Il Ludus Magnus era nell’antica Roma la palestra dei gladiatori, un luogo segnato da forza e sudore, da adrenalina e coraggio, dove ci si allenava, soprattutto, per non morire.
Scopriamo uno dei luoghi della Città eterna, oggi un’area archeologica di primaria importanza, ieri un posto che trasudava, nonostante tutto, umanità.
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LA COSTRUZIONE DEL LUDUS MAGNUS SOTTO DOMIZIANO
Nella piana compresa fra i colli Celio ed Esquilino, fra via Labicana e via di San Giovanni in Laterano, sorge un complesso archeologico che sulle prime può apparire del tutto anonimo, compresso, com’è, fra gli alti palazzi circostanti e dominato dalla maestosità del Colosseo.
Eppure questi resti, muti testimoni di un passato splendore, sono l’eredità in pietra di un luogo che all’epoca della Roma imperiale era uno dei più amati dal popolo. Stiamo parlando del Ludus Magnus, la più antica palestra dei gladiatori nella città dei Cesari.
A voler la realizzazione di questo luogo, di cui oggi purtroppo è difficile immaginare l’originaria magnificenza, fu l’imperatore Domiziano, l’ultimo rampollo della dinastia dei Flavi.
Il figlio del grande Vespasiano, sotto il quale era iniziata la costruzione del più grande anfiteatro della storia, dispose la costruzione di una grande palestra dove i gladiatori si sarebbero potuti allenare, a due passi dall’arena del Colosseo.
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I resti del Ludus Magnus
Il successo dell’Anfiteatro Flavio, dove i romani accorrevano in massa per assistere ai giochi e alle adrenaliniche esibizioni dei gladiatori, convinse Domiziano a far realizzare altre palestre oltre al Ludus Magnus.
Durante il suo regno Domiziano, assassinato con sette pugnalate il 18 settembre del 96 d.C. a seguito di una congiura senatoriale, fece costruire altre tre palestre gladiatorie.
Il Ludus Dacicus, dal nome del luogo di origine dei gladiatori, la Dacia; il Ludus Matutinus, dove si allenavano i gladiatori destinati alle venationes, le grandi cacce che si svolgevano al mattino e, infine, il Ludus Gallicus, la palestra che ospitava i gladiatori provenienti dalla Gallia, la regione che decenni prima era stata piegata da Giulio Cesare.
Oltre a queste altre palestre, sempre nell’area compresa fra il Celio e l’Esquilino, vennero realizzati anche un sanarium e uno spoliarium, ovvero l’ospedale e l’obitorio dei gladiatori, strutture che completarono quello che a tutti gli effetti poteva essere considerato come il “quartiere dei gladiatori”.
LUDUS MAGNUS, LA PALESTRA DEI GLADIATORI ALL’OMBRA DEL COLOSSEO
Tuttavia, delle quattro palestre gladiatorie fatte erigere da Domiziano, il Ludus Magnus, come il nome stesso facilmente tradisce, era senza dubbio non solo la più grande ma anche la struttura più rinomata, tanto che vi si esibì, stando almeno alle fonti, persino l’eccentrico imperatore Commodo, notoriamente grande appassionato di giochi gladiatori.
A dircelo è la Forma Urbis, la pianta marmorea di Roma risalente all’età severiana che, pur giunta fino a noi in frammenti, rappresenta una delle più preziose e fedeli testimonianze della topografia cittadina.
Sulla base di questa antichissima pianta, il Ludus Magnus, in seguito restaurato sotto l’imperatore Traiano, presentava un’arena centrale ellittica di circa 200 mq, circondata dalle gradinate che potevano ospitare fino a un massimo di 3000 posti, tra cui quelli destinati alle autorità, situati nella tribuna d’onore, collocata sul lato di via Labicana.
La palestra dei gladiatori
Ma nel Ludus Magnus i gladiatori, non si allenavano solamente, ma vi trascorrevano gran parte della loro vita. Per loro quel luogo era anche una caserma, una scuola, insomma, la loro casa.
L’arena e la cavea, quest’ultima raggiungibile attraverso quattro rampe di scale disposte all’esterno dell’ellisse, si inserivano in un ampio quadriportico di circa 100 metri di lunghezza, posto su due livelli, impreziosito da colonne in marmo, sul quale si affacciavano una serie di ambienti perimetrali, destinati all’alloggio dei gladiatori e ai servizi per gli spettacoli.
Della più grande e antica palestra gladiatoria, tuttavia, l’elemento più singolare era costituito, senza dubbio, dalla galleria sotterranea che collegava il Ludus Magnus direttamente all’ingresso orientale dell’Anfiteatro Flavio, una soluzione geniale e al tempo stesso suggestiva che permetteva ai gladiatori di uscire direttamente al centro dell’arena, fra l’entusiasmo dei tifosi assiepati nel Colosseo.
Quel corridoio ipogeo, molto probabilmente, veniva utilizzato dai gladiatori, immediatamente prima dell’esibizione, anche per riscaldarsi, in quella galleria, insomma, scaricavano la tensione in previsione dell’imminente competizione.
SANGUE E ARENA. CHI ERANO I GLADIATORI?
Nel maggio del 2000 nelle sale italiane usciva Il gladiatore, il film di Ridley Scott, premiato con ben cinque Oscar, con il celebre volto di Russell Crowe nei panni di Massimo Decimo Meridio, un generale romano caduto in disgrazia e costretto a esibirsi nelle arene come gladiatore.
Ma al netto della ricostruzione filmica della pellicola di Scott, chi erano davvero i gladiatori?
Si trattava di uomini e in rarissimi casi di donne, posti ai livelli più bassi della società romana, le cui misere condizioni di vita li obbligavano a combattere nelle arene.
Schiavi, prigionieri di guerra, condannati a morte ma, talvolta, anche uomini liberi schiacciati dal peso dei debiti, desiderosi di fuggire da un presente opprimente ma anche avvinti dalla fama eterna.
Questo, in sintesi, l’identikit dei gladiatori nell’antica Roma, esseri umani che mettevano in gioco la loro vita per il brutale piacere della gente.
COME SI ALLENAVANO I GLADIATORI?
L’esistenza dei gladiatori (da gladius la celebra spada romana) era in mano a una figura chiave, quella del lanista. Questi non era solo il proprietario di un ludus ma un vero e proprio imprenditore, la cui principale fonte di reddito derivava proprio dal commercio dei gladiatori, merce preziosa da vendere o affittare al munerarius, l’organizzatore dei giochi, colui che teneva ben salde le redini del piacere del popolo romano.
Prima, tuttavia, di esibirsi nelle arene, mettendo in gioco la propria vita, i gladiatori dovevano allenarsi duramente nei vari ludi.
Per scendere nell’arena e combattere al cospetto di migliaia di persone, il futuro gladiatore doveva impegnarsi duramente per convincere il lanista di essere quello giusto, il cavallo di razza su cui puntare.
La strada verso una possibile gloria era lastricata di duri allenamenti, costanti controlli medici, ferrei ritmi di vita e una dieta rigorosa, molto differente, però, da quella che potremmo immaginare.
IL FALSO MITO DEI GLADIATORI ROMANI PALESTRATI
Il regime alimentare dei gladiatori era composto perlopiù da legumi e cereali, principalmente orzo, tanto che erano anche chiamati hordeani, letteralmente mangiatori di orzo.
La dieta prevedeva anche la sistematica assunzione, in genere al termine degli allenamenti, di una rinvigorente bevanda che, come racconta Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, era composta da cenere di legno, un intruglio dal gusto decisamente discutibile ma che garantiva un pronto recupero delle forze essendo, oltretutto, una toccasana per le ossa.
Ma come apparivano agli occhi dei romani stipati nelle arene questi leggendari gladiatori?
Una cosa è certa, non erano moderni body builder.
Le fonti, infatti, raccontano che i gladiatori non avessero fisici scolpiti, segnati da muscoli ben definiti ma apparivano, in virtù anche di una dieta povera di proteine e ricca di carboidrati, mollicci, stando, almeno, alla descrizione che di loro fa Galeno che, prima di divenire il medico dell’imperatore Marco Aurelio, lavorò in una palestra gladiatoria a Pergamo.
Insomma piuttosto lontani dai corpi dei moderni culturisti, anche se poi, la pittura e soprattutto la scultura classica ci ha tramandato un’immagine decisamente virile, fatta di muscoli scolpiti, in ossequio al culto del fisico, ieri come oggi, un topos imprescindibile.
COME COMBATTEVANO I GLADIATORI? E COME ERANO VESTITI?
I gladiatori non erano tutti uguali ma si differenziavano in base alle armi utilizzate, all’abbigliamento indossato, all’armatura posseduta ma anche in relazione alle tecniche di combattimento.
Ecco, allora, il Trace, caratterizzato da una piccola spada, chiamata sica (da cui il termine sicario) e uno scudo anch’esso di ridotte dimensioni che poteva essere circolare o rettangolare, oppure il Mirmillone, segnato da un grosso scudo rettangolare e dal celebre gladio, la spada per eccellenza dei romani.
Molto amato era, sicuramente, il retiarius, dalla rete che utilizzava durante il combattimento con la quale cercava di intrappolare il suo avversario, prima di attaccarlo con il tridens, il tridente, una lancia a tre punte, la sua arma d’offesa.
Il retiarius, al contrario di altre tipologie di gladiatori, non possedeva vere e proprie protezioni, eccezion fatta per un parabraccio e una placca metallica, il galerus, che fornivano una difesa della parte sinistra del corpo, quella compresa tra la spalla e la faccia.
Più protetto, invece, era l’hoplomacus, che si contraddistingueva oltre che per le numerose protezioni, tra cui un grosso scudo rotondo, anche per una lunga lancia, la sua arma d’attacco.
Dell’elenco dei diversi tipi di gladiatori facevano parte anche il provocator, l’essedarius, l’eques che di solito apriva i giochi e il secutor, letteralmente l’inseguitore. Questi, di norma, combatteva contro il retiarius e si caratterizzava per un grosso scudo rettangolare, per il celeberrimo gladius e, specialmente, per un elmo ovale dotato di due aperture oculari piccolissime, un copricapo che garantiva la massima protezione possibile dai fendenti avversari.
Dove si allenavano i gladiatori
Ma nelle arene non si esibivano solo gladiatori ma, talvolta, anche delle gladiatrici.
La presenza di donne nei ludi è testimoniata da diversi fonti classiche, tra cui Giovenale, che tuttavia, non amava i combattimenti fra donne, Petronio, che nel suo Satyricon riferisce come l’imperatore Nerone fosse solito organizzare esibizione con gladiatrici e perfino Seneca.
Il fustigatore degli imperatori, nel suo Le vite dei Cesari, racconta di come Domiziano avesse organizzato una gara fra gladiatrici e nani, una competizione che riscosse il piacere del pubblico.
LA SCOPERTA DEL LUDUS MAGNUS NEL NOVECENTO
Con l’abolizione dei giochi gladiatori, avvenuta per volontà dell’imperatore Onorio, le palestre gladiatorie caddero decisamente in disgrazia.
A questo triste destino non scampò neppure il Ludus Magnus che, a partire dal VI secolo d.C., non solo fu totalmente abbandonato ma fu vittima, anch’esso, di quel fenomeno di spoliazioni che interessò tutti gli edifici romani, a partire dal Colosseo.
Esiziale per l’integrità del Ludus Magnus furono i lavori di riassetto urbanistico che interessarono l’area di via di San Giovanni in Laterano durante il pontificato di Sisto V.
Fu solo nello scorso secolo che l’antica area, la cui memoria era stata ravvivata soltanto dalle fonti letterarie, riemerse dopo secoli di oblio dalle viscere della terra.
Correva l’anno 1937 e nel corso di alcuni scavi, condotti in ossequio ai dettami del nuovo piano regolatore voluto dal Governatorato fascista, vennero alla luce dei resti che subito solleticarono la curiosità degli archeologi.
Gli studiosi non ebbero dubbi: quelle tracce provenienti da un passato lontano appartenevano proprio alla palestra dei gladiatori.
Si decise, così, di avviare un’ampia campagna di scavi che due anni dopo, nel 1939, permise il ritrovamento del celebre corridoio sotterraneo che collegava il Ludus al Colosseo.
Ma fu il canto del cigno degli archeologi.
Il 10 giugno 1940 l’Italia entrava in guerra e quell’ambizioso progetto di scavi fu sospeso. Dovettero passare vent’anni per vedere nuovamente accedersi i riflettori della ricerca sull’antica area.
LA CAMPAGNA DI SCAVI RIPRESA NEL 1957
Nel 1957, infatti, i lavori di scavo finalmente ripresero. A sollecitarli fu l’imminenza dei giochi olimpici che si sarebbero tenuti nell’estate del 1960 per la prima volta a Roma e che videro tra i protagonisti l’indimenticabile Abebe Bikila.
Dalla nuova campagna archeologica riemersero i resti di 14 celle, prive, tuttavia, di ogni traccia di letti, tanto che gli studiosi ipotizzarono che i gladiatori dormissero su dei giacigli, ma, principalmente, tornò alla luce dal sonno dell’oblio, il “quadrato” lo strato di sabbia sul quale si svolgevano gli allenamenti dei gladiatori.
Quest’ultima scoperta fu davvero notevole, visto che fino a quel momento, come sottolineato da un articolo comparso il 9 agosto 1960 sul Corriere della Sera, «le piste, costituite di sabbia compressa e altri materiali friabili, erano sempre andate distrutte.»
L’area del Ludus Magnus è visitabile ma solo a gruppi e su prenotazione. Per informazioni e prenotazioni si può contattare il numero 060608.
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