Quando Mario Monicelli, fra la generale soddisfazione degli astanti, diede l’ultimo ciak de I soliti Ignoti, probabilmente era consapevole di aver girato un bel film ma, di certo, non avrebbe mai potuto, neanche minimamente, immaginare che quella pellicola sarebbe stata “uno dei pilastri della nascente commedia italiana” come anni dopo affermerà Morando Morandini. I Soliti Ignoti è una pietra miliare (Totò avrebbe detto “emiliana”) di quella commedia all’italiana che si basava sulla capacità di far ridere sulla miseria, sulla disgrazia, su situazioni di partenza non certo divertenti. Una tradizione, quest’ultima, che traeva origine dalla letteratura italiana, da alcune novelle del Boccaccio ma anche, ad esempio, dalla Mandragola di Machiavelli. Il cinema italiano del secondo dopoguerra, semplicemente recuperò questo patrimonio con un incredibile successo, esibendo sì la disgrazia, l’inedia, la povertà, ma in modo drammaticamente farsesco.
MARIO MONICELLI: COME NACQUE L’IDEA DE “I SOLITI IGNOTI”
Allora, anche la morte, come quella di Cosimo ne I Soliti ignoti, che finisce sotto un tram, diventa qualcosa di leggero, non certo motivo d’angoscia. Alla base de I Soliti ignoti ci fu, fin da subito, il desiderio di far ridere, esibendo la vita di tutti i giorni, quella di un’Italia che, seppur faticosamente, si stava sollevando dalle macerie della guerra. Una narrazione realistica, il film è pieno di realtà drammatiche, si pensi solo alle scene che mostrano il carcere femminile e al desiderio di una mamma detenuta di abbracciare suo figlio, ma tutto mostrato in chiave comica. Non a caso Monicelli più volte disse, a proposito de I Soliti Ignoti, che lo aveva girato come se si trattasse davvero di un film drammatico.
Totò e Mario Monicelli in una pausa sul set de I Soliti Ignoti
Alla base dell’idea di scrivere il soggetto del futuro film, c’era la volontà di girare una pellicola che fosse la parodia del genere poliziesco-gangsteristico, specialmente pensando a film come Du Rififi chez les hommes. Ma “mentre in Rififì” – come affermò anni dopo in un’intervista lo stesso Monicelli – “c’era un colpo attuato in maniera magistrale, con grande precisione”, con I Soliti Ignoti l’intento era quello di “mostrare una banda di cialtronelli” che tentava il colpo della vita, fallendo, però, miseramente, con un finale che è rimasto epico: la mitica pasta e ceci proposta da Capannelle, dopo la presa di coscienza del clamoroso errore che vanificava l’intero colpo.
Un finale che, come confermato dagli sceneggiatori, prendeva letterariamente spunto da una novella di Italo Calvino, “Furto in una pasticceria”, contenuta nell’antologia Ultimo viene il corvo, pubblicata interamente per i tipi di Einaudi nel 1954, dopo che i racconti erano usciti singolarmente su diverse riviste e quotidiani, fra cui l’Unità negli anni precedenti. A colpire in particolare sceneggiatori come Scarpelli, Age e Susi Cecchi D’amico oltre, che Mario Monicelli, era l’atto conclusivo della novella calviniana, in cui i ladri, dopo aver concluso il colpo, si fanno una pantagruelica mangiata di dolci.
Considerare, però, questo film solo come una farsa, come una semplice parodia è riduttivo visto che la pellicola ha una propria consistenza cinematografica, come affermato dal regista Carlo Lizzani, imponendosi come un’assoluta novità nel panorama cinematografico italiano, un ponte sospeso fra il comico e il drammatico.
L’originaria idea de I Soliti Ignoti non riscosse, però, alcun consenso fra i produttori, convinti si trattasse di un ibrido che, come tale, avrebbe solo confuso i possibili spettatori, con la conseguenza di tenerli a debita distanza dalle sale cinematografiche. “Passavo da un produttore all’altro”, racconta il regista in un’intervista rilasciata dopo l’uscita del film, “e io stesso non capivo come potessero rifiutarmi il soggetto. Da qualche anno a questa parte ero forse uno dei registi a cui era dato di fare tutto: i produttori mi accoglievano calorosamente, mi proponevano di girare per conto loro tanti altri film, ma I soliti ignoti non volevano farmelo fare. È merito del buon naso e del coraggio di Franco Cristaldi, se un bel giorno Age, Scarpelli ed io, con il successivo contributo di Suso Cecchi D’Amico, abbiamo potuto metterci al lavoro per buttar giù la sceneggiatura definitiva”. Ma il coraggio di Cristaldi non fu assoluto. Quando Monicelli parlò al produttore del futuro cast, notò il suo sconcerto al nome di Gassman che, nelle intenzioni del regista avrebbe dovuto interpretare la parte di Peppe er Pantera. Le perplessità di Cristaldi erano molte.
GASSMANN, TOTÒ, MASTROIANNI E GLI ALTRI
Gassman era un attore drammatico, inadatto per voce, impostazione e anche fisico a recitare la parte in un film comico. Il nome di Gassman per il produttore torinese avrebbe potuto incidere e non poco sul successo della pellicola, ma Monicelli non la pensava così. Per questo propose due sostanziali soluzioni per attenuare, se non del tutto annullare, il possibile effetto negativo derivato dalla presenza dell’attore nativo di Struppa. Innanzitutto inserire nel cast un grande comico, in modo che il pubblico sarebbe stato rassicurato sulla finalità della pellicola. Poi sottoporre Gassman a una vera e propria operazione di “sdrammatizzazione”, trasformando quella faccia da attore serio in una da commedia.
Una scena del film
Con queste due soluzioni, ad avviso di Monicelli, il successo della pellicola sarebbe stato assicurato. Nel cast fu inserito il grande Totò, il cui nome fu opportunamente evidenziato nella locandina ufficiale del film, nonostante, oggettivamente, la sua interpretazione fosse brevissima anche se indimenticabile, un cameo, quello della mitica lezione sulle tecniche per scassinare una cassaforte, davvero irripetibile.
Quanto alla “demolizione” di Gassman, l’impresa riuscì attraverso un attento lavoro che non fu soltanto legato al trucco. In questa operazione fu cooptato un professionista assoluto: lo scenografo e costumista Pietro Gherardi. La voce profonda di Gassman divenne tartagliante; la fronte spaziosa fu notevolmente ridotta, secondo dettami che avrebbero reso felice Cesare Lombroso, con l’utilizzo di una acconciatura; il naso aquilino fu modificato con l’inserimento nelle narici di cotone, insomma alla fine del vecchio Gassman non rimaneva più nulla, ora era solo e soltanto il balbuziente e poco sveglio Peppe er Pantera. Questa trasformazione fu salutata dal critico cinematografico Ugo Casiraghi sulle colonne dell’Unità positivamente, sottolineando come fosse stato regalato al pubblico “un Gassman attraente, cordiale, buon compagnone e, naturalmente, padronissimo della propria voce“.
Nei I Soliti Ignoti tutto è assolutamente perfetto a partire dal cast. Non solo i già menzionati Gassman e Totò ma anche Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Carlo Pisacane, il mitico Capannelle, l’avvenente e giovanissima Claudia Cardinale, e, ovviamente, Tiberio Murgia, che Monicelli scritturò dopo averlo visto lavare i piatti in una pizzeria romana e al quale affidò la parte del gelosissimo siciliano Ferribotte, uno dei personaggi più riusciti di tutto il film.
Dalla sceneggiatura alle musiche di Pietro Umiliani, che ricorse anche al jazz, genere ancora poco conosciuto in Italia, per accompagnare le scene del film, fino agli esilaranti dialoghi, con battute rimaste eterne, fatte in dialetti di tutta Italia, dal romano al milanese, passando per il siciliano e il bolognese di Capannelle (doppiato da Nico Pepesu, geniale intuizione di Monicelli), tutto ne I Soliti ignoti è perfetto. Per questo si può definire la pellicola, senza tema di smentita, un capolavoro, non a caso vinse due Nastri d’Argento e ottenne una prestigiosa candidatura agli Oscar come miglior film straniero.
I SOLITI IGNOTI, LA TRAMA DEL FILM
La trama della pellicola prodotta da Franco Cristaldi, che originariamente avrebbe dovuto intitolarsi Le Madame ma l’idea fu bocciata dall’occhiuta censura dell’epoca, è arcinota. Giuseppe Baiocchi, detto “Peppe er Pantera” viene a sapere, durante un “soggiorno” a Regina Coeli, da un ladruncolo da strapazzo, Cosimo Proietti, interpretato da un esilarante Memmo Carotenuto, della possibilità di “svuotare” facilmente la cassaforte del Monte di Pietà. E da qui ha inizio l’avventura di un gruppo di ladruncoli allo sbaraglio, certi di compiere il colpo della vita. Ma l’aspetto fondamentale di tutto il film, che rappresenta la cifra stessa della pellicola, è la splendida prova corale di tutti gli attori.
Un’altra sequenza del film di Monicelli
“I Soliti Ignoti”, come ha più volte sottolineato il critico cinematografico Maurizio Porro, “è uno di quei titoli che ormai la gente conosce a memoria, che è entrato nel cuore degli italiani, nello stesso nostro slang, al pari di altri film italiani fra gli anni ’50 e ’60 come La Dolce Vita, Divorzio all’italiana o Amarcord. Dire I Soliti Ignoti equivale a dire quello che il film voleva significare, cioè un gruppo di balordi poco idonei, poco preparati a quello che avrebbero dovuto fare, esattamente il contrario del prototipo cinematografico degli eroi, delle celebri “sporche dozzine”.
I Soliti Ignoti fu lanciato in un anno molto importante per il cinema italiano, il 1958. Annata che aveva visto il debutto di Francesco Rosi con La Sfida, ma anche La Tempesta di Alberto Lattuada, con nel cast Gassman, in un ruolo ovviamente drammatico e anche diversi film di Totò, fra cui La Legge è legge.
I Soliti Ignoti è un film unico con scene che rappresentano la storia del nostro cinema, come quella in cui Mastroianni e Gassman riescono finalmente a far venire giù la parete che li divide dal “tesoro” e scoprono, invece, per un fatale errore, il mitico Capannelle che si trova in cucina, alla ricerca di cibo per placare la sua atavica, irrefrenabile fame. Il modo migliore per celebrare l’anniversario di un film stupendo è di rivederlo, magari in compagnia, tornando a ridere per battute divenute epiche come quella pronunciata dal fotografo Tiberio, interpretato da Marcello Mastroianni: “Rubare è roba per gente seria, mica per gente come voi! Voi, al massimo potete andare a lavorare“.
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