Napoleone all’Elba arrivò da sconfitto; dall’Elba ripartì tentando di riconquistare il mondo. È stato generale, poi console e, all’acme del suo successo, imperatore; ma fu anche re di una piccola isola, il penultimo gradino di una vita straordinaria, tutta vissuta intensamente, da assoluto, incontrastato protagonista.

Stiamo parlando, ovviamente, di Napoleone Bonaparte, colui che, piaccia o no, ha cambiato la storia, scrivendola in prima persona e firmandola con il suo celebre monogramma.

Questa è la storia di uno degli episodi meno conosciuti della vita del grande còrso, il racconto di Napoleone re dell’Elba, l’isola dell’esilio.

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“MANDIAMOLO ALL’ELBA”, L’IDEA DI ALESSANDRO I

Sull’isola toscana Napoleone vi arriva il 3 maggio 1814, a bordo della fregata inglese Undaunted, ma non scende subito, lo farà solo il giorno dopo, alle 15.30 in punto, salutato da una salve di colpi di cannone nella rada di Portoferraio.

Agli occhi incuriositi degli elbani, che assiepano all’inverosimile la banchina davanti al molo, Napoleone sembra «uno dei tanti commercianti che arrivano dal continente e, anche se la traversata è breve, non vedono l’ora di mettere piede a terra». Un uomo, evidentemente, ben diverso dal leggendario generale che aveva piegato buona parte dell’Europa sotto il giogo francese.

L’idea di affidare un piccolo regno a Napoleone era stata presa dalle potenze vincitrici nel corso del trattato di Fontainebleau.

Il 6 aprile 1814 Napoleone firma la sua abdicazione, anche se l’imperatore, come ricorda la storica Alessandra Necci, «tenta di imporre agli alleati “l’abdicazione condizionata”, subordinandola all’incoronazione del figlio». (1)

Trekking sull'isola d'Elba: il panorama

Isola d’Elba: panorama


Quella proposta, però, cade nel vuoto e alla fine a Napoleone non resta che uscire di scena, una scelta non semplice, maturata dopo aver compreso che il perdurare della guerra avrebbe avuto ricadute pesantissime sulla Francia e sui francesi. Per questo nella lettera datata 4 aprile, con la quale si accomiata dal suo popolo, rinunciando per sé e per i suoi eredi ai troni di Francia e di Italia, sottolinea come quella decisione sia stata presa solo e soltanto nell’interesse della Francia.

Pochi giorni dopo, il 13 aprile, Napoleone accetta di diventare sovrano del principato dell’Elba, da cui, però, sono escluse le isole del Giglio, di Capraia e di Montecristo.

L’Elba non lo entusiasma, di quella isola persa nel mar Tirreno, conosce davvero poco e per questo fin da subito si informa, leggendo tutto ciò che può su quella terra. Avrebbe preferito la sua Corsica, ma non è possibile perché quella terra selvaggia, in cui è nato nel 1768, è un possedimento francese.

Poco prima di accettare quel piccolo regno, al generale Caulaincourt, con cui fissa gli ultimi dettagli dell’umiliante negoziato, incupito esclama: «io sono una particella di roccia lanciata nello spazio». (2)

Sulle prime Napoleone non ha la forza di firmare, vorrebbe prima sentire il parere di sua moglie, magari di suo figlio, il Re di Roma. Trova assurdo finire i suoi giorni confinato su una piccola isola, un luogo che molti ignorano, fra capre e minatori.

Ma alla fine, obtorto collo, accetta, riuscendo a strappare almeno la concessione per la consorte Maria Luisa del ducato di Parma, ma solo per lei, il figlio, infatti, rimane a Vienna, sotto la supervisione dell’imperatore d’Austria.

L’idea di concedere l’Elba a Napoleone era stata dello Zar Alessandro I, una “generosità” decisamente gratuita, visto che quel possedimento non era suo, ma del Granduca di Toscana Ferdinando, fratello dell’imperatore d’Austria, Francesco I.

La decisione, accompagnata anche dalla concessione di un appannaggio di due milioni di franchi per le spese di Napoleone, non trovò tutti d’accordo.

Contrari all’idea dell’Elba erano sia il francese Talleyrand, che Metternich, il primo ministro austriaco. Per il multiforme plenipotenziario transalpino, riciclatosi con il ritorno sul trono di Luigi XVIII, fratello del decapitato Luigi XVI, una simile concessione era poco prudente, perché, di fatto, si “esiliava” Napoleone a poche miglia dalla costa francese.

Dello stesso avviso Metternich, per il quale sarebbe stato molto più saggio relegare il “generale” in un’isola sperduta nell’oceano, magari a Sant’Elena.

Per gli inglesi, tuttavia, concedere l’Elba a chi aveva dominato mezz’Europa, sembrava una punizione perfetta, il miglior modo per umiliare colui che pensava di conquistare il mondo.

NAPOLEONE RE DELL’ELBA

Dall’Undaunted Napoleone quel 4 maggio scruta il volto selvaggio dell’isola d’Elba, che gli ricorda la sua amata Corsica, un’immagine che lenisce, solo in parte, l’indomita rabbia per la piega che ha preso la storia.

Fin dal primo giorno Napoleone prende però quell’incarico nel modo più serio possibile, come se non abbia mai fatto altro, come se quella terra in mezzo al mar Tirreno sia il migliore dei possedimenti possibili.

Casa di Napoleone Elba

A sinistra Busto di Napoleone scolpito da A. Canova – A destra la casa di Napoleone all’Elba


Sceglie, come residenza ufficiale, Villa dei Mulini, a Portoferraio, dove va a vivere solo dal 21 maggio. Non è la residenza ideale ma con delle modifiche può diventare più accogliente e degna dell’illustre ospite.

Come dimora privata, invece, opta per Villa San Martino che trasforma a suo piacimento, impreziosendola con una ricca biblioteca, motivo di vanto per l’imperatore e di stupore fra coloro che la vedono.

Ma all’Elba sono molte le cose che non vanno, a cominciare dalla pulizia. Le strade, specie quelle di Portoferraio, sono cumuli di immondizia, lasciata in terra anche per diversi giorni.

Per mettere fine a quell’assurda consuetudine Napoleone dispone che il pattume possa essere depositato davanti alle porte di casa solo dalle undici di sera alle cinque del mattino. Ordina, inoltre, che la spazzatura delle strade, dove non sarà più possibile collocare animali quali polli e maiali, spetti ai proprietari delle abitazioni che dovranno, in base a un calendario ben preciso, provvedere anche al lavaggio, rigorosamente con acqua dolce, «da attingersi presso i pozzi della caserma del Ponticello, dove c’è una piccola pompa».

Si tratta di disposizioni che nella sua Francia sarebbero normali ma lì, su quell’isola, sembrano davvero fantascienza. Non pochi mugugni crea l’ordinanza che stabilisce l’obbligo di pulire il pesce in luoghi specifici e che vieta, al contempo, ai «pizzicagnoli, bettolanti e salumai di gettare per le strade le acque di lavaggio delle loro merci».

La norma che probabilmente crea più malcontento è, tuttavia, quella relativa al vincolo per tutti i proprietari di abitazioni di realizzare, a loro spese, latrine, pozzi neri e canali dove convogliare le acque delle cucine e dei lavatoi, oltretutto entro il termine massimo di due mesi, pena pesanti sanzioni.

L’Elba in poche settimane cambia volto.

LA VITA DI NAPOLEONE SULL’ISOLA D’ELBA

I ritmi giornalieri di Napoleone all’Elba che ribattezza “il mio nuovo spazio” non cambiano. L’ex imperatore si alza la mattina molto presto, fa una parca colazione e poi esce a cavallo, scegliendo fra i 10 destrieri da sella e i 48 da traino che affollano le scuderie.

Prima di pranzo concede spazio ai ricevimenti che sospende, però, rigorosamente poco prima di mezzogiorno, quando si mette a tavola.

Napoleone isola d'Elba

La casa-museo di Napoleone isola d’Elba

Napoleone da anni consuma pasti rapidi e leggeri, perlopiù a base di verdura, stante i suoi atavici problemi di stomaco.

Dopo pranzo si concede ai suoi amati libri che legge avidamente nella biblioteca della villa. La lettura, insieme ai bagni caldi, un’abitudine a cui non rinunciava neppure nelle lunghe campagne militari, sono i pochi svaghi che si permette.

Le visite sull’isola sono poche. Napoleone per tutta la durata del suo esilio all’Elba spererà nell’arrivo di sua moglie e di suo figlio ma invano. In un momento di ottimismo scrive alla moglie di aver preparato per lei e per suo figlio un bell’appartamento, che sull’isola si sta bene e il clima è propizio e, se si riuniranno, lì su quell’isola potranno vivere serenamente. Ma è un anelito di speranza che cede rapidamente il passo allo sconforto, al triste realismo.

Napoleone è consapevole che non vedrà più sua moglie e ancor di più suo figlio, ormai prigioniero a Vienna, presso l’imperatore Francesco I. Sono le ferree regole del gioco.

A un collaboratore sconsolato dichiara: «Mia moglie non mi scrive più, mio figlio mi è stato tolto come si faceva un tempo con il figlio dei vinti che servivano a ornare il carro dei vincitori. Non esiste, nei tempi moderni, un altro esempio di tanta barbarie». (3)

A sbarcare all’Elba saranno, invece sua sorella Paolina, l’amante Maria Waleska, conosciuta durante un ballo a Varsavia e che sull’isola Napoleone incontrerà sempre con discrezione e, infine sua madre, da sempre la sua stella polare.

Maria Letizia Bonaparte sbarca all’Elba il 2 agosto 1814. Nonostante il caldo l’anziana donna trova l’isola bella e familiarmente selvaggia. Va a vivere presso Casa Vantini, non distante dalla Palazzina dei Villini.

Non si tratta di una semplice, fugace visita. Il temperamento della donna è arcinoto, Maria Letizia non si limita a soggiornare ma, come in passato, si assume delle responsabilità, prende decisioni, come quella di aumentare le tasse alla popolazione locale.

NAPOLEONE LASCIA L’ELBA, L’ULTIMO ANELITO DI LIBERTÀ

Nonostante abbia migliorato quell’isola Napoleone si sente un leone in gabbia. L’Elba gli sta stretta ma ancor più quella situazione di recluso. Per questo, quando viene a sapere che a Parigi fra la gente serpeggia il malcontento verso Luigi XVIII, inizia realmente a pensare alla possibilità di fare ritorno in Francia, eventualità che si tramuta in qualcosa di concreto il 7 dicembre 1814.

Isola d'Elba Napoleone

Isola d’Elba: vista dalla casa di Napoleone

È piena notte quando Napoleone riceve il conte Leonetto Cipriani, uno dei suoi fedelissimi. Questi, che per l’agitazione per tutta la durata del colloquio rimane in piedi, riferisce all’ex imperatore che da sue informazioni «il rapimento di Sua Maestà è deciso. Sarà attuato nelle prossime settimane, forse nei prossimi giorni». (4)

Quel breve incontro è risolutivo. Napoleone quella notte decide che lascerà l’Elba, non vuole certo finire in qualche luogo sperduto, magari a Sant’Elena, come agogna Metternich.

Studia con i suoi fedelissimi la possibilità della fuga. Non è una eventualità tanto remota, anche perché la vigilanza degli inglesi da qualche tempo si è decisamente allentata.

Il 16 febbraio 1815 scrive al generale Drouot ordinandogli di fare entrare il brigantino in darsena e di preparalo perché possa essere in grado di affrontare una prossima uscita in mare che duri non meno di tre settimane. Nella stessa lettera lo esorta a dipingerlo «come un brigantino inglese» a riarmarlo e a rifornirlo di ogni genere di conforto. Riso, biscotti, legumi, vino, formaggio e, ovviamente, l’acquavite, il tutto per un equipaggio di almeno 120 persone.

Il giorno della partenza si avvicina e arriva dieci giorni dopo quella lettera, il 26 febbraio.

Non si tratta di una fuga, in verità. Tutti sull’isola sanno che Napoleone a breve andrà via, i preparativi non possono non essere notati, forse qualche notizia giunge anche agli stessi inglesi, sta di fatto che quando verso mezzanotte di quel 26 febbraio 1815 l’imbarcazione su cui si trova Napoleone lascia per sempre l’Elba, nessuno fa nulla per fermarlo.

Poco prima Napoleone si era così congedato dai suoi sudditi, da quel popolo che aveva imparato ad apprezzate durante quei mesi:

«Abitanti dell’Elba, rendo omaggio alla vostra condotta. Laddove era all’ordine del giorno colmarmi di amarezza, voi mi avete circondato del vostro amore e della vostra devozione (…) Il vostro ricordo mi sarà sempre caro. Addio, abitanti dell’Elba! Vi amo, siete i valorosi della Toscana». (5)

Il 28 febbraio, dopo due giorni di viaggio, intorno a mezzogiorno, Napoleone rivede le coste francesi. Poi, senza sparare, come promesso, un solo colpo di fucile, arriva a Parigi, dove dà inizio all’effimera leggenda dei cento giorni, l’estremo tentativo di riconquistare la vetta del mondo.

Quel sogno impossibile svanisce il 18 giugno del 1815, nella piana fangosa di Waterloo.
Poi fu solo in mezzo al blu, nella lontana Sant’Elena, ancora un’isola nella vita di Napoleone, l’ultima della sua incredibile esistenza, il verbo finale del celebre verso manzoniano cadde, risorse e giacque.

I virgolettati, quando non sono espressamente citati, sono tratti da N di Ernesto Ferrero, edito da Einaudi.

(1) Alessandra Necci, Il prigioniero degli Asburgo. Storia di Napoleone II re di Roma, Marsilio, Venezia 2011, p. 23.

(2)Max Gallo, Napoleone. I cieli dell’impero, Mondadori, Milano 2000, p. 851.

(3) Alessandra Necci, Il prigioniero degli Asburgo, op. cit., p. 194.

(3) Max Gallo, Napoleone. I cieli dell’impero, op. cit., p. 881.

(4) idem, p. 884.

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