Un’intuizione semplice eppure straordinaria, quella di raccogliere in un unico luogo le confessioni più intime delle persone, inserendo in un singolo spazio le storie comuni, quelle raccontate dal basso. Il Piccolo museo del diario di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, è molto più di una raccolta di testi autobiografici o di quaderni allineati su medesimi scaffali.

Soltanto andando a visitare questo spazio incredibilmente pieno di vita e di vite si arriva a comprendere l’importanza delle singole testimonianze e la magia di quelle migliaia di voci che accompagnano incessantemente i visitatori. Perché il museo, così intimo, così popolato e intenso, si capisce solo andandolo a visitare di persona. Le parole che si elevano dalle pagine piene zeppe di scrittura e di inchiostro fanno emergere immagini, sentimenti, emozioni che arrivano dritti al cuore degli ospiti.

LA MAGIA DEL MUSEO DEL DIARIO

Quando abbiamo varcato la soglia e percorso i sedici gradini del Palazzo Pretorio che conducono al primo piano, dove è ospitato il Piccolo museo del diario, non sapevamo cosa ci saremmo trovati di fronte. Con un po’ di titubanza ed ignari del caleidoscopio di esistenze che si intrecciano nelle piccole stanze che ospitano i diari, siamo stati accompagnati da due appassionati accompagnatori che ci hanno accolto ed illustrato magistralmente la poesia che c’è dietro ad ogni singola esistenza contenuta tra le pagine.

Il Museo del Diario a Pieve Santo Stefano

Il Museo del Diario a Pieve Santo Stefano

La magia del Museo del Diario è tutta racchiusa negli strati di parole che raccontano pezzi e stralci di esistenze diverse, considerazioni amare ed esilaranti, tragiche e ironiche, terribili e appassionanti, un flusso continuo di voci che parla sommesso.

IL PAESE DEI DIARI

Qui avviene qualcosa di magico, lontano dagli occhi degli uomini. Perché, come ci racconta con spirito poetico Mario Perrotta nel libro Il paese dei diari, durante la notte i diari si muovono, si spostano per incontrare gli amici, le voci più affini. I quaderni così si calano dagli scaffali per allontanarsi dal vicino antipatico e, con fatica, raggiungono i diari preferiti, quelli più vicini al proprio modo di essere. E in questi incontri, si formano crocicchi in cui ogni voce emerge dalle pagine e parla, si racconta, chiede consiglio, ascolta.

Quando cala la notte, ed il Piccolo Museo del Diario rimane vuoto, le stanze si animano di questi piccoli custodi di carta da cui si alza un vociare sommesso che diventa sinfonia. Ma alla prima luce dell’alba ogni diario ritorna al suo posto, senza lasciare traccia della baldoria appena trascorsa.

L’INTUIZIONE DI SAVERIO TUTINO

L’idea di riunire in un unico luogo i diari, i quaderni, le cartelle personali degli uomini e delle donne è venuta a Saverio Tutino, giornalista e scrittore, che ha vagato per mesi cercando una amministrazione che accogliesse la sua volontà di istituire un archivio diaristico. Saverio voleva lasciare la parola alla gente comune, fare spazio alla storia raccontata dal basso, considerato che quella che si studia sui libri e sui banchi di scuola non prende in considerazione le vite comuni.

Era il 1984 e, dopo un lungo peregrinare, Saverio Titino ha trovato il luogo adatto. Il sindaco di Pieve Santo Stefano, infatti, ha aperto le porte del comune e ha ospitato i diari e le memorie private di quanti avevano lasciato traccia della propria esistenza sulla carta. Un bel riscatto per il paese aretino bombardato durante la Seconda Guerra Mondiale e raso al suolo quasi del tutto.

Però  bisognava far conoscere questa iniziativa e così, lo stesso anno, sul quotidiano La Repubblica uscì un trafiletto in cui si invitavano le persone a spedire e consegnare i propri scritti all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.

‘Cercate nelle soffitte e nei cassetti i cartelli d’amore dei nonni, le lettere d’emigrazione, i taccuini delle trincee di guerra, il diario di un vecchio antenato, inviateci le pagine personali che avete scritto durante la vita’, così iniziava l’appello sul giornale.

Ma perché mai qualcuno avrebbe dovuto consegnare ad un anonimo archivio il frutto delle proprie più intime confessioni? Ecco, Saverio Tutino pensò anche a questo e decise di istituire un concorso annuale in cui premiare il diario più bello. La selezione di tutto il materiale sarebbe stata affidata ad una commissione popolare formata solo da volontari: la maestra, la bibliotecaria, il macellaio del paese. Ognuno poteva partecipare a questa iniziativa corale e scegliere la rosa degli otto finalisti da sottoporre alla lettura di una giuria nazionale. Nasceva così il Premio Pieve.

LE VOCI DEL PICCOLO MUSEO DEL DIARIO

Nel tempo la mole dei manoscritti e dei diari è cresciuta così tanto che nel 2013 ha preso vita il Piccolo museo del diario, uno spazio ospitato in quattro piccole stanze del Palazzo Pretorio, un percorso multisensoriale di grande effetto, un incontro vivo con la memoria e con la storia. Così chi entra si trova di fronte a piccole stanze in cui è possibile aprire cassetti da cui emergono le voci dei protagonisti, vedere le pagine scritte, scegliere una storia, tirare fuori un faldone dedicato ad un singolo argomento.

Ecco allora che i visitatori entrano in contatto con pezzi di esistenze che sono entrate nella Storia, l’hanno conosciuta e talvolta subita. Tante sono le pagine di eventi vissuti in maniera piena e talvolta drammatica. Come i diari di chi ha scelto di diventare partigiano durante la Seconda Guerra mondiale e di chi invece ha servito la Repubblica di Salò ed è rimasto fedele al fascismo.

O la voce della giovane albanese, venuta in Italia su un barcone, che racconta il momento in cui lo scafista ha gettato in acqua suo marito e sua figlia di pochi mesi. E poi i primi amori di un quindicenne, la triste storia di un carcerato romano, la nobildonna dell’Ottocento che scrive al suo amante, o il giovane Orlando Orlandi Posti, prigioniero a Via Tasso e poi ucciso alle Fosse Ardeatine, che scrive piccoli biglietti e li nasconde nei colletti delle camicie.

“TERRA MATTA” DI VINCENZO RABITO

E poi ci sono le 1027 pagine vivacissime di Vincenzo Rabito, semianalfabeta ragusano, classe 1899, che ha raccolto la sua vita in un fiume impetuoso di parole. Vincenzo un giorno decide di chiudersi a chiave in una stanza, solo con la macchina da scrivere Olivetti Lettera 22 lasciata dal figlio trasferitosi al Nord. Nasce l’idea di raccontare la sua vita, piena di avvenimenti-chiave per l’Italia: la Prima Guerra Mondiale sulla linea del Piave, il fascismo, la partecipazione alla campagna d’Africa, l’emigrazione in Germania, la fine della Seconda Guerra Mondiale, il boom economico, la prima televisione.

Le sue sono pagine fitte di parole, senza alcuna interlinea, senza margini, in una lingua a metà tra l’italiano e il siciliano e con un punto e virgola a separare ogni singola parola. In tutto sono 718.900!

Vincenzo Rabito, la stanza nel Museo del Diario

Museo del Diario, la stanza dedicata a Vincenzo Rabito e la sua Olivetti Lettera 22

Vincenzo ricorda così la disperazione della Prima Guerra Mondiale con la ‘butana Madre Patria che ci doveva pagare con 12 solde al ciorno e senza darece un soldo alle famiglie che morevino di fame’ o la liberazione quando ‘ li operaie, da fasciste, tutte diventareno comuniste. E quinte, era tempo che campiaveno le cosi. E io, che era fascista della prima ora, di fascista subito mi offatto parteciano e comunista, perché altremente umposto non lo poteva capitare.’

Esilarante poi la descrizione del suo fidanzamento con una donna che credeva nobile. La futura suocera mostrava a Vincenzo ‘le fatocrafie della sorella reccona di Siraqusa’ e il giovane siciliano se ne andava ‘in giro umpriaco di nobiltà‘ fino alla scoperta della verità quando il giorno del matrimonio ‘la nobile famiglia di morti di fame non pensò neanche alla spesata del pranzo, che ci toccava alloro’.

IL LENZUOLO DI CLELIA MARCHI

Il lenzuolo di Clelia Marchi al Piccolo Museo del Diario

Il lenzuolo di Clelia Marchi al Piccolo museo del diario

E poi ci piace ricordare Clelia Marchi, una contadina di Poggiorusco (Mantova) che nel 1985 consegnò all’Archivio una preziosa testimonianza. Arrivò a Pieve Santo Stefano con la corriera insieme al suo pacco ingombrante sotto il braccio. Lo consegnò a Saverio Tutino che, esterrefatto, scartò l’involto ed estrasse un diario unico, straordinario. Un lenzuolo matrimoniale su cui Clelia ha raccontato la sua vita.

Una scrittura continua, precisa, con le righe numerate per non perdere il filo del discorso durante la lettura. Così sulla stoffa trascrisse tutto, assicurando di non aver detto ‘gnanca una busia‘ (neanche una bugia). Il diario ricordava la durissima vita contadina, il matrimonio con un marito amatissimo, gli otto figli, la guerra e quel suo scusarsi perché ‘sono andata a scquola solo in 2° elementare’.



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