Il 7 ottobre 1981 moriva improvvisamente il sindaco di Roma Luigi Petroselli. Si chiudeva così, nel modo più drammatico, una stagione politica breve ma intensa, segnata da un’amministrazione dal volto umano, vicina alla gente, capace di rivoluzionare, e non solo a parole, il volto della capitale.
GIUGNO 1976, IL PCI PRIMO PARTITO A ROMA, UNA VITTORIA STORICA
Oggi, purtroppo, il nome di Luigi Petroselli è per molti quello di una via di Roma, sotto le pendici del Campidoglio, ma quarant’anni fa, quel sindaco venuto da Viterbo, provò davvero a cambiare la città, mettendo al centro di tutto Roma e i suoi abitanti. Quando qualcuno gli chiedeva perché avesse deciso di diventare sindaco di Roma, Luigi Petroselli semplicemente rispondeva che era stato l’amore per la città.
Roma, 20 giugno 1976. Il responso delle urne per il rinnovo del Consiglio comunale capitolino è incontrovertibile. Il Partito comunista italiano è la prima forza politica a Roma, con il 35,48% dei voti, oltre due punti in più della Democrazia Cristiana, da sempre il primo partito a Roma. Un dato che non è una novità ma che rispecchia, invece, la tendenza nazionale che vuole il Pci di Enrico Berlinguer forza in ascesa già dall’anno precedente, quando conquista molti capoluoghi di regione.
L’exploit capitolino, in quell’ultimo giorno di primavera, fa il paio con lo straordinario successo che il Pci ottiene nelle elezioni politiche nazionali. Il 20 e 21 giugno non vanno a votare solo i romani ma anche e soprattutto gli italiani. C’è un parlamento da eleggere in una delle tornate elettorali tra le più importanti e incerte degli ultimi anni, dominate dall’incognita del probabile sorpasso comunista sulla Dc. Un’eventualità che preoccupa e non poco i settori più conservatori della società italiana, al punto che il più noto dei giornalisti italiani, Indro Montanelli, dalle colonne del suo “Il Giornale”, suggerisce agli elettori di turarsi il naso e di votare, nonostante tutto, Democrazia Cristiana.
Per cercare di arginare la prevedibile emorragia di voti, il partito di Piazza del Gesù, inserisce nelle liste nazionali, accanto ai nomi consueti, anche personalità del tutto nuove, come Umberto Agnelli, fratello del più famoso Gianni.
Anche il responso delle urne nazionali, in quel fatidico giugno 1976, è benevolo per il Pci, anche se non regala il sospirato primato. Il Pci, pur incrementando notevolmente il dato delle precedenti votazioni, più 7,22%, non riesce a superare la Dc, che rimane al primo posto. In via delle Botteghe Oscure, a due passi da Piazza Venezia, la festa, in quella notte che profuma già di estate, è d’obbligo. Persino il compassato Berlinguer, affacciandosi dal balcone della sede del Pci, regala alla folla sottostante un lungo, rassicurante, dolcissimo sorriso.
Se a livello nazionale il successo comunista si traduce nell’avvio del dialogo con la Democrazia cristiana, fortemente ricercato da Aldo Moro e foriero della breve stagione dei governi di solidarietà nazionale, a Roma la netta affermazione del Pci spalanca, per la prima volta, le porte del Campidoglio ai comunisti.
DA ARGAN A PETROSELLI, NEL SEGNO DELLA CONTINUITÀ
Nella capitale viene varata una giunta rossa, composta da comunisti, socialisti e socialdemocratici, con l’appoggio esterno del partito repubblicano. Alla guida di quel tripartito viene chiamato lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan, il cui nome è per molti una garanzia. La sensazione, fin dai primi giorni di governo della città, è che la discontinuità con le giunte precedenti sarà evidente. I problemi che Argan trova sulla sua scrivania sono tanti e complessi. L’emergenza casa, innanzitutto, un’atavica questione che coinvolge più di 800.000 romani, che in quegli anni abitano in borgate fatiscenti.
Argan ha il nome giusto per affrontare quella piaga: Giuliano Prasca. A lui affida il compito di guidare l’Assessorato al Patrimonio e alla Casa. Prasca, un uomo tutto di un pezzo, cresciuto in una vera borgata, quella del Quadraro, è l’uomo giusto al momento giusto.
Il problema abitativo può essere risolto smantellando le vergognose baracche e realizzando nuove case, un compito non facile. Costruire a Roma significa scontrarsi contro i poteri forti, contro la tracotanza dei cosiddetti “palazzinari”. Ma Giuliano Prasca, a cui sta davvero a cuore il benessere della sua città, non teme nessuno, lui va dritto per la sua strada.
Il 27 settembre 1979, però, il professor Argan per motivi di salute rassegna le dimissioni. Al suo posto subentra Luigi Petroselli. Non ha la fama dello storico dell’arte, viene dalla gavetta, ma ha un viso dolce e occhi sinceri. A Roma parecchi lo conoscono, tanti lo rispettano, moltissimi lo ritengono l’uomo giusto per risollevare la martoriata capitale.
Petroselli non è un neofita della politica. Nelle elezioni amministrative del 1976, da capolista per il Pci, supera nel conto finale delle preferenze un big della politica italiana: Giulio Andreotti, costretto a candidarsi anche per il Campidoglio nel tentativo estremo di arrestare la possibile nomina di un sindaco del Pci.
Così nei suoi Diari, il più volte Presidente del Consiglio, l’emblema della cosiddetta Prima Repubblica, ricorda quella candidatura: «Autorevoli ambienti cattolici ci addebitavano di trascurare il municipio […]. Certi ambienti sono difficili. Minacciavano addirittura di votare scheda bianca».
CHI È LUIGI PETROSELLI
Luigi Petroselli con Enrico Berlinguer
L’affermazione di Petroselli è legata alla sua riconosciuta competenza, al suo essere sempre in prima linea, all’esperienza maturata nel corso della ventennale militanza nel partito comunista, cominciata nel 1950, quando appena diciottenne, prende la sua prima tessera. Ma il nuovo sindaco di Roma non è solo preparato è anche onesto, qualità non scontata per un politico, specie in quegli anni.
A un parente che gli chiede l’immancabile, italica raccomandazione, Petroselli, appena eletto sindaco, stizzito risponde: «queste cose noi non le facciamo».
Petroselli è sempre stato dalla parte dei più deboli, dei disoccupati, delle donne sole, dei minori. Celebri, in tal senso, sono le battaglie che nella natia Viterbo, l’Etrusco, uno degli affettuosi nomignoli con cui sarà chiamato dai romani, intraprende per sconfiggere le troppe ingiustizie che vede accanto a sé.
Nel 1951 si schiera con i contadini viterbesi per ottenere la possibilità di coltivare le tante terre incolte della zona. Il 30 settembre di quello stesso anno, con altri attivisti, occupa le terre dei Colonna a Bomarzo. Viene arrestato, finisce in prigione, dove vi rimane per quaranta giorni, prima di essere scarcerato. Ma quelle lotte, quel suo metterci la faccia, nonostante tutto e tutti, lo rendono un politico vero, rispettato e soprattutto amato.
Lasciata Viterbo, Petroselli arriva a Roma, dove, oltre a iscriversi alla Facoltà di Lettere e Filosofia, partecipa sempre più attivamente alla vita del Pci, di cui diviene una figura in ascesa. Nel 1968 non ha paura di criticare aspramente la repressione sovietica dei moti di protesta di Praga, per lui le imposizioni ideologiche non esistono.
Petroselli parla chiaro, diretto, proponendo soluzioni concrete ai tanti, troppi problemi della gente. Non usa il politichese ma un linguaggio concreto, anche se non rinuncia mai a sognare, specie quando si tratta della sua Roma.
La sera in cui viene eletto sindaco di Roma, a cena con la famiglia rimane insolitamente silenzioso. Solo alla fine della serata, rivolgendosi alla moglie Aurelia, pronuncia parole rimaste celebri: «bisogna restare con i piedi per terra». E ci rimarrà fino alla fine dei suoi giorni.
ROMA SI PUÒ E SI DEVE CAMBIARE: LA BATTAGLIA PER LE PERIFERIE
Non appena si insedia a Palazzo Senatorio, Luigi Petroselli definisce il suo programma, basato su due fondamentali direttrici: la riqualificazione delle periferie e la valorizzazione della Città Eterna, attraverso l’esaltazione della sua storia, dei suoi monumenti, delle sue strade. Sembrano due progetti antitetici ma non per il neo sindaco. Il suo motto, fin dal primo giorno in cui riceve le chiavi di Roma, è quello di accorciare le distanze, di avvicinare la città reale a quella ufficiale.
Il piano per il recupero delle periferie, che il neo sindaco conosce bene, avendole battute palmo a palmo, passa, innanzitutto, per la demolizione delle migliaia di quelle indegne baracche che deturpano il volto di Roma, umiliando i suoi abitanti. A partire da Argan e passando per Petroselli, sono oltre 4.000 le baracche abbattute.
Tra il 1980 e il 1983 vengono realizzati 3.759 alloggi comunali e 1.066 alloggi da parte dell’Iacp. Numeri impressionanti, a cui vanno aggiunti i 791 alloggi da destinare alle famiglie sfrattate, acquisiti sul mercato privato, nel periodo 1976/1981.
Per la prima volta a Roma, dai tempi del “Piano Ina Case” di fanfaniana memoria, la regia edilizia, grazie anche a specifiche leggi quali la 457/78 (Piano decennale di edilizia residenziale), la 25/1980 e la 94/1982 non è nelle mani di assetati speculatori, ma in quelle delle istituzioni, che tornano a occuparsi dei cittadini.
La riqualificazione delle periferie passa anche attraverso la creazione di acquedotti, fognature (ne saranno realizzate ben 1000 km), illuminazione pubblica, strade asfaltate, strumenti indispensabili per realizzare il sogno di una città diversa.
Ma nelle periferie Petroselli non porta solo luce e acqua. Crea centri sociali per gli anziani, ne saranno aperti ben 43, parco giochi per i più piccoli, biblioteche di quartiere (ne apriranno nel corso di quei fatidici anni ben 283), scuole elementari, asili nidi e nuovi spazi verdi.
PIÙ VERDE E TRASPORTI PUBBLICI, IL VOLTO NUOVO DI ROMA
Il tema del verde pubblico come per Argan, sta a cuore a Petroselli. Negli anni delle giunte rosse, dal 1976 al 1985, a Petroselli nel 1981 successe il vicesindaco Ugo Vetere, si acquisiscono aree per un totale di 33 parchi urbani. Si accendono le battaglie per il parco archeologico che va dai Fori all’Appia Antica, si combatte per la Caffarella e si apre Villa Torlonia. Diventano parchi pubblici anche realtà dimenticate e degradate quali Villa Lazzaroni, Villa Bonelli e Villa Carpegna. Alla fine saranno circa 500 gli ettari sottratti alla speculazione e trasformati in luoghi di aggregazione sociale da lasciare in eredità ai romani.
Fra le molte novità che segnano questa stagione di riforme, cominciata con la Giunta Argan, c’è anche la tanto attesa apertura della metropolitana. Non si tratta di una semplice inaugurazione. Quando Petroselli arriva sullo scranno più alto del Campidoglio, i lavori per terminare il tratto della metropolitana, che dovrà collegare la periferia sud di Roma al Vaticano, latitano, fra scioperi, ritardi clamorosi, ammanchi di cassa e infinite polemiche.
Il nuovo sindaco stabilisce di incontrare ogni quindici giorni i responsabili dei lavori della metro. Vuole capire i motivi che stanno alla base di quei lavori che, iniziati nel 1963, ancora non vedono luce. Quel pressing sortisce l’effetto sperato. Il 16 febbraio 1980 i cancelli delle stazioni della Metro A vengono finalmente aperti: Roma è ora davvero più unita.
L’impegno per migliorare il trasporto pubblico passa anche per il potenziamento del trasporto su gomma e per l’avvio dei lavori per il prolungamento della Metro B.
SI MUOVE LA CITTÀ: IL SOGNO DELL’ESTATE ROMANA
Roma deve diventare per i suoi abitanti, che, in quel lembo finale degli anni Settanta, sfiorano oramai i tre milioni, un luogo da vivere, specie d’estate e qui la fantasia assume i contorni di un infinito, bellissimo sogno che ha il nome di Estate romana.
A ideare quella manifestazione è Renato Nicolini che, prima sotto Argan e poi con Petroselli, guida l’assessorato alla cultura. Il politico comunista, il 25 agosto 1977, inaugura una serie di iniziative culturali che interessano tutta la città, non solo il centro, e che vedono la partecipazione di migliaia di romani, incantati dal cinema all’aperto, dal teatro di strada, dai balletti, dalla musica classica e da quella pop.
In anni dominati dalla violenza di un terrorismo che spara alle persone, bucandole come biglietti da annullare, Petroselli e Nicolini sognano, riuscendoci, una città diversa, fatta di cultura per tutti, con le piazze finalmente affollate.
La gente, in quelle indimenticabili estati, vinta la paura, lascia le case per inondare le strade, correndo per vedere uno spettacolo, ascoltare un concerto, gustarsi un film o, semplicemente, in una sera dei miracoli, in cui le vele sulle case sono mille lenzuola, guardare una luna meravigliosa.
Ma l’impegno di Petroselli e della sua giunta non è solo legato alle periferie e all’effimero sogno dell’Estate romana. Il sindaco, come scrisse Antonio Cederna, fa «cose a cui nessuno prima aveva pensato», mettendo Roma al primo posto.
Pedonalizza piazza del Colosseo, liberando uno dei luoghi più famosi al mondo «dalla sua degradante funzione di paracarro monumentale»; elimina quella parte di via della Consolazione che spaccava in due il Foro romano, rivalorizzando lo scenario unico dei Fori; inventa le domeniche a piedi, volte a vivere, senza l’incubo delle automobili, l’incanto della città. Sogna un unico, grande parco archeologico.
Ma sono idee che, se da una parte trovano l’entusiastico appoggio di una parte della città, quella più vera e popolare, dall’altra spaventano coloro che non vedono di buon occhio queste piccole, grandi rivoluzioni. Petroselli non è osteggiato solo da certi settori della società, ma anche da suo stesso partito, in cui emergono posizioni diverse che anticiperanno la crisi del Pci e il suo successivo scioglimento.
L’ULTIMO SALUTO A LUIGI PETROSELLI
Il 7 ottobre 1981, al termine di un suo intervento al Comitato Centrale del Pci, Petroselli muore a causa di un infarto fulminante. Neppure un mese prima era stato rieletto alla carica di sindaco, «battendo l’arroganza di chi voleva ribaltare dietro le quinte del potere l’indicazione del voto popolare», come scrisse Antonio Caprarica.
Quel giorno la sensazione è che quella stagione di grandi novità, di voglia di cambiamento, di speranze sia prossima a concludersi. Il giorno dei funerali la folla che segue il feretro del sindaco più amato di sempre, è enorme, incalcolabile, silenziosa e attonita. I volti di giovani, donne, lavoratori e pensionati, sono tutti rigati dalle lacrime. “Paese Sera”, storica testata romana, lo saluta con un dolcissimo: Addio Sindaco.
Nel suo ultimo giorno di vita Petroselli aveva manifestato la sua preoccupazione per il futuro del suo partito, della sua città, del suo paese. Vedeva nel rifiuto della politica e, ancor di più, nel rifiuto del rapporto con gli altri, un rischio enorme, la base per il crollo della democrazia, per l’affermazione dell’antipolitica, per l’instaurarsi del regime. Per lui il dialogo era fondamentale, con chiunque, senza distinzioni di sesso, religione, orientamento politico.
Il giorno delle esequie Petroselli ricevette l’abbraccio del suo popolo, della sua Roma. Su un cartello perso fra mille volti ignoti, un’anonima mano aveva ricordato una delle frasi più belle di Luigi Petroselli:
«Si può governare Roma solo se la si ama».
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