A chiamare è direttamente Pier Paolo Pasolini. Al telefono chiede se può parlare con Totò. Una strana richiesta, decisamente singolare, visto che nessuno si rivolge al grande attore napoletano con il suo nome d’arte. Appellativi a parte, Pasolini chiede a Totò se può incontrarlo, vuole proporgli un progetto cinematografico: Uccellacci e uccellini. Alcuni giorni dopo il regista, siamo nell’estate del 1965, accompagnato da un giovane e ruspante Ninetto Davoli, si presenta a casa del comico. Totò prima di quell’incontro si mostra decisamente nervoso. I motivi? Tanti.
L’INCONTRO TRA PASOLINI E TOTÒ: GENESI DI UCCELLACCI E UCCELLINI
Pasolini e Totò sono abissalmente differenti per età, cultura, idee politiche, vita privata, scelte professionali e, principalmente, gusti sessuali. Totò è a conoscenza dell’omosessualità del regista, un aspetto che, pur non volendo giudicare, lo mette tuttavia a disagio. Per un conservatore e tradizionalista come lui l’omosessualità è incomprensibile, distante anni luce dal suo comune pensare. Ma a creargli imbarazzo è anche la preparazione culturale di Pasolini, al punto di temere, come confida alla compagna Franca Faldini, che il regista durante quell’incontro possa sottoporlo a un fuoco di fila “filosofico-letterario”.
Quando il campanello di casa De Curtis suona, l’agitazione lascia il passo allo stupore. Pasolini non si presenta da solo. Con lui c’è anche un ragazzo con i capelli folti, neri e ricci. A lasciare di stucco l’attore è l’abbigliamento decisamente insolito del giovane. Se Pasolini veste un’impeccabile giacca con tanto di cravatta abbinata, Ninetto Davoli, all’epoca sedicenne, indossa dei jeans sporchi e sgualciti. I tre si trasferiscono in salotto dove viene servito il caffè. È un incontro piuttosto singolare, dominato dal silenzio, “rotto di tanto in tanto da qualche osservazione sbocconcellata, tra le più banali, di quelle che si fanno giusto per non tacere, e dal ronzio di un moscone contro la finestra che, nel silenzio, sembrava il rombo di un reattore”. (1)
Uccellini Uccellacci, una scena con Totò e Ninetto Davoli
Totò e Pasolini stanno vivendo momenti professionali totalmente differenti. Se il regista ha alla spalle, dopo il suo primo film Accattone del 1961, altri due capolavori come Mamma Roma e Il Vangelo secondo Matteo, Totò, invece, viene da un periodo decisamente poco edificante. I suoi ultimi film non sono certo da ricordare, eccezion fatta per La Mandragola di Alberto Lattuada, in cui veste i panni di frate Timoteo, interpretazione che gli vale la nomination ai Nastri d’argento quale migliore attore non protagonista.
In quei giorni ha terminato le riprese di Rita, la figlia americana. Si tratta molto probabilmente del peggior film di Totò, in cui neppure le sue proverbiali battute riescono a salvare un prodotto assolutamente scadente. La pellicola, diretta da Pietro Vivarelli, con Rita Pavone nella parte di Rita D’Angelo, una ragazzina adottata dal professor Stefano Benvenuti, il personaggio interpretato da Totò, uscirà nelle sale italiane nel dicembre di quello stesso 1965, proprio mentre Totò sta partecipando alle riprese di Uccellacci e Uccellini. Rita, la figlia americana viene verrà giustamente stroncato dalla critica, per la quale il grande comico è stato “ingabbiato in una commediola pessima e priva di senso”.
Ma torniamo a quel pomeriggio d’estate nella casa del comico napoletano. Quel primo, singolare incontro fra Totò e Pasolini dura poco più di un’ora. Del futuro film, nato da alcuni soggetti pubblicati da Pasolini sulla rivista Vie Nuove, si parla poco o nulla. A prevalere sono i silenzi, gli sguardi muti, i sorrisi imbarazzati.
Si tratta, come ricordò anni dopo Franca Faldini, dell’incontro fra due timidi. Totò accetta l’offerta di Pasolini. Ha capito poco, in verità, di quello strano film di cui sarà il protagonista insieme a quel giovane riccioluto, ma vuole dare fiducia a quel regista così diverso dai tanti che aveva conosciuto nella sua trentennale carriera.
Dopo aver congedato i due ospiti, Totò si arma di una bomboletta di DTT che spruzza generosamente sulla poltrona dove era stato seduto Ninetto Davoli. Più tardi a cena si sfoga. “Porca miseria, i jeans zozzi mi fanno schifo. Mica dico che uno debba mettersi in frac ma almeno, se proprio l’esterofilia gli impone di portarli, che siano di bucato”. (2)
Ottenuto il sì di Totò bisogna mettersi alla ricerca dei fondi e come al solito quel gravoso compito spetta ad Alfredo Bini, amico e già produttore di Pasolini. Ecco il suo ricordo. “Fu come al solito difficile trovare dei finanziatori e convincere distributori e noleggio: proponevo come protagonisti Totò, che nessuno vedeva più come un attore di grande successo, e Ninetto Davoli, giovane amico di Pasolini. Inoltre il soggetto sembrava fatto per tenere il pubblico lontano dalle sale: la crisi dell’ideologia”. (3)
TOTÒ, IL CORVO E IL SET DI UCCELLACCI E UCCELLINI
Alla fine i soldi arrivano. Non sono molti ma sufficienti per iniziare le riprese che partono nell’autunno di quello stesso 1965. Totò sul set sembra rinato. Si affida totalmente a Pasolini. Ha girato decine di film facendo affidamento sulla sua straordinaria improvvisazione e ora, invece, si fa dirigere senza fiatare. Così Totò parla delle riprese in un’intervista: “quello che lui mi dice faccio. Ho una gran fiducia nella sua cultura, nella sua preparazione”. (4)
Il corvo in Uccellacci e Uccellini
L’unica richiesta che il grande attore avanza è quella di rendere inoffensivo il corvo presente in molte scene del film. La soluzione la trova Alfredo Bini. “Totò era già malato, vedeva pochissimo e aveva una paura tremenda del corvo che lo accompagnava nel film. Probabilmente la bestia sentiva la necrosi dell’occhio, e quando Totò gli si avvicinava, provava a beccarlo sul viso. Del nastro isolante nero risolse la situazione; glielo legavo al becco strettissimo ogni mattina, e così non tentò più di beccarlo, perché si sentiva il becco impastoiato”. (4)
Corvo a parte, le riprese di Uccellacci e uccellini sono decisamente impegnative per Totò che ha già sessantotto anni e una saluta precaria. Il film è girato prevalentemente in esterna, fra le campagne intorno Roma e Tuscania. Totò in diverse riprese deve camminare con degli zoccoli non proprio agevoli e talvolta è costretto per esigenze di copione addirittura a correre su terreni spesso fangosi, con il solo saio indosso.
La fatica si fa sentire ma Totò è soddisfatto e alla sera a cena, di ritorno dal set, stanco e infreddolito, è prolifico di racconti con Franca. Racconta delle scene girate, di quel sodalizio con Pasolini che sta sempre più crescendo, frutto di reciproco rispetto e comprensione. A Totò quel regista piace. Apprezza il suo modo di fare cinema, le sue idee, la sua sussurrata poesia.
Totò chiama Pasolini semplicemente Pierpà e gli da del tu. Una rarità visto che di norma ha sempre dato del lei ai suoi registi, chiamandoli sempre con il cognome. Il film al botteghino, come facilmente vaticinato, è un flop, il peggior incasso fra tutte le pellicole di Totò. Ben diversa è l’accoglienza del pubblico francese che vede il film direttamente in tv, una sorta di Netflix ante litteram, manifestando un deciso compiacimento.
Quasi unanime è anche il consenso della critica, alla quale Uccellacci e uccellini, al netto di qualche imperfezione e qualche errore nel montaggio, piace. Alberto Moravia scrive che il film “contiene alcune tra le cose più belle di Pasolini”. Mario Verdone sottolinea, invece, la grande trovata di “affidare a Totò il ruolo di frate Ciccillo”. Molti apprezzano la prova di Totò, in equilibrio fra favola e realtà. Il Festival di Cannes gli riconosce un premio speciale e per Totò arriva pure il prestigioso Nastro d’Argento come migliore attore protagonista e un Globo d’oro da parte dei critici internazionali.
Uccellacci e uccellini è stato il film più amato da Pasolini, forse perché il più fragile e imperfetto ma anche il più poetico, tenero e surreale in cui Totò fu straordinario, ma di questo il regista era certo.
“Ho scelto Totò per la sua natura, diciamo così, doppia. Da una parte c’è il sottoproletariato napoletano, e, dall’altra c’è il puro e semplice clown, il burattinaio snodato, l’uomo dei lazzi e degli sberleffi. Queste due caratteristiche insieme mi servivano a formare il mio personaggio”. (5)
Pasolini e Totò lavoreranno ancora insieme per l’episodio La terra vista dalla Luna del film Le streghe e per Che cosa sono le nuvole?, episodio del film Capriccio all’italiana in cui Totò e l’ormai fedelissimo Ninetto Davoli, vestono i panni di due innocenti e tranquilli burattini costretti da un sordido impresario a impersonare Iago e Otello, due personaggi violenti e brutali.
Un sodalizio decisamente singolare ma che, se non fosse sopraggiunta la morte di Totò, il 15 aprile 1967, sarebbe di certo continuato, regalando poetiche emozioni.
Potrebbe interessarti anche:
(1) Franca Faldini, Goffredo Fofi, Totò, l’uomo e la maschera, minimum fax, Roma 2017 p. 100. (2) Idem. (3) Alfredo Bini, Hotel Pasolini. Un’autobiografia. Dietro le quinte del cinema italiano, a cura di Simone Isola e Giuseppe Simonelli, il Saggiatore, Milano 2018, p. 83. (4) Ivi, p. 83. (5) Giancarlo Governi, Totò. Vita, opere e miracoli, Fazi Editore, Roma 2017, p. 133.
Leggi anche: La morte di Pasolini sotto il cielo di Ostia La mutazione antropologica degli italiani secondo Pasolini Ma mi faccia il piacere. Totò e la censura, una pagina grottesca