Roma, 29 aprile 1848. La “Gazzetta capitolina” pubblica l’allocuzione Non Semel, che Pio IX ha pronunciato al Concistoro. Il pontefice afferma con nettezza che non è ammissibile dichiarare guerra a una nazione, l’Austria per intenderci, “i cui membri sono suoi figli spirituali”. E’ la fine di un equivoco durato alcune settimane e che ha avuto inizio il 24 marzo precedente, quando le truppe pontificie, al comando del generale Durando, lasciano Roma per raggiungere i confini dello Stato pontificio. Un giorno prima, il fatidico 23 marzo, il Regno di Sardegna, sul cui trono siede il gigante Carlo Alberto, aveva dichiarato guerra all’Austria, dando inizio a quella che sarà poi ricordata come la Prima guerra di indipendenza, scatenando un generale e contagioso entusiasmo in tutta la penisola, con l’invio di contingenti militari da diversi stati italiani.
PIO IX, UN PAPA TRA DUE FUOCHI
Il compito delle truppe papali, tuttavia, è chiaro: difendere i confini statali e non certo partecipare alla guerra sabauda. Ma la confusione generata dal quell’epidemico impeto è forte, quasi dirompente e coinvolge anche le truppe comandate da Durando. Fra i soldati, infatti, sono molti quelli che vorrebbero prendere attivamente parte a quella che è, a tutti gli effetti, una guerra nazionale.
Pio IX, che fin dalla sua elezione – avvenuta la sera del 16 giugno 1846, quando sorprendentemente aveva avuto la meglio con 36 voti contro i soli 10 del papabile Lambruschini – ha alimentato con diverse decisioni il mito del papa liberale, è decisamente in mezzo a due fuochi. Da una parte la pressione popolare che lo vorrebbe entusiasticamente alla testa degli eserciti italiani, in una concretizzazione dei sogni giobertiani, contro il comune nemico austriaco, dall’altra le ferme rimostranze provenienti da Vienna, che ricordano al sovrano pontefice i suoi obblighi, che sono lontani da quelli di guidare un conflitto armato contro un paese cattolico.
In realtà le speranze dei liberali non sono del tutto ingiustificate e visionarie, visto che Pio IX, in una precedente allocuzione, quella del 30 marzo, aveva mostrato simpatie verso i popoli italiani, ai quali aveva diretto il suo saluto e la sua personale benedizione, scatenando il disappunto del governo austriaco che riteneva inaccettabile una simile ingerenza.
Papa Mastai, certamente, non è contrario alle legittime aspirazioni nazionali ma al tempo stesso è conscio degli obblighi che il suo ruolo istituzionale e principalmente sovranazionale gli impone. Il suo dietrofront, più teorico che pratico (non ha mai caldeggiato una vera e propria guerra) è dettato da ragioni diplomatiche, e la Non Semel, più ascrivibile al Segretario di Stato, cardinal Antonelli, che allo stesso Pio IX, serve esattamente a questo: ricucire in fretta lo strappo con Vienna e spazzare via ogni pericolosa aspettativa.
PIO IX E I MOTI DEL 1848
Da sinistra: Pellegrino Rossi, Terenzio Mamiani della Rovere e il generale Giacomo Durando
Le reazioni, tuttavia, a quello che semplicisticamente è ritenuto un voltafaccia del papa, ma che in realtà, a ben vedere, è solo una formale precisazione di qualcosa di sostanzialmente già scontato, non sono indifferenti. A Roma la protesta dei circoli politici liberali esplode immediatamente.
Per gli esponenti più autorevoli la maschera ora è caduta, mostrando chiaramente il vero volto del papa. In poco tempo il vessillo del pontefice riformista, che pure aveva riformato il retrogrado stato pontificio (si pensi alla concessione della costituzione, un compromesso, tuttavia, “il tentativo estremo” – come ricorda lo storico Martina – “di salvare il potere temporale trasformandolo in uno Stato costituzionale”, sulla falsariga di quanto stavano facendo altri stati preunitari), è stato ammainato e al suo posto sventola la bandiera dell’autoritarismo.
Per contenere la protesta Pio IX decide di licenziare il cardinale Antonelli da capo del governo e di sostituirlo con il conte Terenzio Mamiani della Rovere. Una scelta per certi aspetti rivoluzionaria, non solo perché pone alla guida dell’esecutivo un laico, ma anche uno dei protagonisti dei moti insurrezionali del 1831, colui che, in qualità di ministro dell’interno dell’etereo governo delle Province Unite Italiane (denominazione dello stato instaurato il 5 febbraio 1831 e formato da alcune porzioni di territorio dello Stato pontificio nonché dei ducati di Parma e Modena), si era rifiutato, unico in tal senso, di firmare la lettera di resa con la quale il governo provvisorio capitolava davanti agli austriaci, ritenendola un “atto in degnissimo”.
La decisione del romano pontefice sulle prime attenua la protesta montante ma è una breve e travagliata luna di miele. Le intenzioni di Mamiani, infatti, collidono ben presto con le istanze del papa che non può certo acconsentire a riforme volte a laicizzare lo stato pontificio. Lo strappo fra i due è tale che Mamiani nell’agosto del 1848, a due mesi dall’incarico, rassegna le dimissioni. Pio IX sceglie al suo posto il conte Edoardo Fabbri, un moderato che, tuttavia, il 15 settembre si dimette anch’egli, passando il testimone Pellegrino Rossi, ex carbonaro, apprezzato giurista ed economista, attivo in diversi paesi europei, specie in Francia.
Convinto riformista, il nuovo capo del governo avvia in poco tempo importanti riforme, specie in campo fiscale senza, tuttavia, soddisfare gli oppositori per i quali, ormai, la fine del potere temporale è considerata una strada senza ritorno.
Il 15 novembre, mentre Pellegrino Rossi si reca senza scorta, nonostante le avvisaglie su possibili attentati siano evidenti, a Palazzo della Cancelleria, viene assassinato da un ferale colpo di pugnale che gli recide la giugulare. La speranza di Pio IX di salvare il suo regno, attraverso l’azione riformatrice del Rossi, sono definitivamente e drammaticamente tramontate. Ogni tentativo di compromesso è naufragato inesorabilmente nel sangue.
1848, UN AUTUNNO CALDO
Pio IX agli occhi dei rivoluzionari, ma anche di molti romani, ora è soltanto un nemico, un avversario da abbattere. La folla, assiepata sotto le finestre del Quirinale, invocando la repubblica, affossa definitivamente la leggenda del papa liberale. Le dimostrazioni e i cortei di romani fra luminarie e fiaccolate che, sotto quelle stesse finestre, avevano dato inizio al “al mito di Pio IX, papa liberatore e acclamatore” come scritto dallo storico Giorgio Candeloro, ora sono soltanto immagini sbiadite dal tempo, pagine di storia strappate via dall’irruenza della cronaca.
I tumulti, le sollevazioni, gli scontri sono in quei giorni il preludio a qualcosa di più grande che non può non avvenire. Le proteste di piazza trovano facile accoglienza, il papa si rende conto che la situazione gli sta inesorabilmente sfuggendo di mano e a poco serve la costituzione di un governo provvisorio guidato dal conte Galletti con al suo interno personalità di spicco quali Luigi Sterbini, che ottiene il ministero del Commercio, e nuovamente Terenzio Mamiani, che va invece agli Esteri.
Si tratta, tuttavia, di un provvedimento tardivo e ancora una volta ambiguo. L’obiettivo del governo, infatti, rimane indiscutibilmente la laicizzazione dello stato, il varo di una Costituente, e principalmente la dichiarazione di guerra all’Austria. Richieste, ovviamente, irricevibili perché di fatto sancirebbero la fine del potere temporale.
Appare chiaro che il potere, in quell’autunno del 1848, sia ormai in mano ai rivoluzionari che l’orologio della storia abbia inevitabilmente iniziato a contare i secondi rimanenti.
LA FUGA DI PIO IX
Papa Pio IX
Così la notte del 24 novembre 1848 Pio IX, vestito da semplice prete, fugge da Roma. Reso irriconoscibile da un enorme cappello a larghe tese, da vistosi occhiali neri e dalla cipria che copiosamente copre i capelli, il Papa lascia rapido, alla sola luce di una tremolante candela, le vuote stanze del Quirinale.
Di soppiatto esce da un porta secondaria, eludendo la Guardia civica, che da alcuni giorni, segno inevitabile dei tempi, ha sostituito gli Svizzeri nella protezione della residenza papale. Il pontefice sale, accompagnato solo dal cameriere segreto, su una carrozza che rapida muove verso sud. Alla chiesa di San Marcellino e Pietro, in via Labicana, il papa trova un’altra carrozza, all’interno della quale siede in trepida attesa il conte Carlo Giraud di Spaur, ambasciatore di Baviera presso lo Stato pontificio, un uomo fidato, un cattolico della prima ora.
La carrozza, una di quelle comunemente chiamante bastarde, tirata da sei destrieri, corre verso Porta San Giovanni, dove, però, monta il corpo di guardia e il rischio che il piano possa saltare è grande. Ma i militi guardano distrattamente e scorgono solo l’ambasciatore che, lesto, invoca il suo status diplomatico e la sua intenzione di raggiungere quanto prima il paese di Albano.
La bastarde, con il sacrale ospite al suo interno, superate le possenti mura aureliane, si lancia sul selciato della via Appia, verso il Regno delle due Sicilie, verso la salvezza.
Alle cinque del mattino, al limitare dell’alba, la carrozza arriva ad Ariccia dove, nella piazza antistante la chiesa di Santa Maria Assunta, staziona l’ennesima carrozza dentro la quale si trova la moglie dell’ambasciatore, Teresa Spaur, vera e propria artefice del sofisticato progetto di fuga di Pio IX.
Dopo gli inevitabili convenevoli la carrozza parte alla volta di Gaeta, nel regno di Ferdinando II di Borbone, che è ben lieto di dare ospitalità e protezione al papa per tutto il tempo necessario. Roma ancora una volta nel giro di pochi decenni è senza il suo più importante concittadino. Nel 1798 i francesi avevano deportato quel Pio VI, che Pasquino aveva salutato a suo modo: “per conservare la fede un Pio perdè la sede”.
IL RIENTRO A ROMA
Ma la storia, si sa, è bizzarra e scrive pagine del tutto inattese e infatti a permettere il ritorno del papa saranno proprio gli “odiati” francesi. Il 12 aprile 1850, dopo che nel luglio dell’anno prima la Repubblica romana, uno dei più alti esempi di democrazia, era caduta eroicamente sotto i colpi dei soldati guidati dal generale Oudinot, Pio IX rientra a Roma senza squilli di tromba e fanfare ma in un ossequioso rispetto da parte di un popolo abituato da millenni ai cambiamenti, capace, ogni volta, a ripartire, nonostante tutto e tutti.
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