Rimini, da sempre, è sinonimo di mare, spiagge assolate, divertimento, locali notturni, piadine e balli infiniti. Ma Rimini è anche molto altro. È storia, arte, bellezza, memoria. Le radici di quella che fu Ariminum affondano nell’antichità. Furono i romani, infatti, a fondare la città. Nel 268 a.C. il senato romano inviò 6.000 coloni per creare l’insediamento urbano di Ariminum, dal nome del vicino fiume Ariminus, nome latino dell’attuale Marecchia. La scelta di quel luogo fu fatta essenzialmente per motivi logistici, trovandosi allo snodo fra strade quali la Flaminia, l’Emilia e la Popilia. Nel 90 a.C., a riprova del ruolo strategico rivestito dalla città, Ariminum divenne municipium, conquistando, così, una certa autonomia nel contesto romano.
RIMINI: COSA VEDERE
Rimini. Ponte Tiberio
Nel periodo imperiale l’importanza di Rimini aumentò considerevolmente, imponendosi come uno dei centri più fiorenti di tutto il mondo romano. Ricca e potente, la città si dotò di una funzionale rete viaria (strutturata sul sistema assiario del decumano e del cardo), di un acquedotto efficiente, di un capillare sistema fognario, di un teatro, di un anfiteatro, di un imponente arco, nonché di un colossale ponte.
Oggi quei caratteri tipicamente romani sono ancora evidenti e facilmente rintracciabili nel tessuto urbanistico di Rimini, a cominciare dal Decumanus Maximum (oggi Corso d’Augusto), la grande arteria cittadina che collegava ieri come oggi l’arco trionfale dedicato ad Augusto al Ponte sul fiume Marecchia. Il ponte, costruito per volere dell’imperatore Tiberio, è un’imponente struttura in pietra d’Istria che si sviluppa per una lunghezza di settanta metri, suddivisa in cinque arcate che poggiano su massicci piloni.
Meno visibile, purtroppo, è l’anfiteatro. Del complesso, costruito nel II secolo d.C. dall’imperatore Adriano, secondo il principio caro ai romani del panem et circenses, oggi rimane solo il settore nordorientale, sufficiente, tuttavia, per avere almeno una minima idea di cosa fosse l’anfiteatro nel pieno della sua efficienza.
RIMINI: LA DOMUS DEL CHIRURGO E L’ARCO DI AUGUSTO
Particolare musivo nella Domus del Chirurgo a Rimini
Molto meglio conservata è, invece, la cosiddetta “Casa del chirurgo”. Costruita in età imperiale, questa tipica domus romana è uno dei reperti archeologici più importanti non solo di Rimini ma di tutta la società romana. Il nome deriva dal ritrovamento di un preziosissimo corredo di strumenti medici, bisturi, forbici e tutto ciò che un chirurgo locale utilizzava per la sua professione. La casa, oltre 700 mq di estensione oggi visitabili grazie a una straordinaria opera di musealizzazione, è composta non solo dai locali pubblici della taberna medica, ma anche da quelli privati, destinati all’intimità di tutti i suoi componenti. Bellissimi i mosaici, fra cui quello che mostra un cerbiatto nella cosiddetta stanza di Orfeo.
Arco di Augusto, Rimini
Impossibile non notare anche l’Arco di Augusto che saluta il visitatore all’ingresso in città. Eretto per volontà del Senato romano nel 27 a.C., questo imponente arco posto alla confluenza fra la via Flaminia e il decumanus maximus, fu dedicato al futuro imperatore che da triunviro si era impegnato per restaurare la via consolare, come indicato sulla stessa iscrizione sull’Arco.
IL CENTRO STORICO DI RIMINI
Ma il centro storico di Rimini non è solo l’impronta romana. Degne di nota sono anche la centrale piazza Cavour, che Federico Fellini fece interamente ricostruire negli studi di Cinecittà per girare alcune scene di Amarcord, indimenticabile quella in cui un pavone si posa sulla Fontana della Pigna, per l’occasione ghiacciata. Una piazza ancora oggi cuore pulsante di Rimini, impreziosita dall’imponente monumento a papa Paolo V Borghese, dal palazzo comunale e dalla già citata fontana.
A pochi passi merita di essere vista anche la Pescheria Vecchia, l’antico mercato del pesce cittadino. Eretta nel 1747 su disegno dell’architetto riminese Giovan Francesco Buonamici, la Pescheria oggi è uno dei ritrovi preferiti dagli abitanti di Rimini. Si compone di un’ampia galleria marginata da colonnati in marmo, con agli angoli quattro fontane con statue di delfini. Ai lati della galleria si trovano gli ampi banconi, anch’essi in marmo, su cui i pescatori esponevano la loro preziosa mercanzia, fra cui le vongole locali (più piccole rispetto alle comuni vongole) che i riminesi da sempre chiamano le puvràz (le “poveracce”) perché anni fa erano ritenute meno pregiate rispetto alle più nobili “veraci” e che, invece, oggi sono molto più prelibate e ricercate.
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IL TEMPIO MALATESTIANO
Rimini. Tempio Malatestiano
Ma il simbolo di Rimini è senza dubbio il Tempio Malatestiano, il luogo principe di tutta la città romagnola. La storia di questo luogo ha inizio nel 1448 quando il signore di Rimini, Sigismondo Pandolfo Malatesta, commissionò a Leon Battista Alberti la ristrutturazione dell’antica chiesa gotica di San Francesco. Nelle intenzioni del Malatesta c’era la volontà di far realizzare all’architetto genovese una grande tomba di famiglia, un cenotafio monumentale che ospitasse in futuro le sue spoglie, quella dell’amata Isotta degli Atti (per amore della quale Sigismondo rischiò anche la rottura con il papato) e di altri dignitari di corte.
L’incarico era certamente prestigioso e rappresentava per l’Alberti la concreta possibilità di attuare le sue teorie architettoniche basate sulle tre categorie vitruviane dell’utilitas, della firmitas e della venustas, reinterpretate dall’Alberti nel suo De re edificatoria del 1485, vero e proprio trattato della moderna architettura. A proposito della venustas, per l’Alberti doveva essere “l’unione concorde di parti diverse in un insieme armonioso nel quale nessuna di esse possa togliersi, diminuirsi o mutarsi senza che l’insieme diventi peggiore”.
L’idea del Malatesta di farsi costruire una colossale tomba era perfettamente in linea con lo spirito rinascimentale di eternare il proprio nome e quello della famiglia attraverso un monumento, una tradizione che affondava le radici nel passato, a partire da quel Mausolo, satrapo di Caria, per il quale la moglie Artemisia, distrutta per la morte del marito, fece erigere un’enorme tomba, il Mausoleo per l’appunto che in seguito diverrà sinonimo di monumento funebre.
Nel Tempio Malatestiano c’era fin dall’iniziale progetto la ferma volontà di unire l’aspetto pubblico e quello privato del signore di Rimini attraverso un’opera che esaltasse la sua figura, trasformandola in una sorta di novella divinità. Tuttavia, per l’Alberti le difficoltà pratiche furono fin dall’inizio molte. L’architetto avrebbe preferito partire da qualcosa di nuovo e non dover intervenire su una struttura preesistente e, oltretutto, molto caratterizzata. In particolare, nella fase progettuale, crearono non pochi problemi le alte cappelle goticheggianti presenti nella chiesa di San Francesco, le cui altezze e larghezze “perturbarono” letteralmente l’Alberti. Alla fine il Tempio come lo vediamo oggi è un’opera incompiuta, diversa dal progetto originario, anche per colpa dello stesso Alberti che come tradizione non era solito seguire personalmente i lavori, al contrario ad esempio del Brunelleschi, lasciando che lo facessero altri. Nel caso del Tempio, in particolare, fu Matteo de’ Pasti a coordinare i lavori, d’altra parte per l’Alberti, come scrisse lo storico dell’arte Piero Adorno, “l’architettura era un’attività puramente intellettuale”.
L’esterno del Tempio Malatestiano mette in risalto gli evidenti richiami con l’architettura romana, a cominciare dall’arco centrale incastonato fra pilastri, ornati in alto da due ghirlande, che richiama, e non poco, il vicino Arco di Augusto. Anche la porta, dal timpano fortemente aggettato, è d’intonazione romana, così come le fiancate che ricordano, con il ripetersi di grandi arcate, la struttura architettonica degli acquedotti romani. Il senso di incompiutezza, cifra palese del capolavoro albertiano, si avverte dall’esterno e risulta più evidente all’interno del Tempio che nel 1809 divenne la cattedrale di Rimini con il titolo di Santa Colomba. Sotto una copertura a capriate si dischiude lo spazio interno, nella realizzazione del quale il ruolo dell’Alberti fu probabilmente minimo se non inesistente a favore, invece, di quello specifico del Pasti. Ai lati dell’unica navata si aprono una serie di cappelle, alla cui decorazione contribuì significativamente Agostino di Duccio, specie per quanto concerne la decorazione dei pilastri di accesso di ciascuna cappella. Questi adottò un proprio stile che, tuttavia, ricalcava lo stiacciato donatelliano.
Quattro delle sei cappelle malatestiane, riprendendo la “paganità” del tempio, che tanto farà infuriare in seguito i papi, sono decorate e intitolate alle Arti liberali, allo Zodiaco, ai Giochi dei bambini, alle Sibille e Profeti, mentre le restanti due, sono veri e propri cenotafi. La cappella delle Virtù ospita la tomba di Sigismondo, mentre quella degli Angeli il sepolcro di Isotta.
Degno di nota all’interno del Tempio è anche il bellissimo affresco di Piero della Francesca, collocato nell’ultima cappella di destra (cappella della Concezione), successiva all’epoca malatestiana, che raffigura Sigismondo Pandolfo Malatesta inginocchiato nell’atto di pregare davanti a San Sigismondo. L’affresco, incorniciato da finti rilievi marmorei di cornucopie e girali e con agli angoli lo stemma familiare dei Maltesta, fu eseguito dal pittore di Borgo San Sepolcro, nel 1451, allorché l’artista soggiornava a Rimini. L’opera pittorica, come tutto il Tempio stesso, vuole sottolineare la figura di Sigismondo Pandolfo Malatesta, uomo ambizioso al quale la Signoria di Rimini, nonostante tutto, risultava sempre più stretta.
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ALTRI LUOGHI DA VISITARE A RIMINI
Rimini. Murales nel Parco Marecchia
Ma se le bellezze appena descritte non sono sufficienti per giustificare una visita a Rimini, allora andateci solo per l’ottimo cibo, specie il pesce, per vedere il Cinema Fulgor (dove Federico Fellini scoprì il fascino unico del cinema, vedendo Maciste all’inferno sulle ginocchia del papà) e per i bellissimi murales che fanno capolino in diversi angoli della città e che riproducono, oltre a Fellini, suo cittadino più illustre, anche altri temi. Bellissimo quello presente nel Parco XXV aprile (noto come Parco Marecchia), raffigurante un gallo e un pavone che intrecciano le loro unghiate zampe accantonando ataviche rivalità.
“La mia Rimini è come un tuffo nella dimensione del passato” (Federico Fellini).
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Nelle vicinanze: Castello di Gradara, la rocca di Paolo e Francesca