L’Umbria è un prezioso fazzoletto di terra, un piccolo paradiso di sapori antichi, di passaggi artistici, di scenari da brivido e chi ha la fortuna di visitarla non può mancare di annotare sul proprio taccuino le sensazioni che offre l’antica Orvieto, la città che si erge a 325 metri di altezza su un masso tufaceo ovale e che domina la pianura del fiume Paglia in un intreccio di vicoli, piazze, abitazioni, chiese e palazzi civili di pregevole fattura. Questo piccolo comune umbro racchiude brandelli di storie passate, di scontri tra guelfi e ghibellini, di papi che qui hanno dimorato e di famiglie in lotta che si sono avvicendate tra le pietre della sua architettura. La pulizia, l’ordine e la cura per il dettaglio lasciano davvero sbalorditi, ogni angolo ed ogni strada sono sistemati con accuratezza, le aree pedonali consentono di passeggiare senza l’ingombro ed i rumori delle macchine, il silenzio rotto dal vociare delle persone avvolge il luogo in un’atmosfera sospesa ed irreale.
COSA VEDERE A ORVIETO
L’area su cui sorge Orvieto doveva essere abitata dagli Etruschi già nell’VIII secolo a.C. e proprio sotto di essi il suo nucleo urbano crebbe, trasformandosi ben presto in una fiorente città cosmopolita dall’economia sviluppata. Secondo alcune ipotesi, Orvieto sarebbe stata edificata in prossimità del Fanum Voltumnae, il luogo sacro in cui si officiavano i riti religiosi e in cui si riuniva la lega delle città etrusche per prendere le decisioni più importanti. Quando nel 264 a.C. la città venne distrutta dai Romani iniziò un periodo cupo di decadenza che finì paradossalmente soltanto con l’arrivo dei barbari in Italia; basti ricordare che i Longobardi istituirono qui il Ducato di Spoleto, che sopravvisse due secoli prima di venire spazzato via dai Franchi. Nei secoli successivi, dopo l’aspro scontro tra la famiglia guelfa dei Monaldeschi e quella ghibellina dei Filippeschi, ricordato anche da Dante nel Purgatorio, Orvieto passò al controllo dello Stato Pontificio.
Visualizza questo post su Instagram
I papi, i vescovi ed i prelati soggiornarono qui per alcuni periodi poiché la città rappresentava una sicurezza ed una difesa certa dai possibili attacchi che potevano provenire dall’esterno. Nel 1495 fu un ottimo riparo per papa Alessandro VI e poi nel 1527 per papa Clemente VII che fuggì dalla Capitale durante il sacco di Roma operato dai Lanzichenecchi, calati dal nord per mettere a ferro e fuoco la città. Dal punto di vista artistico fu tra il Duecento ed il Cinquecento che Orvieto cambiò la sua fisionomia, vedendo edificati i monumenti che oggi la caratterizzano e che attraggono numerosi visitatori. È soprattutto nel XIII secolo che si innalzarono numerose chiese in stile romanico, il Palazzo del Popolo e numerosi palazzetti privati. Poi fu la volta dello stile gotico che vide la sua massima realizzazione nel Duomo, sorto per celebrare il Corpus Domini, il sanguinamento dell’ostia che si verificò durante una celebrazione avvenuta a Bolsena.
Duomo di Orvieto
Il Duomo di Orvieto appare imponente nella vasta piazza che lo ospita, un mirabile edificio che celebra il miracolo eucaristico e che, nella Cappella del SS. Corporale affrescata con gli avvenimenti del miracolo accaduto a Bolsena, custodisce il prezioso reliquiario in oro ed argento. Con la sua altezza e la sua maestosità, il Duomo di Orvieto è uno degli esempi più fulgidi di arte gotica italiana che vide l’inizio della sua costruzione nel 1290, anche se il periodo di gestazione durò tre secoli, periodo in cui si osservò un’alternanza di maestranze, architetti e pittori. Quando si cominciò a tirar su la chiesa si pensò di realizzarla in stile romanico con tre navate ed un’abside semicircolare ma nei primi anni del Trecento avvenne la trasformazione in stile gotico con l’innesto degli archi rampanti e le tre cuspidi innestate sulla facciata che riportano, nel dorato delle tessere musive, scene di vita di Gesù e della Madonna. La policromia del Duomo è sorprendente e la sua facciata, alta 52 metri e larga 40, sembra un organismo a se stante, quasi appoggiata allo scheletro della chiesa. In un equilibrio di intrecci di linee verticali ed orizzontali si apre il bellissimo rosone centrale realizzato nel Trecento da Andrea di Cione detto l’Orcagna. L’interno colpisce per l’immensità dello spazio che conduce lo sguardo sull’altissimo finestrone in vetro policromo suddiviso in 48 riquadri.
Orvieto, cappella di San Brizio
Un’attenzione particolare si deve avere per la stupefacente Cappella di San Brizio, costruita nella prima metà del Quattrocento ed affrescata da Beato Angelico, Benozzo Gozzoli, Luca Signorelli. In essa spiccano i Fatti dell’Anticristo con le grandi scene mirabili della salita degli eletti e la discesa dei dannati all’inferno e poi Minosse, Caronte, il ritratto di Dante e di Virgilio.
IL POZZO DI SAN PATRIZIO
Il pozzo di San Patrizio a Orvieto
Ma Orvieto non è soltanto il Duomo, è anche l’attiguo complesso dei palazzi papali, la storica piazza con il Palazzo del Popolo che ricorda l’epoca comunale della città e che era il luogo privilegiato in cui si riunivano i cittadini per sbrigare i loro affari o partecipare alle assemblee e ai consigli, è la chiesa di San Giovenale, la chiesa di Sant’Andrea con la particolarissima torre merlata, è la trecentesca fortezza Albornoz costruita per volere di papa Innocenzo VI in difesa della città e poi è anche uno dei monumenti più citati nel parlar comune: il pozzo di San Patrizio, quella fonte inesauribile e misteriosa di ricchezza. Capolavoro dell’ingegneria rinascimentale, il pozzo venne costruito per volontà di papa Clemente VII, fuggito da Roma nel 1527 dopo il sacco dei Lanzichenecchi. Il pontefice, spaventato dalla furia nemica, riteneva la città di Orvieto più sicura per via della sua posizione isolata e sovrastante la pianura del Paglia. Per rendere la città autosufficiente in caso di assedio prolungato, decise di migliorare l’approvvigionamento idrico della località umbra interessando l’architetto Antonio da Sangallo il Giovane.
La costruzione del pozzo di San Patrizio a doppia spirale avvenne su un canale sotterraneo d’acqua in modo che si potesse attingere direttamente alla preziosa fonte idrica. Il cilindro del pozzo, alto 53 metri e largo 13, presenta 70 finestroni sovrapposti che consentono di illuminare l’interno. Ma quello che è ritenuto il capolavoro del Sangallo sono le due scalinate elicoidali indipendenti e sovrapposte di 248 scalini ciascuna. Una serviva per scendere, l’altra per salire in modo che gli asini che portavano in superficie le otri d’acqua non si incontrassero e scontrassero con quelli che calavano per riempirle.
Il pozzo della Rocca, così si chiamava quando venne terminato nel 1537, ben presto fu accostato alla figura del santo irlandese Patrizio, sceso in una caverna attraverso cui si accedeva all’inferno. Il mito della discesa agli inferi era molto in voga nel periodo medievale, basti pensare a Dante, ma questi viaggi leggendari nel mondo ultraterreno erano ancora presenti nella cultura popolare e colta del Cinquecento tanto che, poco dopo la sua costruzione, il pozzo prese il nome di San Patrizio, il santo irlandese sceso appunto al limite delle porte degli inferi, come scendeva in profondità l’opera del Sangallo, per convincere i miscredenti dell’esistenza della pena eterna.
Potrebbe interessarti anche:
Leggi anche: Tuscia Viterbese: 6 borghi da non perdere Cellere, il museo del Brigantaggio e la Chiesa di Sant’Egidio Cascia e Santa Rita, paesaggio e religione nell’incantevole Umbria