È il 18 dicembre del 1976 e a Santiago del Cile si disputa la finale della Coppa Davis, il campionato di tennis più prestigioso al mondo riservato alle squadre. La situazione politica internazionale è decisamente elettrica, si gioca la partita nello stadio accanto a quello in cui sono stati detenuti migliaia di prigionieri politici. Così l’evento sportivo è destinato a mescolarsi inevitabilmente con quello politico, accendendo nei mesi precedenti un intenso dibattito anche nel nostro paese circa l’opportunità di schierare la nostra squadra nella partita decisiva. Facciamo un passo indietro.

L’Italia a settembre ha sconfitto in semifinale la squadra australiana, conquistando il quinto e decisivo incontro sui campi di terra rossa del Foro Italico. È Adriano Panatta, vessillo della nostra nazionale, a portare a casa il punto che ci consente di arrivare in finale. Il 26enne tennista romano ha una forma straordinaria ed ha già conquistato gli Internazionali d’Italia ed il Roland Garros a Parigi. Dall’altra parte del tabellone si trova il team cileno che ha battuto a tavolino l’URSS. Il governo sovietico, però, ha deciso di ritirare la squadra per protestare contro la dittatura dello stato sudamericano , consentendo al Cile di giungere direttamente in finale.

LE MAGLIETTE ROSSE DI PANATTA E BERTOLUCCI

Da tre anni il generale Augusto Pinochet è salito al potere in Cile, dopo aver rovesciato il legittimo governo del socialista Salvador Allende. È l’11 settembre del 1973 quando alle 8.30 del mattino i carri armati circondano il palazzo de La Moneda, lo stabile in cui si trova il leader marxista Salvador Allende. Quando inizia l’attacco aereo il presidente cileno decide di uccidersi sparandosi con il kalashnikov che si trova all’interno del palazzo presidenziale, un regalo del suo amico Fidel Castro. Pinochet, quindi, sostenuto dagli Stati Uniti in funzione anticomunista, prende le redini del paese e dà avvio ad un periodo di repressione che prevede lo scioglimento di tutti i partiti di opposizione e l’arresto e la reclusione di dissidenti ed oppositori politici, che vengono sistematicamente detenuti nella più grande prigione del paese, quella dello Stadio Nazionale in grado di accogliere almeno 4.000 persone. Molti sono i morti e molti i desaparecidos. Il paese è dilaniato da violenze, sparizioni, torture e ciò a cui punta la giunta militare di Pinochet è riscattare l’immagine del paese sfruttando l’evento sportivo della Coppa Davis. La giunta militare ha bisogno di riaccreditarsi agli occhi degli organi internazionali.

PANATTA E QUEL GESTO DI SFIDA CONTRO IL REGIME DI PINOCHET

Nel nostro paese si discute circa l’opportunità di giocare i cinque incontri della finale di tennis, quattro singoli ed un doppio, nel paese sudamericano governato dalla dittatura. Il dibattito in Italia è feroce. Da una parte c’è la volontà di partecipare alla finale con la squadra più forte che il paese abbia mai avuto: Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Antonio Zugarelli, Paolo Bertolucci e Nicola Pietrangeli, come capitano non giocatore. Dall’altra c’è il fattore politico, una dittatura militare che, secondo molti, deve essere isolata dal resto del mondo e deve essere delegittimata agli occhi degli organismi internazionali. Per tale motivazione, la migliore arma non può che essere quella attuata dall’URSS: il boicottaggio.

Il segretario del PCI, Enrico Berlinguer, fa parte di quei politici che si schierano contro la partecipazione dell’Italia al match decisivo. Molti dei giornali nazionali  prendono posizione e vorrebbero che i nostri tennisti disertassero la finale, ritenendo un dovere morale rinunciare alla competizione pur di dare un segnale forte e tangibile alla dittatura cilena. Serve, dicono, una presa di posizione politica eclatante, un boicottaggio in grande stile. Dalle piazze si levano cori come ‘Non si giocano volée con il boia Pinochet’ oppure ‘Panatta milionario-Pinochet Sanguinario’. Comincia a circolare il falso mito di un Panatta borghese e fascista. In fondo, il giovane tennista romano si è formato al circolo tennistico dei Parioli e già questo basta ad etichettarlo. In realtà si tralascia il fatto che Panatta in passato abbia avuto possibilità di frequentare quel circolo semplicemente perché il padre lavorava lì come custode.

Lo stesso capitano della Nazionale, Nicola Pietrangeli, viene minacciato di morte telefonicamente, gli viene dato del fascista perché qualche giorno prima alla radio, in un confronto con l’allora Ministro degli Esteri in quota PCI, Gian Carlo Pajetta, ha sostenuto che l’Italia deve esserci a Santiago, deve giocare la sua partita. Mentre il governo Andreotti si astiene dal prendere una posizione ed il CONI e la Federazione Italiana Tennis temporeggiano, il Partito Socialista ed il Partito Comunista presentano un’interrogazione parlamentare. Si cerca l’isolamento politico del Cile di Pinochet. Alla fine si ha la risoluzione ed è lo stesso Berlinguer a sbloccare la situazione di stallo. Il segretario del Partito Comunista Italiano, infatti, riceve una lettera sottoscritta dai rappresentanti del partito comunista cileno, i quali chiedono a gran voce che l’Italia partecipi per non lasciare la vittoria al governo dittatoriale. Pinochet potrebbe sfruttare la vittoria in Coppa Davis per esaltare il suo governo, evidenziando, attraverso la propaganda, la forza e l’invincibilità del regime.

Il dittatore cileno Augusto Pinochet

Augusto Pinochet. Ministerio de Relaciones Exteriores de Chile, CC BY 2.0 CL, via Wikimedia Commons

Così la squadra italiana vola verso il Cile e si prepara al grande evento. Il 17 dicembre 1976 Corrado Barazzutti ed Adriano Panatta scendono in campo per i primi due singolari, che si aggiudicano abbastanza agevolmente. L’Italia, dopo il primo giorno è già 2 a 0 e le manca soltanto un punto per portare a casa l’insalatiera d’argento. Punto che già potrebbe arrivare con il doppio che si disputerà il giorno successivo. Il 18 dicembre 1976, infatti, devono scendere in campo Panatta e Bertolucci per giocare la terza gara in programma e, la mattina, il tennista romano chiede al suo compagno se abbia, tra gli indumenti tecnici portati dall’Italia, una maglietta rossa. Bertolucci, che ha intuito le intenzioni di Panatta, risponde: “Non fare il matto come al solito. Qua ci arrestano”. Il rosso, infatti, è il colore dei fazzoletti delle donne che scendono in piazza per chiedere alla dittatura notizie sui loro mariti, fratelli e figli scomparsi. Il rosso è, dunque, il colore della sfida, il simbolo che l’Italia ha deciso di giocare con la consapevolezza di quanto sta avvenendo in quel lembo di Sud America, solidarizzando con le vittime ed i loro parenti.

Con quelle magliette rosse, l’Italia scende in campo per conquistare il torneo anche se le immagini dell’incontro trasmesso dalla RAI sono in bianco e nero. L’Italia vince per la prima volta la Coppa Davis, chiudendo il terzo incontro decisivo in quattro set. Il governo cileno presenta ufficiale protesta verso l’Italia per quel gesto mentre i tennisti italiani, senza una particolare attenzione da parte dei cittadini e della stampa, tornano nel nostro paese con l’insalatiera. Nessuno in Italia parla di quelle magliette rosse. Quel gesto passa del tutto inosservato.

“Io non mi prendo nessun merito sportivo, perché in campo ci vanno i giocatori. Ma mi prendo il merito, e non lo divido con nessuno, di averli portati a Santiago”, questo dice Pietrangeli ricordando quell’esperienza. Sapeva che l’Italia avrebbe potuto vincere la Coppa Davis e si è battuto perché la sua squadra potesse arrivare a giocare la finale. Sapeva che Ascenzietto, questo il soprannome di Panatta, ed i suoi compagni avrebbero conquistato la Davis per la prima volta nella storia del tennis.

Foto di copertina: Roma, 24 dicembre 1976. Da sinistra: la squadra italiana di Coppa Davis — da sinistra: il capitano non giocatore Nicola Pietrangeli, Paolo Bertolucci, Adriano Panatta e Corrado Barazzutti — al rientro in Italia dopo la vittoriosa finale di Coppa Davis 1976 in Cile. ANSA. The original uploader was Danyele at Italian Wikipedia, Public domain, via Wikimedia Commons

 

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