La sera di quel 23 gennaio 1939 il freddo si infiltra, approfittando di tutti gli spiragli possibili, insinuandosi gelidamente nel cuore di Matthias Sindelar, che lotta con una vita che non riconosce più, alla quale non riesce più a dare neanche un nome. Matthias, in quella stanza in un palazzo anonimo, di una Vienna ingrigita dalla realtà immutabile della storia, accarezza i capelli di Camilla, prima di prendere il sonno più agitato di tutta la sua vita. Camilla Castagnola, che anni prima aveva conosciuto in un ospedale italiano a seguito di un infortunio patito nel corso dei campionati mondiali di calcio del 1934, dorme accanto a lui. Il suo petto si alza sereno con ritmi lenti mentre il silenzio diventa sempre più assordante e Matthias rivede in pochi attimi le fotografie della sua vita.

MATTHIAS SINDELAR, DER PAPIEREINE

Matthias Sindelar nasce a Kozlov, in Moravia, nel 1903. Quando ha solo 14 anni rimane orfano del padre, morto nel 1917 sul fronte dell’Isonzo. A crescerlo, oltre alla madre, sono le tre sorelle che lo coccolano nel miglior modo possibile. Fin da piccolo Matthias mostra una passione unica per il calcio, per quel gioco arrivato dall’Inghilterra che entusiasma i bambini come lui: ma Matthias con la palla al piede ci sa fare davvero, con quel pezzo di stracci compie meraviglie, strappa sorrisi.

I suoi palleggi sui campi inventati al momento, fatti di fango e cemento, teatro di partite infinite come i tramonti, sono ubriacanti e lasciano senza fiato. I compagni di squadra, ogni volta differenti, così come gli avversari, rimangono basiti dalle piroette di quel ragazzino smilzo e dal viso sottile. Lo ammirano, desiati da quello che diventerà, di lì a poco, il grande Matthias Sindelar, il giocatore austriaco più forte di tutti i tempi ma che per ora, su quei campi strappati alla bulimia delle fabbriche fumose del quartiere viennese di Favoriten, dove la famiglia di Sindelar si è trasferita dalla natia Moravia, è semplicemente Der papiereine (carta velina), un ragazzino magro che con la palla è capace di fare cose uniche, un mucchio di ossa che danza per gli dei.

Quella classe cristallina, quel dribbling stretto, quel calciare con precisione, sono doti che non possono sfuggire ad un occhio minimamente attento. E’ un semplice insegnante, Karl Weimann, che nel 1918 lo nota e decide di farlo entrare nella squadra giovanile dell’Herta ASV di Vienna, una piccola società di calcio di quartiere, lo stesso della famiglia di Sindelar. Tre anni dopo, a soli diciotto anni, Matthias esordisce in prima squadra. Ma la sfortuna, invidiosa per tanto successo, lo attende al varco. Nel 1923 la carriera di Matthias sembra appesa a un filo, complice una banale caduta, che gli provoca la rottura del menisco, un infortunio che all’epoca, molto spesso, pregiudicava definitivamente l’attività sportiva.

Ma Matthias Sindelar, oltre alle rapide serpentine, ha anche una tempra eccezionale. Non si abbatte, mai. Dopo l’operazione e il necessario periodo di rieducazione, torna a calcare i campi di calcio e a un anno dall’incidente eccolo vestire la maglia viola dell’Amateure di Vienna, la futura Austria Vienna, la squadra più importante del paese, una delle più forti di tutta l’Europa.

Il debutto in nazionale non può tardare e arriva nel 1926, a soli 23 anni. Anche con la maglia dell’Austria Carta velina fa meraviglie, incanta i tifosi, che letteralmente impazziscono per lui.

7 dicembre 1932, Matthias conquista l’Inghilterra. Londra, Stamford Brigde. La nazionale austriaca viene battuta solo 4 a 3 dall’Inghilterra, ritenuta la più grande squadra di calcio al mondo, dopo una partita a dir poco rocambolesca. Der Papierene è il protagonista assoluto di quella storica partita, segnando un goal stratosferico. Lo stadio londinese, di solito poco avvezzo a tributare consensi a giocatori non di casa, lo consacra stella indiscussa del firmamento calcistico. Sindelar dai campetti in cemento della natia Kozlov è ormai entrato, di diritto, nell’olimpo del calcio: è diventato il Mozart del pallone.

In campo lo si nota subito, e non solo per la vistosa fasciatura al ginocchio operato che indosserà sempre, probabilmente anche a scopo scaramantico. Lui semina gli avversari come birilli, tira traccianti imprendibili, corre in campo come se davvero danzasse.

La fama, ormai, lo precede, è celebre come un grande attore, se non di più. Tutti lo vorrebbero in squadra ma lui rimane fedele a Vienna e alla mitica maglia viola della sua squadra di club.

Manca solo un tassello, diventare campione del mondo e i campionati che si svolgeranno di lì a poco in Italia sembrano essere l’occasione migliore per realizzare il sogno di ogni calciatore e di ogni bambino che prende a calci un pallone. Ma saper giocare bene non basta, tanto meno far parte della squadra favorita. Il destino di Matthias Sindelar si imbatte contro il desiderio del fascismo di primeggiare anche nel calcio, con quello personale di Mussolini di fare dell’Italia la squadra di calcio più forte del mondo.

Milano 3 giugno 1934, stadio San Siro, ore 15, semifinale dei campionati mondiali di calcio, da una parte la squadra di casa, l’Italia, dall’altra l’Austria, il mitico Wunderteam (la squadra delle meraviglie), secondo tutti i pronostici la squadra vincente. Pochi mesi prima la nazionale italiana era stata nettamente sconfitta per 4 a 2 dagli austriaci, ma ora la posta in palio è diversa, così come gli interessi in gioco.

La partita è intensa, combattuta, a tratti davvero durissima. L’Italia passa in vantaggio quasi subito, al 19° del primo tempo con una rete, molto discussa in verità, siglata da Guaita, uno dei tanti “stranieri” azzurri. Matthias Sindelar è marcato stretto da Luisito Monti, un altro “italianizzato” che vuole vendicarsi per la partita di qualche mese prima, quando l’astro austriaco lo aveva letteralmente ridicolizzato. I calci che il Mozart del pallone riceve sono tanti, ma in molti casi l’arbitro, lo svedese Eklind, sorvola, lasciando assurdamente giocare. Al novantesimo è l’Italia a primeggiare, con un solo goal di scarto sulla compagine austriaca guidata dal bravissimo Meisl.

La delusione per Sindelar è enorme, e a poco servono i complimenti dell’italiano Angiolo Schiavo che a fine partita candidamente ammette: “Sindelar era imprendibile, Monti non ce la faceva proprio con quel diavolo!”Quel giorno Der papiereine comprese che nello sport, come nella vita, non sempre vince il più forte, che certe volte bisogna arrendersi al più scaltro, al più potente.

Passata la cocente amarezza, mista alla rabbia per la discutibile direzione del fischietto scandinavo (in seguito si saprà che la sera prima di quella partita l’arbitro aveva cenato in un noto ristorante milanese con Mussolini), Matthias Sindelar torna a vincere, ad alzare trofei, a incantare sui campi di calcio.

L’obiettivo sono nuovamente i mondiali e la fatidica Coppa Rimet. Questa volta il trofeo iridato non può sfuggire allo squadrone austriaco, anche perché la manifestazione si terrà nel giugno del 1938 in Francia, in una terra libera e democratica. Ma la storia, quella con la S maiuscola, ancora una volta gioca uno scherzo beffardo, l’ultimo per Sindelar.

MATTHIAS SINDELAR, IL CALCIATORE AUSTRIACO CHE SFIDÒ HITLER

Austria, 12 marzo 1938. Le truppe naziste, senza colpo ferire, entrano in una pacifica Vienna. E’ l’inizio dell’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania nazista. Circa un mese dopo, il 10 aprile, gli austriaci sanciranno la definitiva annessione, attraverso un discutibilissimo plebiscito, preceduto da una brevissima campagna elettorale, durante la quale le ragioni del No di fatto non sono esistite. Sei d’accordo con la riunificazione dell’Austria con il Reich tedesco avvenuta il 13 marzo 1938 e voti per la lista del nostro Führer Adolf Hitler?“. I Sì al quesito referendario sono il 99.71%. L’Austria non esiste più.

Poco prima di quel ridicolo appuntamento elettorale, che sancisce la fine della Felix Austria, il 3 aprile, nel mitico Prater di Vienna, si gioca l’Anschluss Spiel, la partita della riunificazione. Nelle intenzioni degli organizzatori sarebbe dovuta essere una passerella, piuttosto che una vera e propria partita, un modo per certificare su un campo di calcio, quello che la storia aveva imposto poche settimane prima. Ma i nazisti non fanno i conti con Matthias Sindelar. Al minuto settantesimo di un incontro fino a quel momento soporifero, perfettamente in linea con le aspirazioni dei promotori, Mozart ruba palla e si invola verso la porta tedesca che trafigge con un bellissimo goal. L’esultanza alla rete è del tutto inattesa. Dagli spalti dello stadio viennese si alza forte, un fortissimo, roboante coro: Osterreich! Osterreich! Osterreich!

Lo sconcerto dei nazisti è enorme ma le “sorprese” non finiscono al triplice fischio. Non solo la Germania è stata sonoramente sconfitta per 2 a 0 (al goal di Sindelar segue quello di Sesta), ma al momento di omaggiare Hitler in tribuna con il tipico saluto nazista, i due marcatori decidono di astenersi.

L’atteggiamento di sfida di Sindelar al nazismo non si esaurisce a quella serata. L’allontanamento dalla squadra dell’Austria Vienna, ribattezzata più “tedescamente” Ostmark Wien, del presidente Michael Schwarz, per tutti “Mich”, reo di essere di religione ebraica in un paese che aveva abbracciato le leggi razziali, porta Matthias Sindelar ad abbandonare definitivamente il suo amato calcio, in cui non si riconosce più.

“Il nuovo führer dell’Austria Vienna ci ha proibito di salutarla, ma io vorrò sempre dirle ‘Buongiorno’ ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla”. Queste le parole che pronuncia Sindelar incontrando in pubblico il suo vecchio presidente.

Non era più la sua Vienna, non era più il suo calcio, specie ora che la vita, alleata fedelmente con la morte, gli ha strappato il suo mister Hugo Meisl, un secondo padre, colui che per primo lo aveva chiamato il Mozart del pallone ed a cui Matthias doveva tanto, tantissimo.

I valzer nelle eleganti strade di Vienna hanno lasciato il posto alle fredde marce militari e la speranza di un futuro migliore si è mestamente infranta contro un muro di odio ed intolleranza.

A nulla sarebbero servite le sue finte, le sue fantastiche reti, i suoi colpi magici. Matthias Sindelar sceglie di tirarsi fuori dal calcio, decide di dire semplicemente no, non accettando di giocare per una nazione che non sente sua, per una bandiera uncinata che lo atterrisce come il peggiore degli incubi. Riceve pressioni di ogni tipo affinché riveda la sua posizione, perché indossi la maglia bianca della Germania agli imminenti mondiali francesi, ma la sua decisione è irreversibile. Con il calcio Der papiereine ha definitivamente chiuso.

Con la fidanzata Camilla, Sindelar acquista un bar nel centro di Vienna, preferendo la quiete del Café Annahof al clamore dei campi da gioco.

Quella notte del 23 gennaio 1939, mentre su Vienna cade una soffice neve, Matthias Sindelar si addormenta per sempre accompagnato dal respiro dolce di Camilla e dallo sventolio dei berretti dei tifosi nel cielo azzurro di Vienna. Viene rinvenuto cadavere nel suo appartamento la mattina dopo. Camilla Castagnola morirà poco dopo. L’autopsia stabilisce che a provocare la duplice morte è stato il monossido di carbonio. Incidente, suicidio o, invece, omicidio? La rapida inchiesta promossa dalle autorità di pubblica sicurezza non approfondisce, chiudendo frettolosamente il caso.

Il giorno dei funerali, in una Vienna che ode ancora l’avvicinarsi di echi sinistri di guerra, sfilano silenziose ventimila persone, che sfidano il regime pur di salutare, prima che l’immenso calciatore, lo straordinario uomo, che scelse semplicemente di non piegarsi.

“Uno stelo appeso a due occhi azzurri che saettava come una freccia verso i gol più meravigliosi.” (Vladimiro Caminiti)

Leggi anche: 
Panatta, le magliette rosse e quella sfida al Cile di Pinochet
Luis Silvio Danuello, il campione bidone. Storia di un calcio di altri tempi