Su via di Sant’Eligio, una piccola strada di Roma, marginata a valle da via Giulia e a monte dal Tevere, sorge un piccolo gioiello rinascimentale, la chiesa di Sant’Eligio degli Orefici, una delle pochissime architetture riconducibili al genio di Raffaello Sanzio.

SANT’ELIGIO DEGLI OREFICI: LA COSTRUZIONE DELLA CHIESA

La storia di Sant’Eligio degli Orefici ha inizio più di cinquecento anni fa, quando la Città Eterna era il centro non solo della cristianità ma anche dell’arte, della cultura, della bellezza.

Roma, 13 giugno 1508. I membri del “Nobil Collegio degli orefici, gioiellieri e argentieri”, potente e ricca corporazione che dal 1358 difende e diffonde la nobile arte degli orafi, decidono di acquistare un terreno vicino al Tevere, nel rione Regola, dove sorgevano i resti dell’antica chiesa di Sant’Eusterio.

Dieci giorni dopo quarantadue maestri orafi inoltrano a papa Giulio II ufficiale richiesta per poter edificare una chiesa. Dal 1404 gli orefici, pur costituendo un’autonoma confraternita dopo l’uscita dalla VI Corporazione di cui fanno parte anche i Ferrari e i Sellari, sono costretti, tuttavia, a condividere con quest’ultimi i comuni spazi di San Salvatore alle Coppelle.

Per l’onore e il prestigio dell’associazione, che vanterà fra gli appartenenti anche Benvenuto Cellini, è giunto il momento di avere una chiesa tutta loro, da dedicare a quell’Eligio di Chapelat che, prima di essere uno dei più venerati santi francesi, fu un grande orafo, ammirato da re e principi.

La risposta del pontefice, però, si fa attendere. Il 20 giugno 1509, a un anno dalla richiesta, Giulio II concede la fatidica autorizzazione con tanto di bolla papale.

I membri della corporazione si mettono subito all’opera per reperire i fondi necessari per la nuova chiesa. Affidano il progetto a Raffaello Sanzio, il pittore urbinate che da pochi mesi è giunto a Roma, chiamato da Giulio II per decorare le stanze degli appartamenti papali.

La prima notizia ufficiale in merito alla costruzione della futura Sant’Eligio degli Orefici risale al 1516. In quell’anno, che segna anche l’inizio dei lavori dell’attuale basilica di San Pietro, tal Sebastiano Como ottiene una ricevuta di pagamento per la sua attività di muratore.

Quattro anni dopo, il 6 aprile 1520, Raffaello Sanzio muore. Sant’Eligio è poco più che un cantiere e la prosecuzione dei lavori viene affidata prima a Baldassarre Peruzzi e, alla morte di questi, nel 1539, ad Aristotele da Sangallo. La chiesa, pur piccola nelle dimensioni, viene completata solo nella seconda metà del Cinquencento. Negli anni a seguire è oggetto di ripetuti interventi volti a riparare i danni occorsi alla struttura dalle rovinose e periodiche piene del vicino Tevere.

UN GIOIELLO RINASCIMENTALE NEL CUORE DI ROMA

Chiesa di Sant'Eligio degli Orefici a Roma, cosa vedere

Chiesa di Sant’Eligio degli Orefici a Roma

Sia l’esterno della chiesa che l’interno sono in perfetta simbiosi, rappresentazione plastica dello stile rinascimentale, votato alla semplicità e alla purezza delle linee. La facciata, ricostruita a seguito del crollo di parte di essa dall’architetto Flaminio Ponzio nel 1621 sul modello originale, si caratterizza per le lesene in bella vista e per il portale in travertino, salvatosi dal precedente cedimento strutturale.

Ma l’elemento più interessante dell’architettura esterna è senza dubbio la cupola. Realizzata solo a partire dal 1526, quando fu concessa l’autorizzazione alla sua edificazione, su progetto di Baldassarre Peruzzi, la cupola, ultimata nel 1536, si connota per la purezza delle linee, per la struttura in laterizio e per la delicata lanterna, opera di Aristotele Sangallo.

Improntato alla semplicità anche l’interno, caratterizzato dalla pianta a croce greca, dalla zona absidale e dalla splendida cupola emisferica, poggiante su un tamburo rotondo che insiste su quattro pilastri centrali e sormontata da un lanternino su cui si aprono otto finestrelle.

La luce è anche garantita dalle due grandi finestre a serliana, tipico elemento decorativo dell’architettura rinascimentale, mutuato dal mondo classico. Si tratta, nello specifico, di una trabeazione interrotta al centro da un arco a tutto sesto.

Dal punto di vista decorativo colpiscono i grandi affreschi absidali, i più antichi di tutta la chiesa, realizzati dal pittore manierista Matteo da Lecce, a partire dal 1565. Nella lunetta è raffigurata la Trinità, con Dio che sorregge Cristo in croce, mentre nella parte sottostante è visibile una Madonna con Gesù bambino, contornata da diversi santi, fra cui spicca Santo Stefano, riconoscibile per le pietre sulla testa, simbolo del suo martirio, avvenuto nel 36 d.C. per lapidazione, una tipica esecuzione giudaica.

Gli affreschi delle due cappelle laterali sono invece successivi e appartengono a Giovanni de Vecchi e a Francesco Romanelli. Il primo è l’autore di una Natività, collocata sull’altare della cappella di destra; il secondo, invece, di un’Adorazione dei Magi, che sostituì un medesimo soggetto di Federico Zuccari, andato irrimediabilmente perso durante un crollo verificatosi nel 1600.

Impossibile, infine, non notare lo splendido busto in argento raffigurante Sant’Eligio, soprastante l’altare maggiore, al cui interno sono conservate le reliquie del santo donate, il 25 giugno 1628, dal vescovo di Noyon.

STORIA DELLA RIAPERTURA DELLA TOMBA DI RAFFAELLO

Sant'Eligio degli Orefici

Sant’Eligio degli Orefici

La visita alla chiesa di Sant’Eligio degli Orefici non può non includere una vera e propria rarità che testimonia lo stretto legame della corporazione con il grande Raffaello Sanzio. In un locale attiguo alla chiesa si trova una piccola urna, al cui interno, come testimoniato dal cartiglio, si trova una porzione della bara di Raffaello. La storia di come un pezzo di legno di quella cassa funeraria arrivi a Sant’Eligio merita di essere raccontata.

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Nel corso del 1800 più di qualcuno fra gli storici dell’arte solleva il dubbio che Raffaello non sia sepolto, come oltretutto da lui espressamente richiesto, all’interno del Pantheon di Roma. Si sostiene, altresì, che sia a qualche metro di distanza, nella basilica di Santa Maria sopra Minerva.

Quella che appare come una disputa apparentemente sterile, scatena, tuttavia, una vera e propria gara su chi possieda realmente le preziose spoglie del pittore.

Nel settembre del 1833 papa Gregorio XVI, per tacitare ogni controversia, autorizza l’apertura del sarcofago e il risultato non lascia dubbi: nella tomba custodita nel Pantheon si trova davvero il corpo di Raffaello.

Questo intervento, immortalato nel 1836 dal pittore Francesco Diofebi, se da una parte fuga qualsiasi ipotesi circa le spoglie di Raffaello, dall’altra mostra lo stato fortemente deteriorato in cui versa la bara contenente il corpo del pittore.

Si decide, quindi, di provvedere con una nuova e più adeguata cassa ma sui resti della precedente si crea una vera e propria asta. Sono in molti a volersi accaparrare parti della fatiscente bara, feticci che vengono considerati alla stregua di vere e proprie reliquie. La corporazione degli orefici riesce a ottenere alcuni di quei preziosi frammenti che diventano, fin da subito, oggetto di un vero e proprio culto laico verso un artista che in quel secolo è ancora letteralmente venerato.

Ringraziamo in particolare la dottoressa Giulia Pollini di Bell’Italia 88 che ci ha accompagnato alla scoperta di questo piccolo, sconosciuto gioiello rinascimentale nel cuore di Roma.

INFO UTILI

La chiesa di Sant’Eligio degli Orefici si può visitare su prenotazione dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 13. Per informazioni si può contattare il numero 06 6868260 oppure consultare il sito www.universitadegliorefici.it



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