Il medico che scelse di morire, edito da Paesi Edizioni, è un romanzo o meglio un legal thriller. Un’opera di fantasia, certo, ma dove molto potrebbe essere drammaticamente vero. Una storia fatta di sordidi intrighi, di fitti misteri annidati nell’industria farmaceutica e in quella dolciaria. A scriverlo è Luca Speciani, alimentarista e medico chirurgo, che quegli ambienti li conosce bene. Dopo averlo recensito, abbiamo incontrato l’autore per una chiacchierata a 360° sul libro ma soprattutto sulla medicina e non solo.

Dottor Speciani, quando ha pensato di scrivere Il medico che scelse di morire?

Dopo avere scritto più di 25 saggi di alimentazione, medicina, sport, ho pensato che alcune cose potevano essere dette fino in fondo solo con la libertà narrativa consentita da un romanzo. L’idea è nata un paio d’anni fa. Poi scrivi, riscrivi, correggi e magicamente…

Il suo è un romanzo ma con molte verità. Se dovesse indicarne alcune quali sarebbero?

Sicuramente lo strapotere mediatico dell’industria dolciaria e farmaceutica e le gravi collusioni tra queste, i medici, i giornalisti e il potere politico. La crisi della medicina moderna, tra linee guida ispirate da gravi conflitti d’interessi e medicina difensiva, è sotto gli occhi di tutti. Come diceva Aldous Huxley siamo diventati medici così bravi che adesso non c’è più nessuno sano!

Il medico che scelse di morire, di Luca Speciani

“Il medico che scelse di morire”, di Luca Speciani

Quanto è autobiografico il suo romanzo?

Molte delle esperienze riportate a livello medico e ospedaliero, le ho vissute durante il periodo degli internati o durante la mia libera professione. Qua e là naturalmente, ho arricchito, colorato, romanzato. Un romanzo che non scorre, che non tiene un po’ avvinto il lettore, non è più un romanzo.

Nel libro viene spesso sottolineato l’uso eccessivo dello zucchero. Da medico e da nutrizionista quanto è grande questo rischio?

Lo zucchero è una droga legale ma non per questo meno pericolosa delle altre. Induce consumi compulsivi e rende bambini e adulti dipendenti. Ma è anche generatore di diabete, cancro, ipertensione, depressione, patologie allergiche e autoimmuni. Nessuno però può dirlo a livello mediatico a causa del ricatto pubblicitario della lobby dolciaria. I dati scientifici che lo documentano sono ormai migliaia.

Un altro tema ampiamente presente nel suo romanzo è l’abuso di farmaci. A suo avviso esiste oggi la consapevolezza di questa problematica a livello medico e dei media?

Noi medici vediamo in prima linea quanto sia diffuso il problema. Il sistema sanitario nazionale sembra strutturato apposta per rendere i medici pusher di farmaci. E ogni giorno vediamo pazienti che assumono 10-12 anche 20 farmaci diversi. Abbiamo superato ogni limite. Appena si incomincia a lavorare in ottica di segnale ecco che le prescrizioni cadono del 30-50%. Sarà per questo che la lobby dei farmaci non ci ama?

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Nel romanzo le industrie farmaceutiche e quelle dolciarie non ne escono proprio bene. Ha avuto qualche grattacapo dopo la pubblicazione del libro?

Per ora no, ma essendo un testo di fantasia dubito che ne avrò. Se di “grattacapo” si può parlare, posso essere certo che non sarò invitato ai congressi “delle pentole” a Ischia o alle Maldive. Ma visto che non ci andavo neanche prima, non mi perdo niente e mantengo la mia indipendenza di giudizio. Stiano in guardia gli altri, piuttosto. Seguire linee guida falsate da influenze commerciali, senza aver presente i più recenti lavori scientifici sull’argomento è già presunzione di colpa.

Da medico quanto ritiene sia cambiato nel corso degli anni il rapporto fra i camici bianchi e i pazienti?

Tantissimo. Mio padre (mancato negli anni ‘80) era un medico amato e rispettato dai suoi pazienti. Lui avrebbe dato la sua vita per loro (e in effetti l’ha data) e loro avrebbero fatto altrettanto. La fiducia era completa e senza riserve. Oggi il medico è schiacciato tra linee guida e medicina difensiva, e spesso è “di passaggio” (turni, medicina di gruppo). Manca il tempo per costruire rapporti umani. Manca il tempo per essere medici. Noi cercheremo di recuperarlo.

Esiste la speranza che in un prossimo futuro, come auspicato dai protagonisti del romanzo, si possa davvero curare il malato e non come troppo spesso accade la malattia?

È una delle tante speranze riposte tra le pagine del libro. Senza empatia, senza voglia di guarire (e di essere guariti) è difficile parlare di vera medicina. Per toglierci di dosso, però, il fardello con cui ci hanno caricati, servirà l’impegno di tutti. Speriamo che questo libro, duro e diretto, riesca a smuovere qualche coscienza.

Grazie dottore nella speranza che un domani, più prossimo possibile, la trama del suo romanzo possa essere ricordata come solo frutto di una fervida fantasia.

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