San Lorenzo. Quella mattina il cielo era terso, la giornata cominciava ad accendersi di calore ed il sole iniziava ad arroventarsi. Era il 19 luglio 1943 e c’era quel caldo che seccava la gola e faceva sognare la brezza fresca. Eppure il mare era lontano nonostante la volontà di Mussolini di regalare a Roma una via che doveva partire dal centro cittadino ed arrivare, tutta dritta, ad Ostia. L’odore di iodio, la spiaggia, l’acqua salata erano tutti elementi estranei alla vita dei Romani. Cose destinate ai ricchi, al ceto elevato.
ROMA NEGLI ANNI VENTI E TRENTA
La maggior parte dei cittadini non lo aveva mai visto il mare. Se ne era fatta un’idea dalle cartoline anni ’20 e ’30 che servivano da propaganda per il regime.
Stabilimento di Ostia nel 1924
La città si era espansa verso la costa, aveva il suo sbocco sul Tirreno e per celebrare questo connubio tra la Roma imperiale ed il Mar Mediterraneo era stato costruito il primo stabilimento marittimo ad Ostia: il Roma, appunto. Come collegamento era stata istituita la ferrovia Roma-Lido ed in cantiere c’era il progetto di prolungare la Via Imperiale, ventitré chilometri di una lingua d’asfalto che avrebbe attraversato il quartiere EUR42, avveniristico progetto dell’architetto Marcello Piacentini.
Ma era scoppiata la guerra e l’Italia aveva fatto la sua scelta, schierandosi a fianco della Germania. Il 10 giugno 1940 Mussolini si affacciava dal balcone di Piazza Venezia per annunciare ad una folla osannante che “un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili”. L’Italia era entrata in guerra contro Francia ed Inghilterra e così quei progetti monumentali erano stati riposti in un cassetto. Le materie prime ed i contributi pubblici dovevano essere destinati all’industria bellica. Dopo tre anni di conflitto le cose per il nostro paese non andavano troppo bene sul fronte.
Facciata di Palazzo Braschi, sede della federazione fascista di Roma
Nonostante il regime cercasse di mascherare le difficoltà attraverso un’opera di propaganda mirata, la popolazione soffriva per le ristrettezze in cui era costretta a vivere. Anche a Roma la vita era sempre più dura, il cibo era razionato e, dove era possibile, nascevano gli orti urbani.
LA VITA NEL QUARTIERE DI SAN LORENZO PRIMA DEL 1943
Quella era una mattina come un’altra o almeno sembrava tale. Ma rimaneva pur sempre una mattina di guerra. Roma era come distaccata dalle notizie che arrivavano dai quotidiani, perché non aveva mai visto o percepito il nemico. Era più che altro un avversario subdolo, invisibile che aveva cambiato le abitudini e modificato la vita di tutti i giorni. Si cercava di sopravvivere ad un conflitto che Roma non conosceva e non toccava con mano, se non per le difficoltà del vivere. Il mercato nero la faceva da padrone ma bombe, aerei, carri-armati erano lontani.
Roma si sentiva protetta dal Papa, che dal Vaticano vegliava e dava la buonanotte a tutti i cittadini. Colpire la sede di Pietro, il centro della cristianità, avrebbe rappresentato l’avvento dei barbari. Pio XII garantiva l’integrità della città, così come il colonnato del Bernini accoglieva i fedeli nella piazza. Per tutta la città si percepiva quel senso di protezione ed impenetrabilità.
Quella mattina il quartiere di San Lorenzo si stava svegliando e, a poco a poco, le persone stavano cominciando a vestirsi o a spostarsi all’interno del suburbio. Il quartiere era sorto alla fine dell’Ottocento, fuori dai piani regolatori del 1873 e del 1883. Lo Stato aveva dato il via alla speculazione edilizia e fu chiaro a tutti che quel sobborgo avrebbe avuto un’anima popolare. Di lì a poco infatti, oltre alle botteghe artigiane, andarono ad installarsi numerosi ferrovieri assunti allo Scalo, netturbini, operai, manovali. Quello era diventato il cuore pulsante di un pezzo di città operosa.
Roma – San Lorenzo fuori le mura nel 1938
Il quartiere, sorto al di fuori delle mura cittadine, rimaneva isolato rispetto al resto della città. La comunità che vi abitava era confinata in quello spazio. Il tessuto sociale che lo costituiva era formato da proletariato, sottoproletariato romano e da uno stuolo di migranti provenienti dal Centro Italia che avevano trovato un’occupazione o speravano di ottenerla. Chi non lavorava viveva di espedienti ed attività illecite.
Con l’avvento del fascismo, San Lorenzo si distinse per la sua attività di opposizione alle camicie nere, con una coesione davvero forte tra tutti i residenti. Una comunità costituita da comunisti, socialisti ed anarchici che male si coniugava con le marce e l’ideologia mussoliniana e che, per questo si oppose sempre, al fascismo.
Era la mattina del 19 luglio 1943. Gli artigiani ed i negozianti avevano già aperto le botteghe. I facchini ed i ferrovieri si trovavano nello Scalo di San Lorenzo. Anche la vetreria Sciarra, il pastificio Cerere e la birreria Wuhrer erano all’opera ed erano stati raggiunti dai primi avventori. I minuti passavano e venivano scanditi dai rintocchi della basilica. Costituita dalla sovrapposizione di due strutture, San Lorenzo racchiudeva la tomba del martire omonimo, ucciso nel 257 d.C. durante la persecuzione voluta dall’imperatore Valeriano. Accanto ad essa sorgeva il primo cimitero comunale della città, il Verano. Padre Libero Raganella, della congregazione dei Giuseppini del Murialdo, aveva terminato da qualche ora di celebrare la messa, quella delle sette del mattino. Tutto era sospeso, come in attesa di eventi più gravi. Le campane di San Lorenzo avevano appena battuto undici rintocchi.
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