Prosegue il nostro viaggio sui diritti delle donne. Nel corso degli anni Sessanta e Settanta le lotte femministe si fanno portavoce in Italia di nuove istanze e di rinnovati modelli culturali.
Se nei decenni precedenti le battaglie erano state condotte per garantire l’accesso delle donne nella sfera pubblica e per ottenere l’uguaglianza con gli uomini, ora si orientano verso un riconoscimento della donna nella sfera privata.
LOTTE FEMMINISTE: GLI ANNI ’60-’70
La riflessione nelle lotte femministe si sposta sui concetti di famiglia, maternità e sessualità, nella convinzione che i principi su cui si fondano debbano essere allontanati dal senso del dovere e della sottomissione alla cultura patriarcale. La costituzione di una famiglia e la maternità diventano una scelta e non una imposizione. Lo stesso vale per la sessualità che comincia ad andare di pari passo con la libertà di disporre del proprio corpo, senza che ad essa venga legata una componente moralistica.
Carla Lonzi
Della grande umiliazione che il mondo patriarcale ci ha imposto noi consideriamo responsabili i sistematici del pensiero: essi hanno mantenuto il principio della donna come essere aggiuntivo per la riproduzione della umanità, legame con la divinità o soglia del mondo animale; sfera privata e pietas. Hanno giustificato nella metafisica ciò che era ingiusto e atroce nella vita della donna. [Lonzi-Accardi-Banotti, Manifesto di Rivolta Femminile, Roma, 1970]
LOTTE FEMMINISTE: IL DIVORZIO
Così il dibattito si sposta dalle piazze all’interno delle istituzioni e nel 1970 viene introdotto, nell’ordinamento italiano, l’istituto del divorzio. La legge provoca una profonda frattura nella società italiana tanto che la viva ed accesa discussione porterà verso il referendum, ottenuto dopo la raccolta di un milione e trecentomila firme. Il 12 e 13 maggio 1974 si va alle urne dopo una campagna referendaria condotta a colpi di comizi e manifesti infuocati. L’argomento divorzio è molto sentito se 33 milioni di italiani, l’87% degli aventi diritto, si recano ai seggi. Il 60% dei votanti confermerà la legge Fortuna-Baslini.
LA RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA
Appena un anno dopo il Parlamento riforma il diritto di famiglia, votando la legge 151, che equipara la figura della donna a quella dell’uomo sia su un piano morale che giuridico. La nuova normativa istituisce la parità di diritti, le tutele per i figli naturali a cui vengono estese le stesse garanzie dei figli legittimi, la possibilità di richiedere la comunione dei beni, il concetto di potestà genitoriale condivisa anziché quella patriarcale legata alla figura del pater familias e segna la scomparsa dell’istituto della dote.
Nilde Iotti
Nel passato la famiglia ha costituito essenzialmente un momento di aggregazione della società umana basato su motivi molto diversi: l’accasamento per le donne, la procreazione dei figli, la trasmissione del matrimonio. […] A noi pare che ciò che nel mondo moderno spinge le persone al matrimonio […] sia in primo luogo l’esistenza dei sentimenti. Noi sosteniamo il divorzio perché riteniamo che questo istituto trovi rispondenza nella mutata coscienza morale dei cittadini italiani[…] Per quanto siano forti i sentimenti che uniscono un uomo e una donna essi possono anche mutare; e quando non esistono più i sentimenti, non esiste più il fondamento morale su cui si basa la vita familiare. […]Noi chiediamo una legislazione di diritto familiare che veda, in ogni caso, la prevalenza dell’interesse dei figli[…]. Chiediamo, onorevoli colleghi, il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio[…]perché costoro sono come tagliati fuori da ogni diritto. [Nilde Iotti, Sul divorzio, Discorsi parlamentari, 25 novembre 1969]
L’ABORTO
All’inizio degli anni Settanta inizia anche il dibattito sull’aborto, pratica che, al di là del divieto imposto dalla legge, viene eseguita da numerose donne che decidono di interrompere volontariamente la gravidanza. Il CISA, Centro di Informazione sulla Sterilizzazione e sull’Aborto, fondato nel 1973 a Milano, aiuta le donne ad abortire clandestinamente. Emma Bonino, fondatrice e presidente dell’associazione, accusata di procurato aborto aggravato, finirà per questo motivo in carcere per una settimana. Sarà lei stessa a consegnarsi alle autorità dopo essere ritornata nel paese natale per esprimere il suo diritto di voto durante le elezioni amministrative. Dopo anni di lotte, discussioni e mobilitazioni il Parlamento italiano nel 1978 vota la legge 194. Alla nuova normativa toccherà la stessa sorte della legge sul divorzio. Soggetta anch’essa a quesito referendario, verrà confermata dagli elettori tramite la consultazione che si terrà tre anni dopo, nel 1981.
Signor Presidente, la informo che esiste contro di me un mandato di cattura. La prego di consegnarmi ai carabinieri [Dichiarazione di Emma Bonino, 1975]
LA VIOLENZA SULLE DONNE
Negli ultimi anni di lotte femministe sono state approvate leggi che favoriscono le pari opportunità, tutelano maggiormente le madri lavoratrici e combattono la violenza di genere. Ma, al di là delle norme, l’Italia rimane indietro rispetto al resto degli altri paesi europei per quanto riguarda il gap di genere.
L’accesso alle cariche politiche e alle posizioni lavorative maggiormente retribuite sono ancora difficili da ottenere. A questo va aggiunto che non si è ancora modificata una certa cultura sessista fondata sulla concezione di superiorità e sopraffazione maschile, alimentata da un linguaggio spesso sprezzante ed aggressivo.
Gli stereotipi di genere, la violenza sulle donne e una forma denigratoria e svilente del corpo femminile segnano i nuovi passi da affrontare nella società attuale. La strada per i diritti delle donne non può dirsi ancora conclusa.
Essere identificati come vittime è una condizione che dovrebbe essere transitoria per chiunque, legata a precise circostanze. Non si è vittime per il solo fatto di esistere come femmine invece che come maschi, ma lo si è sempre di qualcosa o di qualcuno. Il tentativo di trasformare le persone in vittime permanenti a prescindere dalle circostanze costringe la vittima al ruolo di vittimizzata, che è un’altra forma di violenza, più sottile e pervasiva, perché impone una condizione di passività che preclude la facoltà di riscattarsi. Il soggetto non può tentare di uscire dalla condizione di vittima, perché intorno ha un intero sistema che gli impedisce di essere qualcosa di diverso. [Michela Murgia, Ave Mary, 2011]
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