dell’alleanza è difficile da concretizzare, anche perché non osa pensare a quale potrebbe essere la reazione di Hitler che difficilmente gli lascerebbe libertà d’azione.
I due, la mattina del 19 luglio, si vedono alla stazione ferroviaria di Treviso, poi, in treno, raggiungono Feltre e da qui, in auto, Villa Gaggia, residenza estiva del senatore Achille Gaggia.
Il caldo è soffocante e contrasta con il gelo che cala glaciale sui due. I sorrisi di circostanza sono pochi e forzati, sul tavolo c’è la questione militare non certo rosea dei due alleati e la necessità di prendere decisioni non più rimandabili.
L’incontro tra Hitler e Mussolini a Feltre si apre alle undici in punto. A prendere la parola è, naturalmente, il Führer che come da prassi inizia un lungo monologo in cui i riferimenti all’Italia sono tanti e pesanti. Hitler critica l’operato dei soldati italiani, inclini alla diserzione ma anche l’incapacità dei comandi militari. Mussolini segue silente, sprofondato nella sua poltrona, con le mani incrociate sulle gambe accavallate, come scriverà uno dei presenti, Dino Alfieri.
I SEGNALI DI UN’IMMINENTE DISFATTA
Mezz’ora dopo la già pesante atmosfera viene bruscamente interrotta dall’ingresso del segretario particolare del Duce che, visibilmente imbarazzato, gli consegna un dispaccio. Il volto del dittatore italiano diventa bianco, tutti gli astanti, Hitler compreso, intuiscono che è successo qualcosa di grave e non si sbagliano.
Roma, infatti, è stata oggetto di un pesante bombardamento. Si tratta dell’Operazione Crosspoint o “Notte di San Lorenzo”, l’azione militare di 362 bombardieri pesanti B17 e B24 e 300 bombardieri medi 146 B26 e 154 B25 che, a partire dalle 11,00 del mattino e in sei ondate successive, provocano 3.000 vittime su alcuni quartieri della capitale, tra cui il popolarissimo San Lorenzo che, al pari della sua antichissima chiesa di San Lorenzo fuori le Mura, viene quasi completamente distrutto. Con il bombardamento di San Lorenzo Roma è ferita come mai prima d’ora, morte e devastazione segnano un punto di non ritorno, la plastica dimostrazione che la tragedia è giunta fin dentro le case degli italiani.
Dopo l’interruzione Hitler, come se nulla fosse accaduto, riprende il suo monologo, proseguendo la sua invettiva contro l’alleato italiano e ripercorrendo, piuttosto rapidamente in verità, la situazione militare sul fronte russo e su quello balcanico.
Mussolini ormai non lo segue più, spera solo che quel supplizio finisca quanto prima. Per fortuna di tutti i presenti arriva il momento del pranzo che vede i due dittatori mangiare a tu per tu. Cosa si siano detti non è dato saperlo con certezza. Stando all’ammiraglio Malgeri, che dopo il 25 luglio raccolse le confidenze del Duce su Feltre, Mussolini nel corso di un pasto breve e frugale, prova, invano, a rilanciare la vecchia e mai sopita idea di una pace separata con Stalin e la non rimandabile richiesta di aiuto in Sicilia.
Cosa risponda Hitler però resta un mistero, qualche testimone riferisce che dalla sala da pranzo dove i due si trovano, si odono nitide le urla del Führer, sottolineate anche da vigorose manate sul tavolo, un atteggiamento oltremodo collerico al quale Mussolini oppone una tenue e inutile resistenza verbale.
Poi, tornato per un attimo padrone di sé, Hitler si lascia andare a una incredibile confidenza. Per la prima volta, come ha scritto lo storico francese Pierre Milza nel suo Hitler e Mussolini, il leader nazista accenna «alla questione delle armi segrete destinate, a suo dire, a stravolgere gli esiti della guerra in favore dell’Asse» armi che, a detta di un galvanizzato Führer sarebbero disponibili già dalla fine di agosto e che «avrebbero raso al suolo Londra fino all’ultima casa, riducendo in ginocchio la Gran Bretagna».
Armi terrificanti a parte, nessun storico è mai riuscito a stabilire se tali affermazioni fossero solo delle promesse impossibili o qualcosa di più concreto, il vertice di Feltre è un colossale insuccesso, un incontro inutile, come era già accaduto pochi mesi prima a Salisburgo dove, anche in quella circostanza, l’Italia non aveva ottenuto nulla.
L’incontro di Feltre termina alle 17,00. I convenevoli sono pochi e rapidi, prevale tra i presenti la voglia di andare via il prima possibile. Mussolini è più corrucciato che mai anche se a un attonito generale Ambrosio dispensa sicurezza, affermando stentoreo di non poter muovere alcuna rimostranza a Hitler «giacché, questa volta, mi ha espressamente promesso di inviarci tutti i rinforzi di cui abbiamo bisogno».
Ma è una stanca recita, che non convince nessuno, Mussolini in primis, perfettamente conscio che il conto alla rovescia per lui e per il regime è inesorabilmente cominciato.
Così Giuseppe Bottai, uno dei firmatari dell’ordine “Grandi” scriverà sull’incontro di Feltre, facendo suo il racconto di uno dei presenti, Giuseppe Bastianini: «È una narrazione assai triste. Un’aria di imbarazzo, di disagio, d’equivoco lo ha compromesso fin dall’inizio sul terreno della reticenza e della finzione. Il nostro Capo, impacciato, sofferente, non sa purificare quell’aria con una parola franca, cruda, che rompa ogni indugio alla verità».
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