Orlando Pizzolato, uno dei più grandi atleti italiani di sempre, a proposito della maratona diceva: «è una corsa che affascina tanti podisti perché rappresenta una sorta di sfida con i propri limiti. Ci sono corse anche più lunghe che mettono a dura prova il proprio corpo e la mente, però la maratona è anche storia». Chiunque corra, anche solo qualche chilometro, magari la domenica mattina nel parco vicino casa, ha sognato, almeno per una volta, di correre una maratona. Simone Meloni questo sogno lo ha cullato, assaporato e alla fine piacevolmente conquistato. Ha corso la maratona di Roma, la sua città, circondato dalla storia millenaria di una città unica. Ha partecipato ad altre maratone in giro per l’Italia e per l’Europa. Ma gli mancava ancora qualcosa per sentirsi davvero soddisfatto, anche se, un vero runner non arriva mai, ma insegue sempre un nuovo ambito traguardo. Mancava la corsa per eccellenza, la maratona di New York. Una meta lontana, apparentemente impossibile che invece è divenuta realtà qualche settimana fa. 

MARATONA DI NEW YORK: LA SFIDA DI SIMONE 

Abbiamo incontrato Simone per farci raccontare questa emozione. Un’avventura fatta di attesa, sforzo, sudore e vittoria. Perché il vero, unico successo, è tagliare il traguardo, alzare gli occhi e guardare il cielo di New York e sussurrare a sé stessi, fra migliaia di persone che assaporano lo stesso brivido, ce l’ho fatta!

New York

New York

Simone, quando è nata la tua passione per la corsa?

La passione per la corsa è nata da una necessità; a fine estate di due anni fa avendo sempre i valori del colesterolo un po’ alti, malgrado mangiassi potrei dire in maniera equilibrata, decisi di iniziare a correre. La corsa però diciamolo, se fatta tanto per farla e magari in solitudine, può essere un po’ noiosa, allora, avendo necessità di uno stimolo per correre con continuità, mi diedi un obiettivo: la Roma Ostia (la mezza maratona più partecipata d’Italia) del 2017 e, con costanza e l’aiuto di un libro sulla corsa (Voglio Correre di Enrico Arcelli), non solo la corsi, ma anche con un discreto tempo. Insomma quella che era nata come una necessità, era divenuta, allenamento dopo allenamento, gara dopo gara, una grande passione che ha la forma di tante belle medaglie.

Se dovessi convincere qualcuno a cominciare a correre cosa gli diresti?

Beh, oltre a sottolineare gli indubbi benefici di uno sport aerobico, gli parlerei del divertimento e del bel clima di una gara podistica, dove centinaia o spesso migliaia di corridori si riuniscono, con spirito sì agonistico ma, più che altro, di divertimento. Perché tutti, credimi Maurizio, dal primo all’ultimo dei partecipanti, tagliano il traguardo col sorriso, avendo condiviso una giornata di sport e divertimento.

Quando hai deciso di “fare” la maratona di New York?

Come nella vita, anche e soprattutto nella corsa, ho bisogno di stimoli e dopo la Roma Ostia e tante altre mezze maratone, l’obiettivo successivo era la maratona, una gara che si ammanta di storia, che ricorda l’impresa di Filippide, quei 42 km e 195 metri entrati nella leggenda e che ogni podista amatoriale vorrebbe correre almeno una volta. Perché, come diceva Emil Zatopek,

«se vuoi correre un miglio, corri un miglio. Se vuoi vivere un’altra vita, corri una maratona».

Insomma la sfida era lanciata e subito l’idea è andata a New York perché, chiunque senti, ovunque leggi, sembra che sia la più bella. Prima però di attraversare l’oceano, volevo confrontarmi con questa incredibile prova e l’ho fatto nella sola città in cui avrei potuto iniziare il percorso da maratoneta: Roma, sicuramente la città più suggestiva dove correre una maratona. Fatta quella ad aprile di quest’anno, il sogno di New York ormai era dietro l’angolo e, fortunatamente, l’ho realizzato.

Simone alla Maratona di New York

Simone alla Maratona di New York

Come è cambiata, se è cambiata, la tua preparazione per questa esperienza?

Per correre e finire una maratona e magari farlo con un tempo interessante, bisogna macinare parecchi km la settimana, con allenamenti diversi per resistenza, velocità e gestione mentale di una gara del genere. In realtà, avendo già corso la maratona di Roma, sapevo bene cosa fare. Questa volta, però, avevo meno tempo per allenarmi. L’estate mi ha un po’ rallentato nella preparazione e quindi, in circa due mesi, ho dato tutto per arrivare preparato con 5 o anche 6 uscite a settimana (gare comprese), arrivando a superare i 70 km di corsa.

Com’è New York dal punto di vista di un runner?

Non so se il mio punto di vista sia quello del runner medio, ma allenarsi a Central Park con i grattacieli che svettano tutt’intorno, specie per chi non ci è abituato, è davvero suggestivo. Immagino che sia simile all’emozione che prova un newyorchese correndo intorno al Colosseo. Attraversare poi Brooklin, il Queens, Manhattan e gli altri quartieri il giorno della gara è stato letteralmente fantastico.

Hai fatto altre gare, in cosa è unica la Maratona di New York?

Una premessa, ho gareggiato tanto in Italia e oltre che a New York ho corso a Valencia e Barcellona e la cosa di cui mi dispiaccio e che qui da noi le gare podistiche non vengano vissute come altrove. Sia in Spagna che a New York, le corse sono un momento di vita della città, con gente in strada a tifare per tutti i runner. Una festa per tutti insomma, da noi, purtroppo, per chi non corre, queste gare sono una rottura perché vengono chiuse le strade e, inevitabilmente, al clima di gioia dei corridori si contrappone il malumore degli automobilisti. Detto questo la cosa unica di New York è l’atmosfera che si respira già dai giorni precedenti. Si comincia con la bellissima cerimonia d’apertura del venerdì e si prosegue con l’incontrare runner di ogni parte del mondo che si allenano. Italiani, francesi, inglesi o giapponesi, tutti uniti da fraterni saluti e grandissimi sorrisi. Il giorno della gara poi è una cosa incredibile, uno spettacolo unico dall’inizio alla fine, con migliaia di persone in strada a tifare, a spingerti verso il traguardo. Tutte queste emozioni non le scorderò mai.

Il tuo ultimo pensiero prima che lo starter desse il via era?

L’ultimo?! Non lo ricordo con precisione. Quando nel pregara hanno iniziato a cantare l’inno americano a cappella, davvero un’emozione da brividi, ho semplicemente pensato, vada come vada, io comunque la devo finire, a costo di arrivarci sui gomiti.

Il momento più difficile della gara?

Intorno al km 35 (il muro del maratoneta) ero veramente molto stanco, ma l’idea di fermarmi non mi ha mai sfiorato e, malgrado le gambe di legno, la testa era lucida e sono andato avanti.

E quello più bello?

Ho tre momenti per me belli in modo diverso ma ugualmente speciali. Innanzitutto la partenza in mezzo a migliaia di corridori su ponte da Verazzano. Poi quando, intorno al 40° km, ormai allo stremo delle forze, mi sono sentito chiamare. A tifare per me c’erano la mia compagna Valentina insieme a mia madre e mia zia, mi hanno dato le ultime energie per finire la gara. Il terzo è legato agli ultimi 200 metri, una passerella in mezzo agli spalti. Mentre correvo alzavo le braccia per chiedere al pubblico di incitarci tutti e loro hanno risposto con un entusiasmo unico, da brividi.

Runners alla Maratona di New York

Runners alla Maratona di New York

Ci puoi descrivere le diverse emozioni che hai provato prima durante e dopo la tua maratona?

Diciamo che si inizia dalla notte prima, si dorme poco, anche per l’alzataccia necessaria per andare a prendere il traghetto che ti porterà alla partenza, ma soprattutto perché l’agitazione ti tiene costantemente sveglio. Appena preso il pulmino con altri corridori che si erano affidati al mio stesso tour operator, l’emozione ha iniziato salire anche grazie ai racconti di chi già aveva corso questa maratona. Poi, arrivati al villaggio della partenza, inizia la lunga attesa, quasi tre ore, prima dell’inizio della gara. Cerchi di rilassarti, ti guardi intorno e vedi migliaia di persone come te lì in attesa, ed è subito empatia. Appena inizia la gara la tensione sfuma in mezzo a quelle migliaia di persone che corrono come te e alcune vestite nei modi più disparati. Pensa, un corridore italiano indossava una tuta da snowboard con tanto di tavola sottobraccio, logata SAVE THE CHILDREN. Fantastico!

Alla fine del ponte da Verazzano, una volta girato l’angolo ed essere entrati dentro Brooklin, sono stato colto da una fortissima emozione. Intorno migliaia di persone che tifano, suonano, (ci sono veri e propri complessi e dj), ti porgono generi di conforto o anche solo la mano per darti il cinque. Ero così su di giri che i primi 20 km li ho fatti a dare il cinque a chiunque e a rispondere agli incitamenti di chi gridava “Go Italia!” Alla fine della gara prevale su tutto l’emozione e la felicità per aver finito una maratona, la più partecipata, la più famosa, forse la più coinvolgente che ci sia. Comprendi mentre tagli il traguardo che hai appena concluso un’impresa, e lo hai fatto insieme ad altri 52000 runner. Una piccola impresa, una soddisfazione sudatissima e una bellissima medaglia da riportarsi a casa.

In cosa ti ha cambiato questa esperienza?

Non so se la maratona di New York mi abbia cambiato, di sicuro correre una maratona ti cambia e molto. Ti trasmette la consapevolezza di poter portare a termine qualcosa che sembra impossibile. Mi riporto insieme alla medaglia, il ricordo indelebile di infinite emozioni e il senso di festa che coinvolge tutti, senza distinzioni di sesso, nazionalità, religione. Quando vedi i visi sorridenti dei bambini e degli anziani che hai incontrato e ringraziato durante tutta la gara, comprendi la forza unica dello sport, il grande senso di fratellanza che dovrebbe sempre trasmettere. E poi diciamocelo, sono andato a correre a New York che è affascinate di suo, ma vista con gli occhi di un runner, diventa meravigliosa.

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