L’obelisco di Dogali fu il primo monumento ad essere eretto nella Roma divenuta da poco capitale del Regno ma fu anche il primo ad essere rapidamente dimenticato, confinato in un giardino nascosto a pochi metri dalla stazione Termini.
Il monumento ai caduti di Dogali è un obelisco commemorativo che oggi a malapena si nota fra gli alti alberi dei giardinetti di via Luigi Einaudi, strada che collega piazza dei Cinquecento a piazza della Repubblica, proprio davanti a Palazzo Massimo. Eppure quando fu realizzato nel lontano 1887 sembrava destinato a ben altra fortuna.
LA DISFATTA DI DOGALI
Gennaio 1887. La giovane Italia è impegnata da qualche tempo in Etiopia, obiettivo crearsi anch’essa un proprio impero coloniale in un’Africa già lottizzata da decenni dalle principali potenze europee. Ma qualcosa nella mattinata del 26 non va come dovrebbe. Le truppe abissine, guidate dal ras Alula Engid, che anni dopo a Adua inflisse un’altra pesante sconfitta all’Italia, attaccano improvvisamente una nostra colonna di militari. Alla fine sul campo di battaglia, anche per evidenti responsabilità del tenente colonello Tommaso De Cristoforis, rimangono 433 fra soldati e ufficiali italiani.
La battaglia di Dogali
L’eco di quella tragedia è enorme. Nel paese non si parla d’altro, sembra impossibile che l’esercito di un piccolo e sperduto paese africano possa aver umiliato una nazione come l’Italia. “Dogali”, come la definì molti anni dopo lo storico e diplomatico Sergio Romano, “fu un’esperienza demoralizzante”, tale da pregiudicare la fragile coesione nazionale. A Roma il consiglio comunale matura l’idea di tradurre in qualcosa di concreto e tangibile l’emozione e il rammarico che quelle morti hanno suscitato, così che delibera di realizzare un monumento che sia al tempo stesso memoria ma che rappresenti anche un’efficacia risposta alla già dilagante e violenta polemica anticoloniale.
IL MONUMENTO AI CADUTI DI DOGALI
Il progetto del monumento ai caduti di Dogali viene affidato all’architetto Francesco Azzurri che aveva già lavorato nella capitale, occupandosi di ristrutturazioni di chiese e ospedali. Questi, entusiasta dell’importante committenza, progetta un monumento che contenga elementi passati e presenti. Nello specifico, infatti, decide di utilizzare un obelisco egizio che alcuni anni addietro era stato rivenuto nei pressi della chiesa di Santa Maria sopra Minerva, a due passi dal Pantheon, dal celebre archeologo Rodolfo Lanciani.
La scelta di servirsi dell’antico obelisco, innalzato da Ramses II a Eliopoli e portato nella città eterna dall’imperatore Domiziano per arredare il Tempio di Iside al Campo Marzio, origina dalla volontà di dare, attraverso il lustro dei secoli, più onore possibile all’opera commemorativa.
L’obelisco di Dogali è collocato su un doppio basamento, per dare più slancio possibile e renderlo maggiormente visibile anche da grandi distanze, tanto che il monumento ha una lunghezza complessiva che supera ampiamente i sedici metri. Quello inferiore è a forma di stella, mentre quello intermedio è caratterizzato da quattro edicole sulle quali sono disposte altrettanti tavole in bronzo su cui sono riportati in nomi dei caduti.
Il monumento viene inaugurato il 5 giugno del 1887, festa dello Statuto, a pochi mesi dalla battaglia di Dogali. L’architetto, di comune accordo con l’amministrazione capitolina, sceglie di innalzarlo nella grande piazza antistante alla stazione Termini che per questo assume il nome di piazza dei Cinquecento, proprio in memoria dei morti i terra d’Africa, toponimo che ancora oggi mantiene e che rimane obiettivamente ai più di oscura origine.
L’inaugurazione, nonostante l’opera non sia del tutto completata, coincide con una grande celebrazione che vede la contemporanee partecipazione del sindaco di Roma, Leopoldo Torlonia, della coppia reale, della Giunta al completo nonché di molti esponenti del governo e di moltissimi cittadini.
Il primo cittadino della capitale pronuncia un discorso molto ampolloso in cui sottolinea come “quel granito egizio” esibisca il valore degli italiani, dimostrando come sappiano “morire, quando l’onore della bandiera nazionale impone il sacrificio della vita.”
Al netto, tuttavia, delle ridondanti parole pronunciate da Torlonia, il monumento decisamente non piace. E’ ritenuto da molti eccessivamente funereo e nonostante gli sforzi dell’Azzurri troppo piccolo, tanto che il re Umberto lo definisce, non senza un’avvertibile ironia, “un bel monumentino”. Un’inaugurazione, insomma, non certo da ricordare, preconizzante un futuro ancora più incerto per l’obelisco di Dogali.
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LO SPOSTAMENTO DELL’OBELISCO SOTTO IL FASCISMO
Nel 1925, infatti, il regime fascista decide, ufficialmente per ragioni urbanistiche, di spostare il monumento in una nuova sede, quella attuale per l’appunto. Motivazioni stilistiche a parte, la piazza come l’intera area della stazione è interessata da un ampio progetto di riqualificazione sostenuto dall’architetto Mazzoni, colui che conferisce alla stazione Termini l’attuale immagine, la decisione di spostare il monumento presenta anche ragioni politiche.
Per il virile e militarista regime fascista l’idea che al centro della piazza della nuova e rinnovata stazione vi sia il simbolo di una disfatta appare realisticamente inaccettabile. Molto meglio spostarlo, magari nasconderlo, celando, così, il ricordo di una pagina non certo gloriosa per lo stato italiano. L’8 maggio 1937, infine, viene scritta l’ultima. Mussolini in persona decide, dopo la conquista dell’Etiopia ad opera delle truppe italiane guidate dal maresciallo Badoglio, in una sorta naturale di rivalsa, di collocare ai piedi del basamento dell’obelisco il Leone di Giuda, simbolo dell’impero etiope che, seppur a distanza di molti anni da quel tragico 1887, è stato definitivamente piegato dal potere italiano.
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