Con il suo profilo squadrato, gli alti portici, gli ampi giardini al centro, piazza Vittorio a Roma è uno dei luoghi più cari ai romani, crocevia fra storia e tradizione, il tutto ammantato dal fascino impalpabile di un sottile mistero.
PIAZZA VITTORIO EMANUELE II A ROMA: L’ESQUILINO DIVENTA “PIEMONTESE”
La nascita di Piazza Vittorio Emanuele II, per i romani, da sempre, semplicemente piazza Vittorio, va ricercata in quell’ampio progetto di rinnovamento urbanistico che coinvolse il colle Esquilino, un luogo solo in parte urbanizzato ma assolutamente strategico per la sua vicinanza con la stazione ferroviaria Termini.
Nell’ultimo ventennio del XIX secolo l’Esquilino era ancora dominato dalle grandi ville nobiliari e da numerose tenute agricole, un profilo bucolico che, però, fin dal piano regolatore del 1873, fu seriamente minacciato, sulla base di complessi progetti urbanistici che nel giro di pochi anni trasformeranno profondamente l’antico volto dell’Esquilino.
Quel colle, infatti, dall’incerto toponimo, il più altro ed esteso dei sette colli capitolini, nei programmi urbanistici dei nuovi padroni di Roma, all’indomani della Breccia di Porta Pia, sarebbe dovuto diventare un quartiere di rappresentanza, dove avrebbero trovato ospitalità i nuovi burocrati provenienti da Torino.
Piazza Vittorio Emanuele II a Roma
E proprio l’ex capitale fornì agli architetti, in primis Gaetano Kock, lo spunto per la creazione del nuovo quartiere residenziale con i suoi alti portici, eredità torinese che gli architetti “piemontesi” tentarono di trapiantare a Roma, di fatto non riuscendoci, perché, come scrisse Italo Insolera nel suo Roma moderna, un poco per il clima capitolino, ben diverso da quello subalpino, un poco per una tradizione architettonica che nella Città Eterna nessuno conosceva, i portici non si diffusero, facendo bella mostra di loro solo a piazza Esedra, presso Ponte Sisto e, ovviamente, in piazza Vittorio Emanuele II.
Proprio questa piazza rappresentò il fulcro degli ambiziosi piani urbanistici interessanti il nuovo quartiere Esquilino, punto di raccordo di ben 13 strade, di cui quelle del lato Sud-Est, riecheggiavano le vie del celebre Tridente di rinascimentale memoria, ovvero via del Corso, via di Ripetta e via del Babuino.
I lavori cominciarono nel 1882 quando iniziarono le demolizioni di alcune ville storiche, tra cui Villa Palombara e Villa Astalli, paradisi da immolare sull’altare della modernità, dell’espansione cittadina.
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I GIARDINI DI PIAZZA VITTORIO A ROMA E LA PORTA MAGICA
Al centro della nuova piazza si collocano gli ampi giardini, ieri come oggi, vanto di tutto il quartiere, perfettamente posti in asse con le basiliche di Santa Croce in Gerusalemme, a sud e Santa Maria Maggiore, a nord.
Inaugurati l’8 luglio 1888, i giardini di piazza Vittorio piacquero subito ai romani, specie per quel carattere esotico, scandito dalla presenza di diverse essenze arboree, come le palme, dono della regina Margherita, le magnolie o i cedri del Libano, piante, di norma, non comuni a Roma.
I giardini di Piazza Vittorio a Roma
La creazione dei giardini fu in buona parte dovuta all’ingegno di Alfredo Kelbling, direttore dell’ufficio Giardini del Comune di Roma e del suo collaboratore, Carlo Palice.
I due concepirono un progetto moderno ma al tempo stesso legato alla tradizione, sospeso fra il giardino-square di britannica memoria e le antiche ville esquiline, da poco cancellate dalla febbre edilizia capitolina.
Vialetti sinuosi, marginati da piante ornamentali quali rose o caprifogli, un piccolo lago con le ninfee, una cascatella, impreziosita da un piccolo ponte in legno, furono i segni inconfondibili di questi giardini dal gusto romantico ed esotico al tempo stesso.
L’inaugurazione dei giardini di piazza Vittorio, in quel caldo giorno di inizio luglio, oltre a entusiasmare i romani, ottenne anche il plauso della stampa capitolina che, nel celebrare la bellezza di quello spazio verde, impreziosito da ben 170 alberi appartenenti a specie diverse, chiedeva, al contempo, all’amministrazione capitolina che si adoperasse per garantire, attraverso una costante vigilanza, che i giardini non fossero subito deturpati.
Quell’appello fu immediatamente accolto dal Campidoglio che provvide a far approvare uno specifico regolamento che, oltre a garantire la presenza costante nella piazza dei vigili, vietava una serie di atti, tra cui l’accesso agli avvinazzati, alle persone indecentemente vestite, tra cui rientravano anche gli uomini privi di giacca. Nel regolamento, inoltre, si proibiva l’accesso ai veicoli a cavallo, ai cani non al guinzaglio e, infine, ai minori non accompagnati.
Ma a rendere unico il progetto di Kelbling, che firmerà anche il progetto della Passeggiata del Gianicolo, fu l’idea di collegare il nuovo alle vestigia del passato.
Le grandi piante, infatti, che svettano nel perimetro dei giardini, coronano il Ninfeo di Alessandro Severo, ovvero i grandiosi resti in laterizio più noti come I Trofei di Mario, dalle panoplie marmoree di età domizianea ma erroneamente attribuiti a Caio Mario (in seguito collocate sulla balaustra del Campidoglio) e, soprattutto, La Porta magica.
La Porta Magica e la chiesa di Sant’Eusebio
Conosciuta anche come Porta alchemica, la Porta magica fu innalzata dal marchese Massimiliano di Palombara, cultore dell’esoterismo e dell’alchimia, nonché assiduo frequentatore della corte della regina Cristina di Svezia.
La porta, realizzata nella seconda metà del XVII secolo, probabilmente nel 1680 come riportato su uno degli stipiti, in origine delimitava l’accesso al laboratorio del marchese, dentro Villa Palombara.
All’interno di quel luogo, precluso ai più, l’aristocratico romano conduceva vari tipi di esperimenti, affiancato dal giovane medico, nonché alchimista, Giuseppe Borri.
Quest’ultimo, dopo essere stato espulso dal collegio dei Gesuiti, proprio a causa dei suoi interessi esoterici, aveva trovato asilo presso il marchese, impegnandosi, anche per ripagare quella generosa e inattesa ospitalità, a trovare la mitica pietra filosofale, il minerale che secondo la leggenda era in grado non solo di donare la vita eterna e l’onniscienza ma anche di trasformare dei comuni metalli in oro purissimo.
Alla Porta Magica a Roma è legata anche un’inveterata leggenda, tramandata, nel 1802, da Francesco Girolamo Cancellieri.
Si narra che un pellegrino chiamato Stibeum, il nome latino dell’antimonio, una notte fu ospitato a Villa Palombara. Questi, invece di dormire, trascorse tutto il tempo ritmato dall’oscurità alla disperata ricerca di una misteriosa erba capace di produrre l’oro. Con il sopraggiungere dell’alba, quel misterioso ospite di una fugace notte, dopo aver oltrepassato la leggendaria porta, sparì per sempre, lasciando in eredità solo alcune misteriose pagliuzze d’oro.
La porta, l’unica sopravvissuta delle cinque porte di Villa Palombara, è caratterizzata dalla presenza sugli stipiti di numerosi simboli alchemici, da qui l’altro nome con cui è conosciuta, nonché di sentenze in ebraico e latino relative alla misteriosa formula per la fabbricazione dell’oro.
A rendere ancora più misteriosa questa porta, l’unico reperto dell’antica villa patrizia, è la presenza ai lati della stessa di due statue raffiguranti il dio egizio Bes, divinità, il cui culto era diffuso anche nell’antica Roma, addetta alla tutela familiare, in particolare a quella dei neonati.
Le due statue, rinvenute nel 1888 negli sterri del Quirinale, furono in seguito collocate ai lati della Porta magica, rendendo quel singolare accesso ancora più misterioso e indecifrabile.
IL MERCATO DI PIAZZA VITTORIO A ROMA
Nei primi anni del ‘900 il volto dei giardini di piazza Vittorio mutò radicalmente a seguito della nascita, inizialmente spontanea, del mercato rionale, struttura che, con il passare degli anni, divenne un emblema non solo del quartiere ma della città stessa.
A proposito di piazza Vittorio e del suo celebre mercato così ebbe a scrivere Carlo Emilio Gadda nel suo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana:
«Su molti banchi gialleggiavano, oramai senza tempo e senza più stagione, le arance in piramidi, noci, nelle ceste, susine di Provenza nere, lustrate col catrame, susine di California: alla cui sola veduta gli rampollava acquolina dal retrobocca, al Deviti.»
Nel corso degli anni Novanta il mercato di Piazza Vittorio fu chiuso e trasferito nei vicini locali dell’ex Caserma Sani consentendo, così, il recupero degli ottocenteschi giardini, oggi intitolati a Nicola Calipari e che lo scorso anno, dopo che nel 2012 sono stati inseriti nel censimento dei “Luoghi del cuore” del FAI, sono stati totalmente riqualificati.
La fontana di Piazza Vittorio a Roma
Dopo questi lavori l’antico volto di piazza Vittorio è prepotentemente riemerso. Ecco fare bella mostra le piante secolari ma anche la fontana raffigurante un gruppo marino, opera di Mario Rutelli che i romani, non proprio entusiasti, ribattezzarono fin da subito “fritto misto” o il Monumento ai Caduti della Prima guerra mondiale, realizzato da Enrico Brai.
LA CHIESA DI SANT’EUSEBIO
Sul lato Nordest di piazza Vittorio, quello che si dirama verso via Napoleone III, quasi nascosta dai colossali edifici “piemontesi” si trova una delle più antiche chiese di Roma, Sant’Eusebio, il cui titulus, addirittura, risale al V secolo d.C.
L’attuale facciata della chiesa di Sant’Eusebio, preceduta da una scenografica scalinata a doppia rampa, fu realizzata nel corso dei primi anni del XVIII secolo da Carlo Stefano Fontana. Il nipote del più noto Domenico Fontana, l’architetto di fiducia di Sisto V, realizzò una facciata, in cui riecheggiano timidi accenni borrominiani, che cancellò del tutto l’originario esterno in stile romanico.
Se da fuori l’antica impronta romanica è pressoché impalpabile, eccezione fatta per il seminascosto campanile a tre ordini, realizzato durante il pontificato di papa Onorio III, all’interno, invece, l’originario stile, voluto da Gregorio IX, nonostante gli immancabili interventi seicenteschi, condotti da Onorio Longo e quelli settecenteschi firmati da Niccolò Picconi, è comunque ancora ravvisabile.
Suddivisa in tre navate, Sant’Eusebio si caratterizza, quanto a decorazioni interne, per il grande affresco della volta della navata centrale, opera del pittore Anton Raphael Mengs. Questi, nel 1757, decise di raffigurare la gloria di Sant’Eusebio, il presbitero romano martirizzato nel corso del IV secolo d.C.
L’affresco, tipicamente neoclassico e recentemente restaurato, rappresenta, come indicato da Roberta Porfiri, la curatrice scientifica del restauro, «uno snodo fondamentale del percorso artistico di Mengs che, giunto a Roma a 30 anni, era affermato come pittore da cavalletto; questo è invece il suo primo affresco, premessa della sua seguente e fortunata produzione madrilena e anticipazione degli sviluppi della pittura neoclassica che si diffonderà nella seconda metà del XVIII secolo.»
Ma le bellezze di Sant’Eusebio non finiscono con la chiesa stessa, visto che meritano una visita la sagrestia, il chiostro del monastero, attribuito a Domenico Fontana, nonché i sottostanti scavi che celano la meraviglia del passato, ovvero uno dei nuclei più consistenti della Necropoli dell’Esquilino, il più esteso complesso cimiteriale della Roma antica.
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