È uno dei dipinti più noti al mondo, un’opera difficilmente paragonabile, un immenso affresco (770 x 500 cm) che ha eternato il genio assoluto di Raffaello Sanzio. Stiamo parlando della Scuola di Atene, uno dei capolavori del pittore urbinate.

RAFFAELLO A ROMA: LA CONSACRAZIONE DI UN GENIO

Raffaello arriva a Roma nel dicembre del 1508. È giovane ma è già un artista affermato e conteso. Per lui parlano le opere realizzate in Umbria prima (a Città di Castello e a Perugia) e a Firenze poi. Capolavori quali Lo sposalizio della Vergine, L’incoronazione della Vergine, nota anche come la Pala Oddi, La Madonna dei Garofani e soprattutto La Deposizione Baglioni lo hanno reso famoso.

Quando arriva la chiamata da Roma Raffaello si trova a Firenze, sta portando a termine, per la famiglia Dei, La Madonna del Baldacchino (nota anche come Sacra conversazione), un dipinto molto impegnativo, non solo per l’autorevole committenza, i Dei sono ricchi e potenti, ma anche per la destinazione finale della pala, la chiesa di Santo Spirito, dopo il duomo, uno degli edifici religiosi più importanti di tutta Firenze.

Nonostante ciò Raffaello non ci pensa due volte. L’attende la fama e soprattutto Roma, la città in cui ogni artista, ne sa qualcosa Michelangelo, vorrebbe vivere e soprattutto lavorare.

A chiamare il pittore non è un ricco banchiere, un potente cardinale o un noto aristocratico, ma il papa in persona. Dire di no a un pontefice è oggettivamente difficile; se poi questi risponde al nome di Giulio II, è praticamente impossibile.

Raffaello sul finire del 1508 saluta Firenze, abbandona la pala a cui sta lavorando, lasciandola incompiuta e prende la strada per Roma. Ha venticinque anni e fino a quel momento ha vissuto fra Urbino, la città natale, i dolci profili dell’Umbria e Firenze.

Roma è la sede del papa, la città eterna, dove storia e tradizione si incontrano, l’occasione irrinunciabile per quel giovane bello, talentuoso e molto ambizioso.

Arriva come migliaia di comuni pellegrini percorrendo la Via Francigena e quando passa Porta del Popolo rimane colpito dall’immagine della città. Roma, in quel lembo di inizio Cinquecento, è un cantiere aperto, tutto sta cambiando per volontà del nuovo pontefice, quel Giulio II che vuole lasciare il segno nella storia attraverso la guerra ma soprattutto la bellezza.

LA COMMITTENZA DI GIULIO II

La committenza che Raffaello riceve è da far tremare i polsi. Deve decorare, insieme ad altri artisti, i nuovi appartamenti papali. Giulio II, infatti, non ha nessuna voglia di vivere nelle stanze di Alessandro VI, sebbene affrescate dal Pinturicchio. Con papa Borgia, che odia con tutto sé stesso, papa Giulio non vuole avere nulla a che a fare. Per questo decide di trasferirsi in un nuovo appartamento, nei piani superiori del Palazzo Vaticano, a due passi da quella Cappella Sistina, a suo tempo fatta costruire dallo zio Sisto IV, dove Michelangelo ha iniziato a decorare la volta.

Per le nuove Stanze Vaticane il pontefice, sapientemente istruito da Donato Bramante, ha chiamato a Roma pittori del calibro di Giovanni Antonio Bazzi, più noto come il Sodoma, Bramantino, Lorenzo Lotto, Baldassarre Peruzzi, Luca Signorelli, Jacopo Ripanda, Perugino e chiaramente Raffaello. Del nutrito gruppo il pittore urbinate è il più giovane ma per lui garantisce il corregionale Bramante e del cui giudizio il pontefice si fida ciecamente.

Così lo storico dell’arte Antonio Forcellino sulla scelta di Raffaello:

«Giulio II capì di aver bisogno di un uomo nuovo, un uomo che sapesse cogliere il legame sottile e vitale tra la politica e le immagini e fosse capace di creare convinzione e persuasione intorno al principe. Non potevano più bastare i devoti pittori sacri del Quattrocento o i decorativi affabulatori borghesi che avevano fatto brillare Firenze negli anni precedenti. Serviva un artista nuovo, aggiornato, pieno di talento, ma anche integrabile nel complesso mondo della corte».

Quell’uomo nuovo aveva un nome: Raffaello Sanzio.

LE STANZE VATICANE, L’APOTEOSI RAFFAELLESCA

Il progetto che il papa gli affida è decisamente improbo. Non si tratta solamente di affrescare 4 Stanze Vaticane, di per sé già un’impresa ardua, ma di decorarle con contenuti scelti direttamente dal papa, ad praescriptum Julii Pontificis, come scrive il biografo pontificio Paolo Giovio.

Si tratta, nello specifico, di temi dal profondo valore teologico e filosofico che Raffaello dovrà sviluppare attraverso il suo linguaggio, quello pittorico. Ma il risultato, e non solo dal punto di vista realizzativo, sarà impareggiabile. Così Vasari: «fu [Raffaello] alla composizione delle storie così facile e pronto che gareggiava con l’efficacia della parola scritta».

Raffaello Sanzio, "La disputa del Sacramento" (1509), Musei Vaticani

Raffaello Sanzio, “La disputa del Sacramento” (1509), Musei Vaticani

Il primo lavoro, che Raffaello porta a termine nella Stanza della Segnatura (così chiamata perché in origine ospitava il tribunale ecclesiastico, la Signatura gratiae, e che nelle intenzioni del papa avrebbe dovuto diventare la sede della sua biblioteca), è La Disputa del Sacramento. Si tratta di un affresco non solo tecnicamente ma anche teologicamente complesso. Lo scopo finale sarà quello di esaltare, attraverso la forza espressiva della pittura, il trionfo della chiesa, “la rivelazione del Vero supremo” come scriverà Piero Adorno, l’affermazione di quel Dio che, incarnatosi nel Figlio, riscatterà l’uomo, afflitto dal peccato originale.

Quando il pontefice lo vede ne rimane a tal punto desiato da decidere che tutti i suoi appartamenti saranno affrescati solo da Raffaello.

Non importa se altri artisti abbiano già iniziato o, addirittura, portato a termine dei lavori. Lor signori devono lasciare e anche in fretta, il Vaticano. Saranno pagati per quanto fatto ma Giulio II nelle sue stanze vuole solo e soltanto la firma di Raffaello.

Se il primo affresco ha deliziato il papa, il secondo lo manda letteralmente in estasi.

LA SCUOLA DI ATENE: IL CAPOLAVORO DI RAFFAELLO

Sulla parete opposta a quella della Disputa del Sacramento (un omaggio anche alla memoria dell’illustre zio Sisto IV) Raffaello realizza il suo capolavoro: La Scuola di Atene. La scena si inserisce all’interno di una ricca architettura immaginaria, probabilmente ispirata al progetto bramantesco per la nuova chiesa di San Pietro, che nelle intenzioni di Giulio II dovrà sostituire la vecchia basilica costantiniana.

L’edificio immaginato da Raffaello è decisamente solenne, con evidenti richiami all’architettura classica, un luogo ideale per accogliere le fondamenta del pensiero filosofico antico, l’assemblea dei filosofi dei savi, quel tempio del sapere già descritto dall’umanista Marsilio Ficino.

Sotto il grande arco, preceduto dalle statue di Apollo a sinistra e di Minerva a destra, ecco troneggiare al centro della scena, Platone e Aristotele, dietro i quali si staglia un cielo sereno e una sequenza di archi aperti in alto, decorati da lacunari che ricordano quelli della volta del Pantheon.

Pur non isolati, i personaggi famosi dipinti da Raffaello sono tantissimi, Aristotele e Platone emergono, tuttavia, con forza e autorevolezza, quasi sublimandosi rispetto alla folla di altri illustri pensatori.

La Scuola di Atene

La Scuola di Atene, particolari

I PERSONAGGI DELL’AFFRESCO

Abbigliati all’antica (Aristotele veste un mantello celeste, mentre Platone uno rosato), i due filosofi sono facilmente riconoscibili da dei segni distintivi legati al loro sapere. Platone, ritratto con una lunga e candida barba, regge in mano la sua celebre opera, il Timeo e rivolge il dito indice al cielo, chiaro riferimento al fine ultimo del suo pensiero filosofico. Aristotele, invece, anche lui ritratto con in mano una sua opera, L’Etica, rivolge la mano verso terra, a quel mondo dell’esperienza, un gesto che simboleggia l’assoluto dominio della realtà.

A sottolineare la centralità dei due grandi filosofi, i padri del pensiero umano, Raffaello pone in modo geniale il punto di fuga proprio fra i due, catturando così, “sapientemente”, lo sguardo dello spettatore.

Attorno a Platone e Aristotele ecco dipanarsi una lunga, straordinaria teoria di filosofi.

Tra questi Socrate, il cui viso è chiaramente ispirato alla statuaria classica, ripreso mentre discute animatamente con i suoi discepoli o Eraclito, suggestivamente dipinto da Raffaello isolato da tutti, appoggiato su un masso, mentre quasi annoiato scrive su un foglio.

Come per i volti di Platone e Euclide, ai quali Raffaello attribuisce le fattezze di Leonardo e di Bramante (quest’ultimo ritratto chino a tracciare col compasso una figura geometrica su di una tavoletta), anche per Eraclito (assente nel cartone preparatorio) il pittore urbinate prende in prestito il profilo di un grande artista. Sceglie, e non a caso, quello di Michelangelo, un genio unico ma, come Eraclito nel contesto filosofico, il più isolato fra tutti gli artisti del Rinascimento.

C’è un volto, fra tutti quelli presenti nel grande affresco, che da sempre desta molta curiosità, l’unico, insieme a quello di Raffaello, (raffigurato all’estrema destra, accanto al Sodoma) che guarda direttamente l’osservatore.

Quei tratti decisamente efebici nel corso dei secoli hanno dato vita a diverse e talvolta fantasiose ipotesi sulla reale identità di quel bellissimo volto. Si è supposto fosse Francesco Maria della Rovere o, addirittura, Ipazia, la filosofa e matematica uccisa nel 415 d.C., da un gruppo di facinorosi cristiani che non sopportava le idee della donna, un’ipotesi, tuttavia, del tutto destituita di fondamento.

Forse l’ipotesi migliore, però, è stata formulata dallo storico dell’arte Konrad Oberhuber. Per il professore austriaco «quella figura, che ci fissa con occhi strani e ci si libra dinanzi quasi irreale», altro non è che «l’espressione viva di quell’ideale del bello e del Buono, e perciò stesso del Vero, nucleo centrale delle correnti filosofiche».

La Scuola di Atene è un’opera, dunque, dall’alto valore concettuale che impegnò oltre modo Raffaello. Il pittore si spese per realizzarla come mai fatto in precedenza, potendo anche contare su importanti collaboratori, su quella bottega che ben presto, assoluta novità per il Rinascimento, diventerà una vera e propria scuola.

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IL CARTONE PREPARATORIO

Per comprendere, tuttavia, un simile, inarrivabile capolavoro, è opportuno partire dal cartone preparatorio della Scuola di Atene, dal disegno, insomma, che per Vasari era il padre delle tre «arti nostre, architettura, scultura e pittura».

Il cartone preparatorio della Scuola di Atene di Raffaello

Il cartone preparatorio della Scuola di Atene di Raffaello

Come ricorda ancora Antonio Forcellino, «la perfezione e la complessità del cartone preparatorio della Scuola di Atene, oggi conservato alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, raccontano da sole quale grado di controllo Raffaello riuscisse a esercitare sui suoi collaboratori attraverso il disegno, quello strumento che da sempre era stato alla base del suo lavoro».

Gli affreschi della Stanza della Segnatura, al netto dell’indiscutibile bellezza e complessità, segnano in modo evidente un nuovo indirizzo artistico, il passaggio dalla pittura borghese del Quattrocento, prevalentemente prodotta a Firenze, alla pittura ideale, che contraddistinguerà buona parte del Rinascimento e che vedrà nella città di Roma il centro propulsore, il luogo che irradierà in tutta Italia questo nuovo, straordinario percorso.

LA SCUOLA DI ATENE E PAPA FRANCESCO

A proposito della Scuola di Atene e sull’alto valore concettuale dell’opera, base culturale della nostra Europa, così papa Francesco si espresse qualche tempo fa in occasione di un discorso al Parlamento europeo di Strasburgo:

«Mi pare un’immagine che ben descrive l’Europa e la sua storia, fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l’apertura al trascendente, a Dio, che ha sempre contraddistinto l’uomo europeo, e la terra rappresenta la capacità pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi».

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