Realizzata tra il 1562 e il 1563, Le nozze di Cana di Paolo Veronese rappresenta una delle opere più iconiche del pittore veneto, la cui storia, dalla committenza per il monastero veneziano di San Giorgio Maggiore al trasferimento al Louvre, è tutta da raccontare.

IL REFETTORIO PALLADIANO IN SAN GIORGIO MAGGIORE

Cosa farai quando sarai a Parigi?

È il 6 giugno del 1562 quando la ricca e potente congregazione benedettina di San Giorgio Maggiore a Venezia commissiona a Paolo Caliari, più noto come il Veronese, la decorazione del refettorio del monastero, le cui origini risalgono al 982 d.C., quando il monaco Giovanni Morosini ne inizia la costruzione sull’isola, in origine conosciuta con il nome di Memmia, dal nome della famiglia Memmo, proprietaria dell’area.

L’edificio diventa, in breve, un luogo prestigioso, teatro di importanti incontri, di cui sono protagonisti uomini politici ma anche altre figure di spicco della società dell’epoca e, anche per questo, i monaci vogliono fare le cose in grande.

L’idea è quella di decorare la parete di fondo del refettorio, ristrutturato, due anni prima, da un’autorità indiscussa: Andrea Palladio.

Questi provvede ad esaltare la maestosità della sala rettangolare, ponendo l’accento sull’illuminazione, ottenuta attraverso l’apertura di alcune finestre, capaci di diffondere una luce potente e nello stesso tempo armonica a tutto l’ambiente. Ma il Palladio mette mano anche al soffitto, realizzando una suggestiva volta a botte che, in corrispondenza della mezzeria del soffitto, si trasforma in crociera.

In questa fascinosa cornice, i cui richiami a quella classicità tanto amata dal Palladio sono piuttosto evidenti, si inserisce l’opera commissionata al Veronese, il cameo tanto agognato dai monaci.

 

 

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IL RACCONTO EVANGELICO DEL PRIMO MIRACOLO DI GESÙ

Il tema che il pittore sceglie per decorare la parete del refettorio è quello delle nozze di Cana, durante le quali, con la trasformazione dell’acqua in vino, Gesù compie il suo primo miracolo, tema con cui, due anni prima, si era misurato anche un altro grande artista veneto: Tintoretto che di Veronese fu una sorta di mentore. La vicenda è piuttosto nota e a raccontarla è Giovanni, nel secondo capitolo del suo vangelo.

Gesù e sua madre, mai menzionata dall’evangelista con il suo nome nel corso di tutto il racconto, sono stati invitati a uno sposalizio a Cana, in Galilea.

Cosa farai quando sarai a Parigi?

Il banchetto matrimoniale sta per terminare quando Maria fa notare a Gesù che il vino è terminato. Sulle prime Gesù sembra quasi stizzito, tanto da rispondere causticamente «che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora».

Poi, però, fa riempiere sei giare di pietra con l’acqua, ordinando, al contempo, di portarle al maestro di tavola per fargli assaggiare il contenuto, nel frattempo trasformatosi miracolosamente in vino.

E quando questi lo fa, la sua reazione è strabiliante.

Il maestro di tavola trova talmente buono quel vino da complimentarsi immediatamente con lo sposo, non solo per la qualità della bevanda ma anche per averla servita a fine del pasto, a dispetto dei moltissimi che, invece, servono il vino buono da principio, distribuendo quello meno pregiato a fine banchetto, approfittando della generale ebbrezza dei commensali.

LE NOZZE DI CANA, IL SIGNIFICATO DELLA GRANDE TELA DEL VERONESE

Paolo Caliari, che per la realizzazione dell’opera riceve ben 324 ducati, oltre che vitto e alloggio, impiega pochi mesi per terminare il dipinto e il risultato è decisamente grandioso.

Con le Nozze di Cana del Veronese siamo di fronte a una tela non solo suggestiva per le dimensioni – 666×990 cm – ma, soprattutto, per lo stile impareggiabile. Agli occhi di coloro che la vedono per la prima volta quel telero appare come la naturale prosecuzione della sala palladiana.

Veronese concepisce una scena nuziale magniloquente, proiettando, però, il racconto evangelico nella realtà veneziana. Non un banchetto biblico ma uno sposalizio suntuoso, a cui prende parte l’opulenta società veneziana, una fotografia ante litteram dell’epoca, superbamente trasferita su tela.

Le nozze di Cana

Le nozze di Cana, particolari

Le vesti sfavillanti, le preziose stoviglie, i cibi succulenti, tra cui le mele cotogne, simbolo fin dall’antichità di fecondità e amore, sono i tratti salienti di quell’ostentata potenza.

La scena, inserita nell’ambito di una suggestiva architettura classica, che rimanda, inevitabilmente, allo stile neoclassico del Palladio, si colloca su due livelli ben distinti, nettamente divisi dalla balaustra centrale, la cui orizzontalità si contrappone alla verticalità delle colonne in un riuscitissimo gioco prospettico.

Nel piano superiore abbiamo la rappresentazione di un cielo azzurro striato da candide nuvole, al di sotto delle quali si muovono le poche figure dei domestici; ma è nel livello sottostante alla balaustra che si snoda il racconto evangelico, attraverso una narrazione potentemente dinamica che vede nella miriade di personaggi che animano la tela i protagonisti assoluti.

In primissimo piano ci sono i musici, in procinto di allietare gli ospiti con i loro strumenti, le cui fattezze furono, fin da subito, oggetto di un particolare studio. Nel XVIII secolo il conte Anton Maria Zanetti, incisore e mercante d’arte, sostenne che Veronese avesse rappresentato non solo sé stesso, nel musico vestito di bianco, ma anche due altri colossi della pittura e suoi contemporanei: Tiziano, nel suonatore di contrabasso e Tintoretto, nel personaggio vestito di verde.

Dietro quei musicisti si anima il banchetto vero e proprio, con al centro della scena Gesù e, alla sua destra, Maria, gli unici personaggi, in quell’affollata e brulicante rappresentazione teatrale, a rimanere del tutto imperturbabili. Maria perché è consapevole delle capacità del figlio; Gesù perché ha già operato la trasformazione dell’acqua in vino.

Di quel miracolo, tuttavia, nessun sa nulla, eccezion fatta per i domestici che hanno versato l’acqua tramutatasi in vino. Ma questo non importa, ciò che conta è il risultato finale, quel vino vermiglio che esce da una delle giare afferrate da uno dei servitori, in basso a destra della scena e che compare anche nel bicchiere di un soddisfatto coppiere, proprio dietro il servitore e in quello che un domestico di colore tende a un compiaciuto sposo.

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LE NOZZE DI CANA AL LOUVRE, STORIA DI UN TRAFUGAMENTO

Da più di duecento anni Le nozze di Cana si trova in uno dei più famosi musei del mondo, il Louvre, collocata davanti al più celebre dei dipinti presenti in quello scrigno d’arte: la Gioconda.

Ma come è giunta l’opera del Veronese a Parigi? Semplice, è stata trafugata.

Al contrario dell’illustre dirimpettaia, che in Francia ci arriva portata dal suo autore, il geniale Leonardo da Vinci, Le nozze di Cana giunge a Parigi dopo una vera e propria opera di spoliazione messa in atto dalle truppe guidate da un ambizioso generale, Napoleone Bonaparte, all’indomani della calata in Italia.

È l’11 settembre del 1797, la Repubblica di Venezia non esiste più da alcuni mesi, da quando l’ultimo doge, Ludovico Manin ha lasciato per sempre la Laguna e per Le nozze di Cana, a suo tempo definita dal Vasari un’opera «meravigliosa per grandezza, per numero di figure e per varietà d’abiti e per invenzione» scocca  la sua ultima ora veneziana.

A seguito del trattato di Campoformio fra Francia e Austria, Venezia è sottoposta a una vera e propria razzia di opere d’arte e nel bottino di quella guerra finisce anche la tela del Veronese che approda al Louvre, dopo un viaggio periglioso, durato dieci mesi.

Nozze di Cana del Veronese

Nozze di Cana, particolari

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Sarà ancora una guerra a segnare la storia del dipinto del Veronese ed è quella combattuta sui fangosi campi intorno a Waterloo, dove viene definitivamente ammainato il vessillo di Napoleone, sconfitto dagli eserciti guidati dal Duca di Wellington e dal feldmaresciallo Gebhard Leberecht von Blücher.

Per Napoleone si schiude l’ultimo esilio nella sperduta isola di Sant’Elena; per molti capolavori sottratti durante gli anni delle guerre napoleoniche, si spalancano, invece, le porte per un ritorno nei luoghi di origine.

Sono circa 5000 le opere che lasciano Parigi per tornare a casa, ma non Le nozze di Cana, nonostante l’immane sforzo di Antonio Canova, incaricato dal papa Pio VII di trattare con il nuovo governo francese il ritorno delle opere trafugate.

Rientrano capolavori quali l’Apollo del Belvedere, lo splendido gruppo scultoreo del Laocoonte ma anche opere di Raffaello, Perugino, Tiziano, Tintoretto, persino i cavalli di bronzo del pronao della chiesa di San Marco a Venezia ma non il capolavoro di Veronese.

La motivazione ufficiale, data dal responsabile del Louvre, Vivant Denon, ad Antonio Canova per non restituire Le nozze di Cana, è che l’opera è troppo fragile per sopportare un nuovo distacco e soprattutto l’ennesimo viaggio.

Una spiegazione apparentemente ineccepibile, ma, di fatto, non veritiera, visto che l’opera sarà in seguito spostata ben due volte. La prima nel 1870, in occasione della guerra franco-prussiana; la successiva durante il secondo conflitto mondiale.

Denon, probabilmente in difficoltà per non aver assecondato non tanto le richieste papali quanto quelle di un grande artista come Canova, si fa perdonare concedendo altro dipinto, peccato sia ben altro valore.

Si tratta della Festa in casa di Simone, di Charles Le Brun, opera del 1653 che il critico inglese, John Ruskin, definì «buono al massimo per fare da cassa da imballaggio.»

A proposito delle Nozze di Cana così ebbe a scrivere Gino Damerini nel suo L’isola e il cenobio di San Giorgio Maggiore:

«Illusionista di genio nell’interpretazione della spazialità architettonica, ambientando a sua volta il tema sacro in una scenografia teatrale, per movimento di piani, disposizione al modo di quinta delle architetture (inequivocabilmente palladiane) sul fondo di cielo chiaro che apre la parete, studiatissima regia dei movimenti di gruppi di figure, e tutto entro un’esaltazione di colori timbrici luminosissimi…»

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Foto di copertina:
Paolo Veronese, Public domain, via Wikimedia Commons
Foto interne:
Paolo Veronese – The Marriage at Cana (detail) e Paolo veronese, le Nozze di Cana, 1563-62, Public domain, via Wikimedia Commons
Paolo Veronese, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons



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