La nomina a vescovo del prelato Cristoforo Giarda causò la distruzione di Castro. Ecco come una designazione pontificia cambiò la storia della città che si ergeva nella Valle dell’Olpeta.

PERCHÉ FU DISTRUTTA CASTRO?

La distruzione di Castro rappresentò l’epilogo di uno scontro tra  il potere locale ed il potere papale. La storia di una designazione pontificia si trasformò in una terribile agonia per la città dell’alto Lazio.

Il 18 maggio 1648, ad un mese dalla sua nomina, nella chiesa romana di San Carlo ai Catinari, venne consacrato vescovo di Castro il padre barnabita Cristoforo Giarda. Papa Innocenzo X Pamphilj aveva scelto il presule senza ascoltare le richieste del duca della città laziale. Ranuccio II Farnese, settimo e ultimo duca di Castro, aveva difatti cercato di interferire con tale nomina, segnalando al papa due sudditi a lui favorevoli.

Ma Innocenzo X aveva fatto orecchie da mercante, non dando seguito a quella pretesa e designando così il suo favorito. La storia sembrava finita lì ma quello fu solo l’inizio della catastrofe che poi si sarebbe verificata.

La controffensiva non si fece attendere. Ranuccio diede subito ordine all’uditore Francesco Pavoni di impedire l’ingresso in città del nuovo vescovo. Così facendo, il duca si mise in posizione di aperta sfida nei confronti del potere papalino.

Il Giarda aveva cercato una intermediazione, recandosi personalmente alla corte di Parma, dove Ranuccio dimorava, per indurlo al ragionamento. Non c’era stato verso, la contesa tra i due centri di potere era oramai aperta. Il Giarda era stato allontanato senza troppi riguardi.

La vicenda si trascinò per quasi un anno senza che si trovasse una soluzione. La sede episcopale era ancora materialmente vuota.

 

L’ASSASSINIO DI GIARDA

Papa Innocenzo X pose fine alla querelle imponendo la sua autorità. Non poteva di certo tollerare un affronto di tale consistenza da parte di un nobile. In più, la famiglia Farnese aveva nel tempo contratto un debito notevole nei confronti della Camera Apostolica, organo che si occupava delle finanze pontificie.

Ci si avviava a grandi passi verso la resa dei conti finale. Papa Innocenzo X diede ordine al vescovo Giarda di insediarsi immediatamente nella sua diocesi.

La mattina del 18 marzo 1649 il vicario partì da Roma accompagnato dall’abate di Besançon, dal suo segretario, da un sacerdote e da un domestico. Verso le ventidue la compagnia a cavallo arrivò nei pressi di Monterosi. Ad attenderla trovarono i due sicari, al soldo del duca Farnese: Domenico Cocchi di Valentano e Ranuccio Zambini di Gradoli. I malviventi, reclutati nel carcere territoriale e scelti da un prete, don Leonoro Lambertini di Latera, spararono cinque colpi di archibugio all’indirizzo del vescovo che spirò la mattina successiva.

Secondo il racconto dello stesso abate di Besançon, sul luogo del delitto gli assassini lasciarono un biglietto che di fatto chiariva, se mai ce ne fosse stato bisogno, il motivo di quell’omicidio: imparerà Mons. Giarda frate indiscreto à mal scrivere e mal parlare.

LA PUNIZIONE: LA DISTRUZIONE DI CASTRO

Un mese dopo l’assassinio del vescovo, accertate le responsabilità di Ranuccio II in qualità di mandante, l’esercito pontificio partì alla volta del Ducato. L’assedio della città di Castro iniziò a giugno del 1649 ma per un mese si assistette ad una situazione di stallo. Tanto che da Roma il papa premeva perché si prendesse la città. Ad inizio luglio, su interessamento diretto di Innocenzo X, arrivarono all’esercito assediante pezzi di artiglieria, micce e munizioni, nonché una piantina dettagliata della città in cui erano indicati i punti di accesso all’abitato. A metà agosto le truppe pontificie lanciarono un durissimo attacco ed il 31 dello stesso mese la città capitolò, arrendendosi definitivamente dopo un assedio estenuante.

E qui avvenne qualcosa che fece concludere nella più cupa ferocia questa breve guerra locale che condusse alla distruzione di Castro. I patti di capitolazione firmati dalle parti il 2 settembre assicuravano che i cittadini di Castro non sarebbero stati spogliati delle loro proprietà e che avrebbero avuto diritto ad un trattamento umano.

Ritratto di Olimpia Maidalchini, detta la Pimpaccia

Ritratto di Olimpia Maidalchini, detta la Pimpaccia

Probabilmente su istigazione dei parenti più prossimi e soprattutto di Olimpia Maidalchini, cognata del pontefice, Innocenzo X decretò la morte della città. Era il 20 settembre 1649. A colpi di piccone l’abitato fu letteralmente raso al suolo. Secondo la volontà pontificia, non avrebbe più dovuta essere posta una sola pietra per riedificarla. Furono smantellate le case, bruciate le parti in legno, demoliti tutti gli edifici pubblici e privati. Anche le strade furono distrutte per evitare l’accesso alla città che aveva osato sfidare il potere di Roma.

Le chiese furono sconsacrate ed i paramenti sacri condotti nella cattedrale di Acquapendente. Le campane del duomo di San Savino, per volere di Olimpia Maidalchini, furono trasportate a Roma per essere collocate nella chiesa che sarebbe nata di lì a breve: Santa Agnese in Agone,  a Piazza Navona. Il 3 dicembre la distruzione di Castro era stata completata.

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