La Chiesa di Santa Maria Antiqua a Roma rappresenta un unicum. Non tanto per essere uno straordinario esempio di sincretismo architettonico fra il mondo pagano e quello cristiano (di esempi in tal senso ve ne sono diversi, specie nel Foro romano, a partire da Santi Cosma e Damiano), quanto per essere “un sorta di fossile della pittura altomedievale” (Maria Andaloro). La sua scomparsa, infatti, a seguito di un rovinoso terremoto che colpì tutta l’area del Foro sul finire del primo millennio, la preservò dagli attacchi del tempo e degli uomini, interrandola per molti secoli come una novella Pompei. L’evento sismico seppellì nell’oblio i suoi caratteri originari che si cristallizzarono per sempre, tornando alla luce solo all’inizio del secolo scorso.

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IL COMPLESSO DI SANTA MARIA ANTIQUA

Santa Maria Antiqua

Santa Maria Antiqua

Santa Maria Antiqua non è solamente una chiesa ma un complesso architettonico che si colloca fra il Palatino, che come indica il nome stesso era il luogo residenziale per eccellenza, e il Foro, che si andava già popolando di luoghi di culto cristiani. Nello specifico il complesso sacro si installò su ampio complesso di età imperiale che l’imperatore Domiziano aveva realizzato, modificando e ampliando precedenti costruzioni realizzate per volontà di Caligola (fra cui un tempio dedicato al divo Augusto, realizzato sul vicus Tuscus, coincidente approssimativamente con l’attuale via di san Teodoro) e che un violento incendio aveva quasi interamente distrutto.

Oggi, come allora, il complesso si compone essenzialmente di tre parti: l’Oratorio dei Quaranta Martiri, il grande atrio e, infine, la chiesa vera e propria. A queste unità, in realtà, andrebbe aggiunta la cosiddetta rampa domizianea, che ancora oggi collega il piano del Foro con quello rialzato del colle Palatino.

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L’ORATORIO DEI QUARANTA MARTIRI

Santa Maria Antiqua. Particolare dell'affresco dei Quaranta Martiri

Santa Maria Antiqua. Particolare dell’affresco dei Quaranta Martiri

Il primo di questi ambienti costituenti il complesso di Santa Maria Antiqua, la cui iniziale realizzazione risale al VI secolo d.C. (protraendosi nei decenni successivi con importanti interventi), è il cosiddetto Oratorio dei Quaranta Martiri. Questo edificio in età domizianea era molto probabilmente adibito a corpo di guardia, un luogo all’interno del quale i soldati potevano controllare gli accessi alla vicina residenza dell’imperatore.

In epoca cristiana, invece, l’edificio fu riadattato a luogo di culto, per l’esattezza un oratorio, dedicato ai martiri di Sebaste. Questi erano un gruppo di soldati romani, appartenenti alla Legio XII Fulminata, dal simbolo della folgore che ne costituiva l’emblema ufficiale, che nel 320 d.C.nella città armena subirono un atroce martirio a causa della loro fede cristiana.

Il vescovo di Cesarea, Basilio Magno, racconta come i militi furono costretti ad immergersi nell’acqua ghiacciata di un lago durante una notte invernale, particolarmente rigida. La rappresentazione di questa atroce punizione è dipinta, pur con evidenti lacune dovute all’inesorabilità del tempo, nell’affresco della parete opposta all’ingresso dell’oratorio, in cui si notano i diversi martiri immersi nell’algida acqua lacustre.

Si scorge anche Melezio, uno dei quaranta soldati martirizzati che, come testimoniano le fonti, non sopportando il supplizio, scappa via, tentando ristoro nella vicino bacino termale dove, però, trovò la morte a causa dell’eccessivo sbalzo termico.

L’edificio oratoriale, al contrario della chiesa vera e propria, dopo il devastante terremoto dell’847 d.C., continuò ad essere utilizzato per attività di culto, divenendo poi la cripta della basilica stessa.

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SANTA MARIA ANTIQUA, L’ATRIO

 

Il secondo ambiente del complesso di Santa Maria Antiqua è costituito dall’atrio, la cui funzione nel periodo pagano rappresenta per gli archeologi, ancora oggi, un vero e proprio dilemma. L’ipotesi più accreditata è che quest’area, sotto Domiziano, fosse adibita a una grande biblioteca, dedicata alla dea Minerva e realizzata sopra una grande piscina di età caligolea, riemersa nel corso dei lavori di scavo condotti nel corso del XX secolo.

Se è accettabile l’ipotesi della biblioteca, allora diventa plausibile la supposizione che lo spazio attiguo, quello che poi ospiterà i locali della chiesa stessa, fosse una sala di lettura, opinione suffragata dall’orientamento a nord dell’edificio e dall’elevata altezza delle strutture, elementi che favorivano una diffusione uniforme e non fastidiosa della luce.

Dopo il rovinoso sisma, l’atrio conobbe un nuova vita, attraverso il brillante sfruttamento dell’edifico preesistente, con un utilizzo certamente diverso ma molto efficace. Come testimoniato da alcune documentazioni pittoriche ancora parzialmente visibili, a partire dal X secolo in questo ambiente si insediò un oratorio dedicato a Sant’Antonio, un culto molto sentito a Roma e che si mantenne vivo nell’area per diversi decenni successivi, come si ricorda nei Mirabilia Urbis Romae, testo del XII secolo d.C.

LA BASILICA E GLI AFFRESCHI

Ultimo elemento di questo straordinario complesso chiesastico è ovviamente la basilica di Santa Maria Antiqua che a partire dal VI secolo d.C., recuperò un edificio nato con scopi totalmente diversi da quelli di un luogo di culto, riadattandolo alle nuove esigenze.

Fra le importanti modifiche apportate vi fu innanzitutto quella riguardante lo spazio interno che da circolare divenne longitudinale, con tanto di navate e ovviamente di zona absidale. Le trasformazioni riguardarono molto probabilmente anche il soffitto che nella struttura imperiale doveva presentare uno spazio aperto e che, invece, nella nuova collocazione fu del tutto chiuso. Ma l’aspetto più importante di tutta la chiesa, che ancora oggi giustamente colpisce il visitatore, è ovviamente lo straordinario apparato pittorico che decora l’interno della chiesa.

La fase decorativa si sviluppò in più fasi a partire dal secolo in un cui la chiesa venne realizzata fino all’VIII d.C., prima del catastrofico evento sismico. Questo percorso, oltre 250 mq dipinti, rappresenta l’elemento più straordinario di tutto il complesso, perché gli affreschi di Santa Maria Antiqua permettono una lettura sincronica della pittura romana tardo medievale che in questo sito “parla ancora a lungo una lingua greco bizantina, altrove messa a tacere dalla furia iconoclasta” (Francesco Prosperetti).

Significativi sono innanzitutto gli affreschi absidali, specie quelli della parte di destra, conosciuti come Parete Palinsesto, dalla sovrapposizione di più strati di intonaco dipinto che fanno, di questa porzione affrescata, una sorta di pergamena che, invece di essere scritta, raschiata e nuovamente riscritta, venne più volte riaffrescata, sulla scorta del complesso gusto decorativo delle varie epoche. Fra ciò che è ancora visibile in questa parete si individuano essenzialmente quattro strati di pittura.

Il primo, il più antico, risalente probabilmente al VI secolo d.C., mostra il bellissimo volto di Maria con il bambino in braccio, riccamente vestita e assisa su un trono rivestito di perle e gemme preziose, che non può non rimandare immediatamente ai mosaici ravennati e, in particolare, alla ieratica regina Teodora di Santa Apollinare.

Il secondo strato, invece, appena percettibile, mostra una Vergine e l’Arcangelo Gabriele, elementi iconografici di una Annunciazione di dubbia datazione. Alla metà del VII secolo risale, invece, l’esecuzione del terzo strato, raffigurante i santi Basilio e Giovanni Crisostomo, mentre l’ultimo livello pittorico, probabilmente realizzato fra gli anni 705 e 707 d.C., riproduce la figura di San Gregorio Nazianzeno.

LA CAPPELLA DI TEODOTO

Santa Maria Antiqua. Particolare dell'affresco della Crocifissione

Santa Maria Antiqua. Particolare dell’affresco della Crocifissione

Non meno stupefacenti sono le decorazioni della cappella di Teodoto, dal nome dello zio del papa Adriano I, posta alla sinistra dell’abside, dove si può innanzitutto ammirare una splendida Crocifissione, ottimamente conservata, con la presenza anche di Maria e del soldato Longino con la celebre Lancia del Destino, in una veste iconografica decisamente inconsueta.

Il Cristo in croce, infatti, appare vestito, secondo un’usanza tipicamente bizantina che, tuttavia, tenderà a scomparire nei secoli successivi, a favore di quella in cui l’uomo della croce si mostra nudo, coperto solo da un piccolo panno. In questa cappella degni di nota sono anche gli affreschi dedicati alle storie e al martirio di Santa Giuditta e del figlio Quirico, pitture che convivevano con l’opus sectile, una particolare tecnica di decorazione, e con altri dipinti del II secolo d.C.

La cappella posta alla destra della zona abisdale, il diaconicon della chiesa, cioè lo spazio che nella tradizione bizantina era destinato a custodire i paramenti sacri e i messali, è dedicata ai Santi Medici, i cui volti, seppur notevolmente rovinati in taluni casi, decorano le pareti della cappella stessa. I Santi Medici, in greco anargyroi, erano quelle figure cristiane che guarivano i malati. Negli affreschi presenti si scorgono i volti dei santi Cosma e Damiano, raffigurati insieme agli astucci e ad altri strumenti tipici della loro professione medica.

In questa cappella molto probabilmente si svolgeva l’antico rito dell’incubatio che consisteva nel lasciare al cospetto delle sante icone dipinte i malati per diverse ore, anche un’intera notte, al fine di ottenere, attraverso la loro taumaturgica intercessione, la definitiva guarigione.

DAL TERREMOTO AL RESTAURO

Tutto questo straordinario complesso fu letteralmente seppellito dal sisma dell’847 d.C. La memoria della chiesa fu rapidamente divorata dall’oblio ma non il culto mariano che, nonostante tutto, rimase vivo nell’area del Foro romano, trasferendosi in una nuova sede, quella di Santa Maria Nova. Tale chiesa in seguito fu ribattezzata con il nome di Santa Francesca Romana, dopo la traslazione, nel corso del XV secolo, nella cripta della chiesa stessa, delle reliquie di Franscesca Ponziani, la religiosa romana fondatrice dell’ordine delle Oblate di Tor de’ Specchi.

La riscoperta di Santa Maria Antiqua, dopo secoli di silenzio, si dovette solo e soltanto alla pervicacia di un architetto veneziano, Giacomo Boni, fortemente convinto che in quell’area, sotto la seicentesca Santa Maria Liberatrice, si celasse l’antica chiesa dedicata al culto mariano. In realtà una prima testimonianza dell’antica basilica bizantina risale al 1702, allorché il capomastro Andrea Bianchi, nel corso di alcuni scavi per ricavare mattoni e materiali da costruzione, condotti nel vicino orto della chiesa di Santa Maria Liberatrice, fece una scoperta sensazionale. Il 24 maggio di quell’anno, infatti, quell’anonimo capomastro scoprì fortuitamente il presbiterio di una chiesa e le sue bellissime pitture parietali.

Papa Clemente XI autorizzò la visita di quell’eccezionale sito per alcune settimane ma poi, accertata la sostanziale impossibilità di procedere a degli accurati restauri, dispose il nuovo interramento. Fra i visitatori che in quel lasso di tempo videro quella che si riteneva essere la chiesa di Santa Maria de inferno antica o quella di Santa Maria di Caneparia, vi fu il vedutista Francesco Valesio che, in un prezioso e dettagliato acquarello e in un suo diario, eternò quell’incredibile ritrovamento.

La seconda vita di Santa Maria Antiqua, dopo un oblio di più di duemila anni, iniziò all’alba del secolo breve. L’8 gennaio del 1900, infatti, ebbero inizio le operazioni di demolizione controllata della chiesa di Santa Maria Liberatrice (espropriata l’anno precedente dallo stato italiano per la cifra di 300.000 lire e in seguito ricostruita nel popolare quartiere romano di Testaccio), su ordine del direttore degli scavi dell’area archeologica, Giacomo Boni. Questi lavori durarono ben quattro anni ed ebbero inizio con l’abbattimento del lanternino della chiesa per poi passare a tutte le altre parti dell’edificio religioso. Al termine dei lavori, condotti perlopiù a mano, riemerse quello che il tempo aveva gelosamente nascosto.

Fin dal primo giorno di scavo Giacomo Boni si preoccupò di documentare tutto ciò che veniva scoperto. Per questo si procedette a una dettagliata documentazione grafica e fotografica di tutte le pitture rivenute. In questa complessa operazione l’archeologo veneziano fu affiancato da molti altri valenti professionisti, fra cui Romolo Artioli, Maria Barosso, Angelo Bonelli, Torquato Ciacchi, Peitro Picca e molti altri.

All’architetto Antonio Petrignani, invece, spettò il compito di redigere il rilievo dettagliato degli scavi, con tanto di realizzazione di una assonometria e planivolumetria, riguardanti l’intera area del complesso di Santa Maria Antiqua, unica testimonianza di quello che fu “quell’incredibile scavo”.

Ma la vita di Santa Maria Antiqua conobbe altre indimenticabili pagine.

Nel 1980, infatti, fu decisa la sua nuova chiusura a causa di preoccupanti infiltrazioni d’acqua. Iniziarono, allora, accurati, complessi e costosi lavori di restauro, finanziati da soggetti pubblici e privati, che sono terminati nel 2016 con la riapertura, programmata, dell’intero complesso chiesastico che oggi, seppur con necessarie limitazioni, è finalmente visitabile in tutta la sua straordinaria magnificenza.

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