Passare una giornata fuori porta è abitudine di molte persone che vogliono rilassarsi ed abbandonare la vita frenetica di tutti i giorni. Una delle mete domenicali preferite dai residenti nella Capitale è sicuramente quella dei Castelli Romani o più propriamente detti Colli Albani, posti a sud-est di Roma. Qui è possibile scegliere tra i numerosi paesini che si susseguono senza soluzione di continuità, ognuno con le proprie caratteristiche e con le proprie peculiarità che li caratterizza: Frascati, Grottaferrata, Castel Gandolfo, Ariccia solo per citarne alcuni. Il paesaggio è costituito da un territorio boscoso e dai due laghi di origine vulcanica: il lago di Albano ed il lago di Nemi. Su quest’ultimo, il meno vasto di essi, si affacciano i paesi di Genzano e di Nemi, il comune più piccolo di tutta l’area conosciuto non solo per le fragoline di bosco, i fiori ed il panorama di cui si gode dai suoi 521 metri di altitudine, ma anche per il Museo delle navi romane di Nemi.
MUSEO DELLE NAVI ROMANE DI NEMI
Due scorci di Nemi: a sinistra il centro storico, a destra il lago con il Museo delle Navi Romane sullo sfondo
Il borghetto di Nemi è costituito da una parte alta più antica e da un breve corso su cui si aprono ristoranti e negozi di prodotti locali ma quello che è interessante ricordare è che qui passò molto del suo tempo l’imperatore Caligola, che governò Roma tra il 37 ed il 41 d.C., periodo breve ma così caratterizzato dal dispotismo e dalla mollezza che dopo il suo assassinio venne condannato alla damnatio memoriae, una pena prevista dal diritto romano che consisteva nella cancellazione di tutte le opere, le statue, le tracce lasciate da chi ne fosse colpito.
Proprio nel lago di Nemi furono rinvenute nella prima metà del Novecento due navi-palazzo appartenute all’imperatore e davvero interessante è la sistemazione che fu trovata per ospitare i due scafi. Si tratta dell’attuale Museo delle Navi Romane, un’opera realizzata con lo scopo di riparare dalle intemperie i relitti ritrovati e costruito durante il fascismo, che vale la pena di visitare soltanto per la sua stessa struttura mastodontica.
Che ci fossero due navi romane sul fondale limaccioso del lago di Nemi, presso i Colli Albani, si sapeva da secoli. Il recupero degli scafi impegnò negli anni generazioni di uomini che sognavano l’impresa di riportarle sulla terraferma. Più che di navi si trattava di vere e proprie corti galleggianti volute dall’imperatore Caligola per deliziarsi e passare ore piacevoli immerso in un incantevole paesaggio.
A sinistra la ruota di prua, al centro i resti dell’antica via romana, a destra frammento di pavimento in opus sectile rinvenuto nella prima nave
Già nel 1441 il cardinale Prospero Colonna affidò l’incarico del recupero dei due natanti a Leon Battista Alberti e fu proprio lo storico ed umanista Flavio Biondo a ricordare questo tentativo avvenuto tra il 1446 ed il 1447. Il primo scafo ad essere individuato da alcuni falegnami genovesi venne imbracato e sollevato con l’ausilio di funi ma ciò provocò la rottura di parte della prua.
Fallito questo tentativo ci si riprovò un secolo dopo, nel 1535, e stavolta l’impresa venne tentata dall’ingegnere bolognese Francesco De Marchi che si immerse egli stesso nel lago di Nemi utilizzando uno scafandro ante litteram, costituito da una una botte dotata di oblò ma in grado di lasciare liberi gli arti. Ciò gli consentì di fare i primi rilievi e di prendere le misure della prima nave.
Fra i frammenti recuperati dal De Marchi ve ne era uno interessante che riuscì a collegare lo scafo al nome dell’imperatore a cui appartenevano. L’ingegnere, difatti, rinvenne un tubo di piombo su cui era riportata la scritta Caesar Augustus Germanicus, il nome latino di Caligola appunto.
Dopo tre secoli ci provò ancora nel 1827 Annesio Fusconi a recuperare la nave ma anche questa volta i tentativi non fecero che produrre ulteriori danni di parte dello scafo. Nel 1895 fu l’antiquario Eliseo Borghi a ricevere l’incarico del recupero per conto degli Orsini, prìncipi di Nemi, e anche allora i tentativi furono fallimentari ma avvenne un fatto nuovo: la scoperta di una seconda nave. L’Ottocento, però, è ricordato principalmente per le spoliazioni e le depredazioni avvenute nei confronti di quanto rinvenuto. Vennero infatti asportate travi lignee, mosaici, una testa di Medusa, tegole di bronzo.
NAVI DI NEMI: DAL RECUPERO ALL’INCENDIO
L’interno del Museo delle Navi Romane di Nemi
Nel 1926 finalmente la svolta: venne istituita una commissione presieduta da Corrado Ricci per trovare una soluzione adatta al recupero delle navi. Si decise di far emergere i due scafi abbassando il livello del lago, attraverso un sistema di idrovore in grado di convogliare le acque lacustri nell’antico emissario del lago che sfociava nel mare di Ardea e che fu realizzato dai Romani per preservare dalle inondazioni l’adiacente Santuario di Diana Nemorense.
La struttura della prima nave cominciò ad emergere il 28 marzo 1929, la seconda il 3 settembre dello stesso anno. Subito dopo iniziarono i lavori di alaggio con la costruzione di una intelaiatura in grado di sollevare la prima nave e trascinarla a riva. Lo scafo venne fatto scorrere su delle rotaie e, giunto sulla sponda del lago, fu collocato sotto un hangar donato dall’Aeronautica Militare. Nel 1932 si concluse il recupero anche della seconda nave che fu posta accanto alla prima ma allo scoperto.
Il deterioramento ed il degrado degli scafi condussero alla decisione di costruire un ricovero per le due navi e l’architetto Vittorio Morpurgo offrì gratuitamente il suo contributo. Nell’ottobre del 1935 la struttura era quasi pressoché terminata nonostante la scoperta dell’antica via romana che passava proprio lì sotto e che conduceva al Santuario di Diana. Morpurgo decise di renderla visibile e di aprire il pavimento del museo sull’antico basolato che ancora oggi si osserva all’interno del Museo delle Navi Romane.
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Oltre alle due navi di 71.30 x 20 metri e di 73 x 24 metri vennero rinvenute ancore, timoni, marmi, mosaici e colonne che arredavano le due imbarcazioni e che ci danno l’idea della grandiosità delle stesse. Il primo natante era una nave-palazzo utilizzata da Caligola per dare ricevimenti e dilettare i suoi ospiti; la seconda nave, secondo studi recenti, era invece legata al culto della dea Diana. Le navi non ebbero molta fortuna, finirono difatti distrutte dopo la morte dell’imperatore Caligola colpito dalla damnatio memoriae. E la loro sfortunata sorte continuò.
Ultimato il primo museo in Italia costruito in funzione del contenuto, nel 1936 le navi di Nemi vennero esposte al pubblico per la prima volta ma la notte del 31 maggio 1944 si sviluppò un incendio probabilmente appiccato dai Tedeschi in fuga. Le navi finirono bruciate, si salvarono soltanto gli oggetti che erano stati trasferiti a Roma. Dopo la chiusura del museo nel 1966, lo stesso venne definitivamente riaperto nel 1988.
Il Museo delle Navi Romane oggi ospita nell’ala sinistra reperti originali e le copie delle due navi in scala 1:5 mentre nella parte destra sono presenti reperti archeologici dell’età del Bronzo e del Ferro nonché una sezione dedicata al Santuario di Diana.
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