Un uomo può scegliere di sopravvivere, di vivere o di reagire. Giuseppe Impastato, per tutti Peppino, scelse la terza possibilità, la più difficile, quella più impervia, quella più coraggiosa. Questa è la storia di un uomo che scelse di combattere, di non accettare lo stato delle cose, di ribellarsi allo strapotere della mafia, questo è il racconto di Peppino Impastato.

CHI ERA PEPPINO IMPASTATO?

Per raccontare la vita di Peppino Impastato partiamo dalla fine, da quel maledetto 9 maggio 1978, il giorno della sua morte. L’alba è sorta quando, poche ore prima che nel bagagliaio di una Renault 4 rossa venga rinvenuto il corpo dell’onorevole Aldo Moro, a Cinisi, in provincia di Palermo, sui binari della ferrovia viene ritrovato il corpo dilaniato di Peppino Impastato.

Ma chi è quel ragazzo saltato in aria per l’effetto di una potente carica di tritolo? Per capirlo bisogna partire da Cinisi, un piccolo paese in provincia di Palermo, “uno strano laboratorio” come lo definirà il giornalista Claudio Fava, nel libro Cinque delitti imperfetti, un luogo «dentro il quale si produceva più rapidamente che altrove ciò che poi sarebbe stato esportato nel resto della nazione». (1)

Chi era Impastato

Peppino Impastato: Anni ’60. Al mare – 1968. Comizio di Peppino
nel cortile del palazzo comunale di Cinisi – 1969. Al circolo “Che Guevara”

Cinisi è un lembo di terra, alle spalle le brulle vette del Monte Pecoraro, davanti il blu infinito del Mediterraneo. In mezzo, i dolci declivi su cui crescono verdi frassini, nodosi ulivi e agave spinose.

A Cinisi il passatempo preferito per i ragazzi annoiati e senza futuro è guardare nel cielo azzurro le bianche scie degli aerei che decollano dal vicino aeroporto di Punta Raisi, figlio del malaffare, costruito strappando terre ai contadini in cambio di una ricchezza solo promessa.

LA CASA DI PEPPINO IMPASTATO

In quel paese tagliato da strade polverose che marginano terre incolte, il 5 gennaio 1948 nasce Giuseppe Impastato. La mamma, Felicia Bartolotta, proviene da una famiglia piccolo borghese; il padre Luigi, invece, come ricorda Salvo Vitale, un grande amico di Peppino, «proveniva da una famiglia con forti connotazioni mafiose».

Peppino cresce in un paese che negli anni Cinquanta prova a sognare grazie alla decisione di costruire a pochi chilometri da Cinisi l’aeroporto di Palermo, un’infrastruttura necessaria che, come promettono in tanti, porterà tanta ricchezza ai contadini. Ma i “piccioli” promessi da quell’assurda bulimia cementizia che mastica desideri e speranze, sono poco più che un’elemosina e quei contadini, gli ex proprietari di quei fazzoletti di terra, sono più poveri di prima.

Oltretutto quell’aeroporto appare fin dall’inizio sbagliato. La vicinanza della montagna unita ai forti venti che spazzano la zona rendono ardue sia le manovre di decollo che quelle di atterraggio. Per questo più di un pilota protesta, sottolineando la follia di costruire un aeroporto in quel punto, ma quelle osservazioni rimangono inascoltate, perdendosi nell’aria arsa dal sole.

Ma Cinisi negli anni del boom economico non è solo il paese dello scandalo di Punta Raisi, è anche una delle capitali della mafia, il luogo di nascita e di “lavoro” di Gaetano Badalamenti, per tutti don Tano.

LA PASSIONE PER LA POLITICA E LA SCELTA DI OPPORSI AL SISTEMA

Peppino cresce in mezzo a quella mafia che in molti faticano anche a nominare. Mafioso non è solo il padre ma anche altri parenti, tra cui il boss locale Cesare Manzella, che nel 1963 salta in aria dentro una Alfa Romeo Giulietta, fatta detonare col tritolo, la prima auto fatta brillare nella storia della mafia siciliana, un altro singolare primato per quello “strano laboratorio”.

Al fascino dei mafiosi che camminano tronfi per le vie di Cinisi, Peppino preferisce l’ascendente di Stefano Venuti che, anni addietro, durante il fascismo, ha pagato con il confino nella pietrosa Ustica la sua fede comunista, identica sorte, seppur per motivazioni diverse, occorsa a don Tomasi Impastato.

Peppino Impastato frasi

1966. Peppino con altri militanti del PSIUP – 1967. Con Danilo Dolci – 1967. Peppino, primo a sinistra, a una manifestazione svoltasi a Palermo – 1977 Carnevale al circolo “Musica e cultura”

A Peppino il coraggio di quel politico piace e si entusiasma per quelle parole urlate per squarciare il velo della menzogna. Comprende, in quell’accenno di anni Sessanta che annuncia cambiamenti epocali, che l’impegno, la lotta, la passione sono armi che non uccidono ma che possono lasciare il segno, mutando lo stato delle cose, anche in quel pezzo di terra siciliana bruciata dal sole.

Peppino inizia a fare le prime esperienze politiche. Fonda un giornale, L’idea socialista, il cui primo numero crea subito scompiglio, per la dissacrante polemica nei confronti di «una mentalità legata a secolari pregiudizi che imponevano omertà e silenzio».

Quella mentalità che sta alla base di nuovi espropri di terre per costruire una terza pista per quel famelico aeroporto palermitano. Peppino, con altri giovani, organizza due manifestazioni per bloccare quelle confische ma viene denunciato e finisce in carcere. Le terre vengono espropriate a prezzi ridicoli e la terza pista diventa realtà.

Impastato comprende che non basta il solo impegno per cambiare le cose. A Cinisi serve una vera e propria rivoluzione culturale, qualcosa che parta dal basso, che cambi le coscienze.

In quest’ottica fonda nel 1976 Musica e cultura, un’associazione che si adopera per promuovere la cultura attraverso la musica, il cinema, il teatro, i dibattiti. Musica e cultura è il preludio alla creatura più bella di Peppino, a un’idea rivoluzionaria, che, purtroppo, gli sarà fatale.

Quel ragazzo sogna di snidare la mafia, di mostrarla in tutto il suo orrore, di annientare quel cancro. Per realizzare quel sogno ha bisogno di un pulpito da cui parlare, da cui gridare verità che in troppi negano.

Quel palco sul finire degli anni Settanta ha il profilo di una radio, il mezzo migliore e più libero per raggiungere chiunque.

Con alcuni soldi compra un vecchio trasmettitore di Radio Apache, un’emittente palermitana che era confluita in un’altra radio cittadina. Con i suoi amici allestisce a Terrasini, a due chilometri da Cinisi, Radio Aut.

Il palinsesto è composto da musica di qualità e soprattutto programmi di informazione che diventano fin da subito il valore aggiunto della stazione radiofonica.

Da quei microfoni, specie Peppino, «un politico nel vero senso della parola, un uomo che aveva un’ideologia in cui credere e per la quale lottare» denuncia il malaffare cittadino, gli intrallazzi politici, i traffici di droga, le speculazioni edilizie, il ruolo dominante della mafia.

La trasmissione Onda pazza a Mafiopoli, una sua creatura, è il fiore all’occhiello di tutto il palinsesto radiofonico. Peppino è sagace, puntuale, fendente. Quegli stessi che in paese negano di ascoltarla, in gran segreto non si perdono una puntata.

Fare Onda Pazza, come ricorda Salvo Vitale, «era come partecipare a un’abbuffata collettiva, dove ognuno portava qualcosa, uno strumento, una frase, un verso, un disco, una voce, e si intrometteva con interventi imprevedibili».

Le astute storpiature inventate da Peppino, come Maficipio, Corso Luciano Liggio e soprattutto Tanu seduto, con cui apostrofa il dominus Gaetano Badalamenti, fanno il giro di Cinisi e non solo.

Quelle battute fanno ridere ma i contenuti della trasmissione fanno pensare e il pensiero, in un paese dominato dalla mafia, è qualcosa che spaventa e molto.

A casa Badalamenti, che dista solo cento passi dall’abitazione natale di Impastato, quegli attacchi ma specialmente quell’intelligente ironia infastidiscono e non poco.

Peppino, trasmissione dopo trasmissione, scrive la sua condanna che viene stabilita dopo la sua decisione di candidarsi alle elezioni comunali nelle liste di Democrazia proletaria. Si tratta di una nuova esperienza politica dopo quelle nel PSIUP e in Lotta Continua, una scelta maturata sulla scorta della riflessione che non si possa ancora regalare i voti al PCI, una forza che a Cinisi non ha mai inciso, spartendosi il potere con i soliti noti.

Impastato comprende che la sua voce contro il malaffare, in seno a un organo istituzionale quale quello del consiglio comunale, non potrà più rimanere inascoltata. Ma essere eletto non è certo facile. Peppino si impegna a fondo, raccoglie i fondi necessari con una sottoscrizione ma principalmente, fa sentire come sempre la sua voce.

I suoi comizi sono incalzanti, pugni ben assestati all’ipocrisia, al qualunquismo, al potere. Non risparmia nessuno ma la gente, che nonostante tutto vi partecipa, applaude convintamente.

Peppino inizia davvero a far paura. Quel ragazzo magro con i capelli corvini non è più una semplice voce ma un corpo, una testa, un leader, un punto di riferimento.

Nelle segrete stanze, dietro le imposte socchiuse da cui filtra una pallida luce, si comincia a pensare alla possibilità di zittirlo e per sempre.

LA MORTE DI PEPPINO IMPASTATO

Il 7 maggio 1978 un guasto al lineare, chissà quanto casuale, provoca il blocco di Radio Aut. Sulle prime quel problema viene derubricato a un fastidioso inconveniente, ancor più irritante a pochi giorni dalla chiusura della campagna elettorale.

Peppino è presissimo da quella scadenza, si rende conto che quell’immane fatica contro tutto e tutti può trasformarsi in un’incredibile vittoria ma non sa che sta vivendo le sue ultime ore, che quella ferale sentenza sta per essere eseguita.

Il giorno dopo, l’8 maggio, intorno alle nove di sera gli amici di Peppino, visto che da alcune ore non hanno più sue notizie, iniziano preoccupati a cercarlo. Girano disperati «in tutti gli angoli e le trazzere di Cinisi e Terrasini», ma di lui e della sua macchina non c’è traccia.

Alle quattro, in piena notte, stanchi e sfiduciati, vanno a letto. Saranno svegliati due ore dopo dall’unica notizia che non avrebbero mai voluto ascoltare: Peppino Impastato è morto.

Peppino Impastato morte

© Franco Zecchin – 10 maggio 1978. Funerali di Peppino

Alle sei di quel tragico 9 maggio 1978, vero e proprio spartiacque della storia italiana, la luce dei lampeggianti delle forze dell’ordine fende un’alba incipiente.

Sulla linea ferroviaria Cinisi-Palermo si trova il corpo orribilmente dilaniato di Peppino Impastato. Più di mezzo metro di binario risulta divelto, sui fili dei pali della luce ci sono pezzi di carne, mentre altri brandelli del corpo giacciono sparpagliati in più punti.

Fra i carabinieri, tra cui alcuni stellati e agenti della Digos, si fa strada il necroforo comunale con in mano una gamba di Peppino, è intera ed è attaccata a un pezzo di inguine.

Nonostante quello scempio, su ordine del Pretore di Carini, competente per territorio, nel giro di sole due ore tutto viene rimosso, il binario riparato e la tratta ferroviaria riaperta.

Per gli inquirenti il caso è chiuso.

Sulle prime si ipotizza che Impastato sia saltato in aria nel tentativo di compiere un attentato terroristico alla stazione dei treni. Poi si cambia strada e si afferma con estrema certezza che si è trattato di suicidio.

Come per Giuseppe Pinelli, nove anni prima, il suicidio è la soluzione del caso, spiegazione avvalorata, oltretutto, dal rinvenimento, nel corso di una perquisizione non autorizzata da parte dei carabinieri a casa della madre di Peppino, di una lettera in cui il ragazzo aveva ipotizzato di farla finita.

Gli amici di Peppino Impastato fin dall’inizio non credono alla versione degli inquirenti. Conoscono bene Peppino, sanno quanto ami la vita e sono convinti che quella lettera, scritta molto prima di quel 9 maggio (a cui inoltre segue un’altra lettera dai contenuti ben diversi), fosse figlia di un momento di scoramento ampiamente superato, come dimostra l’ardore con cui si è gettato nella contesa elettorale.

Certi che si sia trattato di un omicidio i suoi amici tornano sui luoghi dove è stato rivenuto il corpo e setacciano la zona in cerca di prove. In un vecchio casolare, a pochi metri dalla sede ferroviaria, «trovano su un sedile di pietra alcune macchie di sangue: invitano i carabinieri a controllare» ma invano.

Devono trascorrere diversi anni perché giustizia sia fatta, trasformando quella ridicola ipotesi di suicidio in un omicidio.

È grazie alla volontà degli amici di Peppino, di suo fratello Giovanni, della madre Felicia, alla perseveranza di alcuni magistrati (tra cui Rocco Chinnici, anch’egli ucciso  dalla mafia), che, fra il 2001 e il 2002, depistatori, esecutori e mandanti dell’assassinio di Peppino Impastato hanno un nome e un cognome.

Tra questi figura anche quello di Gaetano Badalamenti, che l’11 aprile 2002 viene riconosciuto colpevole e condannato alla pena dell’ergastolo quale ideatore di quell’omicidio. Proprio lui che il giorno dei funerali di Peppino si era premurato di far «arrivare alla famiglia Impastato la voce che Badalamenti non sapeva niente e che diceva di andare cercando il responsabile per consegnarlo alla famiglia».

LA FORZA IRRIPETIBILE DI UN SOGNO

Fabrizio De André, in una delle sue più belle canzoni, scrisse che morire a maggio ci vuole coraggio. Peppino Impastato morì a maggio, in un giorno i cui tutti gli occhi degli italiani erano fissi su via Caetani e sul corpo di Moro. Lui, però, il coraggio lo aveva sempre dimostrato, certo che l’impegno, la forza delle parole, l’esempio fossero le armi migliori per lottare contro la mafia e magari anche sconfiggerla.

L'assassinio di Impastato

7 maggio 1978. L’ultimo comizio – © Franco Zecchin Il luogo del delitto – Sui muri di Cinisi, subito dopo l’assassinio

Peppino Impastato fu ucciso perché smettesse di parlare, perché non disturbasse più, perché non deviasse il corso lento e putrido del fiume.

Il sogno di quel ragazzo, aveva solo trent’anni e una divisa di un altro colore, si materializzò il 14 maggio, cinque giorni dopo la sua morte.

Quel giorno, quella domenica di primavera, all’apertura delle urne il sogno di Peppino divenne realtà. Ben 264 elettori scrissero il nome di Peppino sulla scheda, 264 persone che «avevano votato per una lista di “presunti terroristi, di “sfardati”» che alla balla del suicidio non avevano creduto.

Il 14 maggio 1978, quasi trecento anonime persone, scrivendo sulle schede il nome di Peppino Impastato realizzarono il sogno di quel ragazzo che sfidò con l’ironia l’arroganza mafiosa.

Peppino Impastato una volta disse:

«Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura, l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante nel davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. E’ per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione e rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore.»

(1) C. Fava, Cinque delitti imperfetti, Mondadori, Milano 1994, p. 36.

N.B. tutti i virgolettati, quando non espressamente indicati, sono tratti dal libro di Salvo Vitale, Peppino Impastato. Una vita contro la mafia, Rubettino, Milano 2016.

Tutte le foto qui riportate sono state reperite sul sito del Centro Siciliano di Documentazione “Peppino Impastato”, un centro di ricerca che ha avuto un ruolo fondamentale nel salvare la sua memoria e nell’ottenere giustizia per Peppino Impastato.

 

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